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Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 31 gennaio 2020

Io non ci sto!


Prendo in prestito l’espressione del presidente Scalfaro per fare il punto e dire il mio pensiero sul perché molti calabresi, e io tra questi,  non si siano recati alle urne.
La Calabria è una regione “difficile” per molti motivi. Non ultimo la criminalità organizzata che, come sostiene il Procuratore Gratteri, dispone del 20% dei voti che mette a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, sia di destra che di sinistra o di centro.
Questo significa che in Calabria il voto non è libero, almeno non lo è in alcune parti del suo territorio.

Tuttavia esiste una cospicua parte di calabresi che, ad ogni tornata elettorale, si tormenta perché non sa a chi dare il proprio consenso.
Io, da un po’ di tempo, mi annovero tra questi perché, da quando è finita l’epoca degli schieramenti partitici, mi sento orfano: orfano di appartenenza in quanto non sono stato in grado di sostituire il  mio vecchio partito di militanza, dissoltosi nel vento,  con un altro.
Non sono di quelli che migrano di partito in partito, di schieramento in schieramento, di movimento in movimento: mi sono semplicemente stufato di votare, di volta in volta, contro qualcuno.

Per questo non comprendo i soloni del pensiero che, all’indomani delle elezioni, proclamano il solito: “avete voluto votare la destra e ora sono affari vostri!

Non è esattamente così. Per chi non ha una nemesi storica dell’andamento del voto in Calabria, ricordo che mai nessun presidente è stato riconfermato per due mandati: ognuno ha vinto con risultati bulgari, salvo poi perdere allo stesso modo.

Non vedo come, anche per queste elezioni, potesse cambiare il responso.
Mario Oliverio (foto da internet)
Fino all’ultimo momento utile, sembrava che il governatore uscente (Oliverio) si presentasse per la seconda volta per chiedere ai calabresi il rinnovo del mandato elettorale. Ed io ero favorevole a ciò  perché, solo se un governatore di Regione svolge almeno due mandati consecutivi, la comunità da lui  amministrata può riceverne benefici, sia in termini di ricchezza economica che di progresso sociale.

Basta guardare la Lombardia o il Veneto: la classe dirigente di queste regioni  è sempre la stessa da più di vent’anni, e i benefici per le comunità amministrate si vedono: sia in termini infrastrutturali che di benessere socio-economico.
La Calabria e i calabresi sono esclusi da questo sistema:  da noi accade che mentre un governatore prepara un piano socio-economico, imbottito di milioni di euro e impegna il denaro in mille progetti (sanità, ambiente, infrastrutture, scuole, università, turismo), non fa in tempo a spenderli perché un solo mandato non è sufficiente per adempiere a tutte le formalità fiscali, soprattutto per i fondi di provenienza europea, e deve lasciare il suo posto a un altro governatore.

Il nuovo governatore propone un nuovo piano di investimento, completamente diverso da quello messo a punto dal suo predecessore, ma anche lui non avrà il tempo di metterlo pienamente in atto…e così via.
Un’altra osservazione da fare è che un governatore di Regione deve avere una cultura politica; cioè deve essere un politico di formazione, cultura e determinazione.
La Calabria non ha bisogno di altre figure come imprenditori o professori universitari per rilanciarsi.

Pippo Callipo in una vecchia immagine
(foto da Internet)
Soprattutto di imprenditori che una prima volta si collocano con uno schieramento, salvo poi cambiare idea per proporsi con uno avverso.
Non sono credibili. Non mi ispirano fiducia, perché  mancano di idee e di un programma; non hanno idea di dove vogliano portare la Regione che si apprestano a governare se la comunità li voterà.
Per questo non mi sono recato alle urne.

Soprattutto perché un partito in liquidazione come il PD, al quale mi sento vicino, ha preteso che il Governatore uscente non si candidasse, senza darne però una motivazione plausibile e ha cercato, in quella che si chiama società civile, un volontario che si sacrificasse e portasse un tale gravoso fardello, illudendosi di trovare in Calabria un imprenditore così illuminato da non doversi dolere dell’azione del precedente governatore.  Ma questo lavoro di ricerca, non è partito qualche mese fa, bensì a pochi giorni dal voto.
Il primo contattato (l’editore Rubbettino) ha rinunciato: non c’erano le condizioni.
Il secondo (l’imprenditore Talarico) si era dichiarato disponibile, ma alla fine è stato scartato.
Il terzo (“il re del tonno” Callipo), ha tentennato, ha preteso alcune garanzie e  alla fine ha accettato.

