Piattaforma petrolifera (foto dal web) |
Ogni tanto un effetto positivo della nostra tremenda
burocrazia ministeriale dà un nuovo corso alla politica energetica del nostro
paese.
È di questi giorni la notizia che la Shell ha scritto al
Ministero dello Sviluppo economico dicendo di voler rinunciare alla ricerca di
petrolio e gas nel Golfo di Taranto.
Forse (dico forse perché non si sa mai) non vedremo più
quelle orribili piattaforme che sbucano dall’orizzonte del mare come carciofi
fuori posto, brutte come la morte e inquinanti come un qualsiasi impianto
industriale e forse più.
Ufficialmente la motivazione è di ordine economico, visto il
calo del petrolio. Sicuramente non l’unica: c’è da aggiungere l’incertezza dell’esito
del referendum del 17 aprile (ANDATE TUTTI A VOTARE!!!!), la riperimetrazione
delle aree interessate e – sicuramente – le offerte più vantaggiose del governo
Iraniano. Infatti, la recente fine dell’embargo durato quasi quattro decenni, Teheran
vuole recuperare il terreno perduto. Così la multinazionale potrebbe investire
nel Golfo Persico quei 2 miliardi di euro che aveva intenzione di spendere nei
progetti italiani.
Le continue
riperimetrazioni della superficie oggetto di ricerca, lo spostamento della
distanza oltre le dodici miglia marine dalla costa per poter estrarre
idrocarburi (grazie al Governo Berlusconi), il ricorso delle dieci regioni che hanno
richiesto il referendum, l’incertezza dell’esito hanno convinto la compagnia
petrolifera a rinunciare alle prospezioni. Nonostante il governo Monti avesse
aperto loro uno spiraglio (salvando le procedure già avviate) e le
autorizzazioni dell’inutile Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e
del mare (sic!).
Forse, la Secca di Amendolara è salva.
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