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Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

martedì 22 marzo 2011

Il fascino senza tempo della Lucania arbereshe


La Basilicata è una splendida regione. Peccato che sta al Sud.
Non ricordo chi disse questa sciagurata frase, ma proprio in questi giorni sono in giro per i paesi arberesh del Parco nazionale del Pollino come collaboratore di una troupe televisiva che deve realizzare un documentario sulle comunialbanofone di tutta larea protetta.
Dobbiamo incontrare persone, raccontare storie, riprendere paesaggi, scorci, chiese, figure, situazioni. Tutto. Di più.
È limperativo categorico della regista!
Rispondo che non è mica facile in due giorni fare tutto.
Mi metto in moto e sfoglio la mia agenda telefonica, così forse qualche nome mi suggerisce qualche storia. Alla voce Arberia il computer “vomita diecine di contatti.
Testimoni di quando ero un collaboratore di un prestigioso periodico arberesh.
Come in un nastro che scorre a ritroso, ogni nome ricorda un evento, una richiesta di un articolo, uninformazione, un convegno fatto insieme da qualche parte in Italia e in Europa, una petizione per ottenere lattuazione delle norme di tutela delle minoranze prevista dalla nostra Costituzione.
Quasi tutti questi nomi per diverso motivo hanno fatto parte di una associazione che si batteva per dotare tutte le regioni dItalia dove sono presenti minoranze linguistiche di norme a tutela della storia e tradizione di questi popoli che attraverso mille vicissitudini e tra mille difficol hanno conservato tradizioni, usi, costumi e religiosità. Oltre al fatto dbattersi per una legge-quadro nazionale. Tutto questo sembrava un obiettivo lontanissimo, impossibile da raggiungere, ma per il quale vale la pena battersi.
All’improvviso quasi come un fulmine a ciel sereno nel dicembre del 1999 il parlamento licenziava su proposta dell’allora ministro De Mauro ( e su nostro suggerimento) la legge n. 482  contenente le norme a sostegno delle lingue minoritarie.
Il primo obiettivo sembrava raggiunto. Tuttavia la legge stentava ad essere promulgata dal Presidente della Repubblica  Ciampi che non si sa per quale motivo la teneva nel cassetto. In seguito venimmo a conoscenza delle motivazioni: il presidente Andreotti scrisse una lettera a Ciampi invitandolo a non promulgare questa legge perché avrebbe messo a rischio la coesione del paese e che litaliano non sarebbe stato più la lingua ufficiale e che saremmo ritornati alla situazione preunitaria almeno dal punto di vista linguistico.
Tememmo il peggio.
Dopo oltre un mese il presidente Ciampi sciolse le riserve e il 15 dicembre 1999 vennero pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Repubblica leNorme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Altri incontri seguirono dopo questa fatidica data. Soprattutto per fare il punto sullattuazione di queste norme, sulla elaborazione dei decreti attuativi e sulle reali possibilità di conservazione delle minoranze.  A proposito questa associazione si chiamava CONFEMILI ed era un acronimo che racchiudeva una confederazione di tutte le minoranze linguistiche italiane.
Quante storie dietro questindirizzario.
Non è facile tirare fuori tre o quattro indirizzi. Tutti sono carissimi amici ed ottime persone. Mi pare fare un torto ad escluderne qualcuno a favore di altri.
Molti sono in avanzata età.
A differenza dei paesi arberesh della Calabria dove pare che le nuove generazioni siano poco o a dir nulla interessate a queste tradizioni, la Basilicata ha un forte legame con la propria storia. Per esempio a San Costantino albanese ci sono diverse persone giovani che studiano, ricercano, elaborano canti, creano associazioni dove incontrarsi, riconoscersi e fare musica, chiedersi come fare nel mondo globalizzato a conservare le proprie tradizioni.
Per non morire. Continua la scrematura.
Due telefonate ed inizia lavventura.
La prima telefonata è rivolta al parroco di San Paolo albanese, don Francesco Mele, anzi Papàs o meglio, Zoti Mele.
San Paolo albanese vanta di essere il più piccolo paese della Basilicata, in bella posizione geografica, domina la Valle del Sarmento, ha un panorama ad angolo giro che spazia dalla Serra Dolcedorme, al Sirino, al  Golfo di Policoro, al Bosco di Farneta.
Uno splendido cartello colorato informa che San Paolo è un paese arberesh e in bilingue dà il benvenuto. Nulla a che fare con i tristi cartelli blu dell’Anas. Anonimi e tristi. Questi cartelli incutono allegria, armonia e serenità.
Sicuramente sono stati affissi dall’amministrazione provinciale con fond
della Legge quadro sulle minoranze linguistiche che demanda alle provincie la gestione” delle real minoritarie. Al primo tornante stretto spicca la chiesetta di San Rocco, risalente al 1614, come recita laltro cartello turistico, edificata su preesistenti monumenti religiosi che recano vestigia del mondo bizantino.
Abbiamo appuntamento con Papàs Mele che ci aspetta in canonica. Mi ricordavo di un edificio fatiscente, freddo e triste. Invece si tratta di uno dei palazzi di grande interesse acquistati dalla diocesi da una delle famiglie più importanti del paese. Restaurata di recente (ci sono voluti due anni, ricorda Zoti) oggi è una accogliente e calda casa.
Don Francesco ci riceve con gioia, con il sorriso, si rammarica che nel pomeriggio ha un importante appuntamento ad Acquaformosa, il suo paese natio, in provincia di Cosenza, tra i Monti dell’Orsomarso e quindi non può dedicarci molto tempo.
Ci invita nella sua abitazione per un caffè, prima del lavoro è sempre un piacere ritemprare lo stomaco dal lungo viaggio. Nel salotto di casa campeggia un bellissimo quadro che raffigura una persona anziana a dorso dasino mentre rientra in paese. Accortosi della nostra attenzione, Don Francesco, racconta che quel quadro è opera della figlia. Già Don Francesco è sposato ed ha una figlia che lavora a Milano come disegnatrice di moda. “ È anche una brava iconografa. Ha imparato a Roma dal mio maestro Stefano Armacollas. Alto, ben piazzato, con la barba, ben curata, quasi bianca e occhiali da miope.
Dopo il caffè di rito, che per gli arberesh è un segno distinto e di accoglienza nella propria casa, scendiamo giù nella sala ricreazione dove i bambini (pochi per la verità) del paese fanno catechismo e dove Don Francesco ha il suo laboratorio di iconografia. Dipinge icone per la sua chiesa, per altri parroci che ne fanno richiesta.
Disegni, colori, pennelli, progetti, volumi con centinaia di icone di scuola greca e una tavolozza con una immagine appena abbozzata di un viso della madonna glicofilusa.
I tecnici montano le attrezzature per la ripresa ed invitano Don Francesco ad iniziare il lavoro. Subito si mette allopera e in pochi minuti prepara i colori da stendere sulla tavolozza per dare forma al viso della Madonna. Come per miracolo i contorni del viso cominciano a delinearsi e in pochi minuti appare limmagine poi ci trasferiamo in chiesa dove Don Francesco ci mostra liconostasi con le icone che lui ha realizzato in tanti anni e nei momenti liberi della sua attivi pastorale.
Lasciamo San Paolo con una forte emozione che ci rimane dentro.
Scendiamo a San Costantino albanese dove abbiamo appuntamento con un musicista, falegname, guida
ufficiale del Parco e costruttore di surduline.
Quirino Valvano è un giovane appassionato di montagna, rocciatore, guida, componente della squadra Pollino del Soccorso Alpino e nel tempo libero agricoltore.