Ma tutto ciò è avvenuto  a pochi giorni dalla data del voto e senza un programma, senza una lista di nomi di assessori e consiglieri papabili per una nuova assemblea regionale.
Come dire che bisognava prendere o lasciare:  e io ho lasciato.

Elezioni regionali 2020. I quattro candidati a presidente della Regione Calabria
A quel punto ho pensato anche che, per la prima volta in vita mia, avrei seguito  il consiglio, di montanelliana memoria, del turarsi il naso e votare una delle liste avverse e ho valutato lo schieramento di centro-destra.

Tra le loro fila tornavano in campo (o meglio non ne erano mai usciti) vecchi marpioni dal dubbio passato e da amicizie a dir poco discutibili.

No. Non era proprio il caso di sostenere questo schieramento.
Di fronte a ciò, è stato d’obbligo uno sguardo ai concorrenti minori, quelli che hanno una possibilità su un miliardo di vincere, perché non hanno appeal, perché sono fuori dal sistema.

Ed è stato il caso del  prof. Carlo Tansi: persona stimatissima, ottimo insegnante, ma che non reputo un politico.
Non ho avuto la possibilità di ascoltarlo esporre  in pubblico la sua idea di Regione, non ho letto il suo programma elettorale, non ho avuto  modo di venire a conoscenza della squadra di collaboratori candidati al posto di assessore o consigliere regionale.
La sua idea è stata espressa unicamente sui social, che non reputo utili alla formazione di un idea politica.

Anche in questo caso per me si sarebbe trattato di un voto al buio.
 Per quanto riguarda la terza squadra messa in campo,  anche qui si è trattato di un tira e molla fino all’ultimo giorno utile per la presentazione delle candidature.
I dirigenti nazionali,  non volendo impegnarsi personalmente  in competizioni elettorali locali, hanno  chiesto al loro oracolo elettronico (per intendersi la Piattaforma Rosseau) il quale li ha smentiti: di conseguenza sono stati costretti in fretta e furia a recuperare un candidato da presentare ai propri elettori.
Nonostante molti politici d’area si siano proposti, non si sa per quale strano mistero, nessuno è stato  considerato adatto  e fino all’ultimo i dirigenti non hanno avuto  la benché più pallida idea di chi potesse essere presentato come candidato ideale.
Nel frattempo gli esclusi si sono scambiati accuse al vetriolo. Il presidente della Commissione antimafia (Nicola Morra)  si è defilato  e ha dichiarato che non avrebbe sostenuto alcuna lista.

E perché avrei dovrei farlo io elettore?
Così, alla fine hanno tirato fuori dal cilindro il solito professore universitario, nella persona di Francesco Aiello disposto a “sacrificarsi”; ma questi  non ha dichiarato di avere qualche parente recentemente ucciso in un regolamento di conti in puro stile mafioso.
Ho  saputo della sua squadra di lavoro solo qualche giorno prima della data del voto, attraverso un link sulla mia pagina Facebook ma non era riportato né  il programma né alcuna  indicazione di quali fossero le loro priorità in calendario. Niente di niente.
Per questo dico a tutti quelli che accusano gli assenteisti che con il loro comportamento hanno determinato questo esito scontato: io non ci sto!

Non ci sto perché, per una volta  che volevo votare per qualcuno, e non contro, non ho trovato nessuno che mi abbia ispirato un minimo di fiducia “a pelle” tanto da potergli dare il mio appoggio.

Nella mia Calabria è completamente mancato quel pathos partecipativo che, invece, si è visto nella competizione elettorale in Emilia-Romagna.
Mi è sembrato che questa tornata elettorale fosse una pratica da espletare per puro diletto, con ordinarietà, senza nessun coinvolgimento.
Scusatemi se è poco.

Per questo dico: Non ci sto, ad essere accusato di qualunquismo, menefreghismo e assenteismo.

Alla prossima volta! O alla volta in cui un candidato – preferibilmente di centro-sinistra – mi sappia sottoporre un elenco di collaboratori credibili, un programma  fattibile dietro al quale vi sia  una sua idea chiaramente delineata di Regione.  
Altrimenti continuerò a non andare a votare – pur consapevole che il voto oltre ad essere un diritto è un dovere -  perché non mi aspetto nulla di nuovo da questa nostra classe politica.

Emanuele Pisarra