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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

domenica 21 febbraio 2016

La Shell lascia il Mare Jonio

Piattaforma petrolifera (foto dal web)
Ogni tanto un effetto positivo della nostra tremenda burocrazia ministeriale dà un nuovo corso alla politica energetica del nostro paese.
È di questi giorni la notizia che la Shell ha scritto al Ministero dello Sviluppo economico dicendo di voler rinunciare alla ricerca di petrolio e gas nel Golfo di Taranto.
Forse (dico forse perché non si sa mai) non vedremo più quelle orribili piattaforme che sbucano dall’orizzonte del mare come carciofi fuori posto, brutte come la morte e inquinanti come un qualsiasi impianto industriale e forse più.
Ufficialmente la motivazione è di ordine economico, visto il calo del petrolio. Sicuramente non l’unica: c’è da aggiungere l’incertezza dell’esito del referendum del 17 aprile (ANDATE TUTTI A VOTARE!!!!), la riperimetrazione delle aree interessate e – sicuramente – le offerte più vantaggiose del governo Iraniano. Infatti, la recente fine dell’embargo durato quasi quattro decenni, Teheran vuole recuperare il terreno perduto. Così la multinazionale potrebbe investire nel Golfo Persico quei 2 miliardi di euro che aveva intenzione di spendere nei progetti italiani.
Le continue riperimetrazioni della superficie oggetto di ricerca, lo spostamento della distanza oltre le dodici miglia marine dalla costa per poter estrarre idrocarburi (grazie al Governo Berlusconi), il ricorso delle dieci regioni che hanno richiesto il referendum, l’incertezza dell’esito hanno convinto la compagnia petrolifera a rinunciare alle prospezioni. Nonostante il governo Monti avesse aperto loro uno spiraglio (salvando le procedure già avviate) e le autorizzazioni dell’inutile Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare (sic!).

Forse, la Secca di Amendolara è salva. 

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