 Infatti, lappuntamento è nel suo ranch subito dopo il ponte sul Sarmento. Ha rimesso in sesto un vecchio casolare di famiglia (ricordo quando, anni fa, passai a trovarlo e vidi che era impegnato con pala e pico a scavare il pavimento nellovile perché aveva intenzione di farne un laboratorio per la costruzione delle zampogne) circondato da querce, nel silenzio assoluto della campagna: unico suono assordante, monotono è il rumore del Sarmento che sta per ingrossarsi a causa dell’aumento di temperatura che ormai annuncia larrivo della primavera. Infatti, lacqua è già color cenere, tipica della presenza di acqua di provenienza dallo scioglimento delle nevi che, per la verità, ancora ricoprono le alte quote del Pollino lucano.
La giornata primaverile consente a Quirino di lavorare all’aperto. Cappello di lana multicolore che nasconde una folte capigliatura, occhi azzurri, maglione di lana pesante muove le mani con grande sicurezza nell’assemblare i vari pezzi della surdulina: si vede come ha una manualisicura, tipica di chi ha fattquelle manovre centinaia di volte. Innesta le ance e inizia a gonfiare la sacca e poi da fiato alle canne e intona una bellissima pastorale per la gioia degli operatori televisivi.
La regista è molto soddisfatta delle riprese. I tecnici smontano le attrezzature, si incamminano verso lauto ed io mi fermo ancora qualche minuto con Quirino. Siamo amici da tantissimi anni. Gli chiedo come va. Non si batte chiodo, mi dice. Aspettiamo che arrivi la primavera per fare qualche escursione guidata con le scuole, se verranno, visto i tagli alla scuola, che inevitabilmente penalizzano le gite scolastiche.
Nel frattempo sto lavorando alla costruzione di una culla di legno per il bimbo di un mio carissimo amico che dovrebbe nascere tra qualche mese.
Raggiungo la troupe e ci avviamo verso San Costantino dove ci aspettano tre splendide donne che sono le vocalist del gruppo Vuxha Arbereshvet (la voce degli albanesi). Con loro vogliamo registrare dei canti da utilizzare, probabilmente, come colonna sonora del documentario.
San Costantino albanese è un paesino posto nella Valle Sarmento, a 700 metri di quota, poco meno di mille abitanti, tra due valloni, esposto ad oriente, con le case ben restaurate intorno ad un nucleo originario che conserva ancora lantica struttura a pietra a faccia vista tipica delle comuni molto povere che usavano materiali primitivi per costruire le loro abitazioni.
La statale finisce in Piazza Skanderberg, il salotto del paese.
Noi però abbiamo appuntamento davanti al santuario della Madonna della Stella, protettrice del paese.  Uno splendido posto con ampia vista su tutta la Valle e i monti circostanti.   Ideale per cantare senza rumori di sottofondo. In breve ci raggiungono le tre signore. Lo sfondo dei monti innevati, sembra essere circondato dal nastro dargento del Sarmento che, data lora, luccica e brilla in lontananza.
I cantori cantano a cappella tre brani della tradizione arbereshe, oggetto di un nuovo cd musicale arrangiato da Nicola Scaldaferri e Alexandra Nikolskaya in omaggio all’arte poetica di Enza Scutari. Si vede subito che cantano con passione, sono intonate, hanno delle splendide voci dai toni alti che fanno saltare il livello dei decibel.
In pochi minuti si registrano i brani necessari per il lavoro. Non cè bisogno di ripeterli più volte perché sono ben eseguiti. Raccontano della diaspora, ricordano il turco, si rifanno allespansionismo ottomano che fu la causa principale dellemigrazione degli albanesi verso le coste italiane nel XV secolo.
Prossima tappa: la casa del Parco. LEnte Parco nazionale del Pollino ha riadattato una struttura comunale a Centro visita ed accoglienza con le peculiarità tipiche della Valle. Una splendida mostra delle varie fasi della costruzione della surdulina, curata da Quirino Valvano, sfoggia tutta larte e la sapienza di un artigiano del suono che costruisce da se gli strumenti.
Un diorama mostra un ambiente-tipo dei Boschi di San Costantino albanese.
In unaltra sala fanno mostra di se i pupazzi di cartapesta (nuzasit) raffiguranti una coppia in costume albanese , due fabbri e il diavolo, visto secondo la tradizione di San Costantino, ossia con due facce, quattro corna e i piedi a forma di zoccolo di cavallo, la forca e la catena del paiolo.
Nei giorni festa i cinque pupazzi sono montati in piazza e messi in movimento da alcune ruote piene di petardi. I fabbri picchiano sulincudine, gli altri girano su se stessi e alla fine scoppiano tutti.

 Le forze del bene hanno sconfitto il male.
Ma la cosa che colpisce di più è una foto che raffigura una grande frana che nellaprile del 1973 si abbatté sul paese, distruggendolo in gran parte: una sorta di Sarno ante litteram. Lorenzo sostiene che questo è stato linizio della fine. La comuni non ha più voluto costruire nuove case.
La giornata è finita. Ci attende il rientro ma prima è necessaria una pausa caffè prima di rimetterci in
macchina.
In quale bar si ha il miglior caffè?
Naturalmente a casa di Pina. Il caffè con la moca è il migliore in assoluto. Accoglienza e ospitali sono un vanto per la comuni arbereshe.
A casa di Pina cè il marito Lorenzo anche lui componente del gruppo e maestro di musica nelle scuole medie. Suonatore di molti strumenti, voce timbrica forte, anche lui fa parte del gruppo che porta in giro la musica arberesh.
Mi racconta del grande successo ottenuto a Matera a fine anno per la presentazione dellultimo cd musicale che ricorda la “Maestra Scutari, poetessa, scrittrice, insegnante di tante generazioni di giovani sancostantinesi, fondatrice e anima del circolo culturaleVllamija (fratellanza) che tanto ha dato per la comunità.
Altra tappa (lultima) è da Enzoil falegname della Chiesa.
Passiamo dal suo laboratorio, all’ingresso del paese. Sta costruendo una sorta di vara per il procuratore della chiesa di Farneta. Lavoro di cesello per sgrossare il legno che da lì a poco prenderà le sembianze di un angelo, di un giglio e di rami di alloro.
Enzo, sposato con una maestra di sci, sogna di costruire una sorta di Arca di Noè nella Valle del Sarmento, al posto di tutte queste opere di Arte Pollino che i più non capiscono e spesso costano svariate centinaia di migliaia di euro.
Gli brillano gli occhi sai che attrazione turistica avrebbe creato una gigantesca Arca in un isolotto in mezzo al Sarmento?.
Andiamo via con una certa tristezza nell’animo, ma con tanta gioia per aver incontrato tante persone splendide che ancora sorridono alla vita nonostante le difficolquotidiane, di isolamento geografico e solitudine di tutti i tipi.
Mentre percorriamo a ritroso la fondovalle del Sarmento i monti si colorano di rosso. Un tramonto che fa ben sperare!

Emanuele Pisarra

 il quotidiano della Basilicata, pag. 26-27 domenica 20 marzo 2011