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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

sabato 30 dicembre 2023

Una fortezza in cima al monte Manfriana

 Ancora oggi è oggetto di studi l’area apicale della cima del monte Manfriana.

Per tutta la superficie si trovano sparsi sedici blocchi di roccia squadrati di varie dimensioni, pronti per essere usati per innalzare una costruzione, ma chi sia stato a scolpirli non si sa. 

Così come non si conoscono i motivi che spinsero un popolo a raggiungere la sommità di questa cima, crearvi un insediamento, seppur temporaneo, per aprirvi una cava, estrarre e lavorare quei grossi blocchi di roccia e lasciarli sulla cima in attesa di essere collocati in ordine da qualche parte. 


Dalle ricerche effettuate agli inizi degli anni Novanta è emerso che la lavorazione dei blocchi risale al periodo greco tra il VI e il IV secolo a.C. 


Il monte Manfriana si trova a metà del lungo sinclinale riconducibile alla catena di vette Timpa del Principe – Serra Dolcedorme – Monte Pollino, disposto in senso Sud-Ovest/ Nord-Est ed è formato da due cime: una occidentale e l’altra orientale.

Che si volesse innalzare un piccolo edificio si evince dal fatto che uno dei blocchi di roccia è a forma di architrave, posto in una buca, proprio a pochi metri dalla cima. 

Gli altri sono quasi tutti a forma rettangolare, tranne uno che ha dimensioni uguali (un quadrato?). 

Tutti presentano su di un lato una profonda incisione che, a detta degli esperti, è identificabile con l’incavo dove si inserisce un cuneo affinché i blocchi non slittino una volta messi uno sull’altro. 

Proviamo a descrivere il luogo. 

In mezzo trova posto una conca, conosciuta come l’Afforcata, nei cui pressi sorgeva un insediamento pastorale (fino a non molti anni fa.) almeno fino a quando le nevicate abbondanti si trasformavano, in periodo estivo, in una piccola fontanella dalla quale si poteva attingere acqua. È curioso il fatto che questa piccola sorgente di volta in volta appariva e scompariva in diversi punti alle pendici di entrambi i versanti delle due cime.


I cambiamenti climatici hanno fatto sì che non nevichi così intensamente da alcuni anni e, quindi, la sorgente è scomparsa. Di conseguenza anche l’insediamento umano non esiste più. Il tempo ha distrutto anche i resti delle capanne di legno e lamiera che facevano da ricovero per uomini e capre. 

Per questo non è azzardata l’ipotesi che la cima orientale fungesse nei tempi antichi da posto di guardia e l’Afforcata da punto di ristoro e riposo tra un turno e l’altro.


Anche se la Manfriana è una cima di poco sotto i duemila metri di quota, la sua posizione a piramide la rende inconfondibile da qualsiasi punto la si guardi.


Inoltre, una mia ipotesi personale, tutta da verificare, consiste nel fatto che la Manfriana potesse fare da ponte per le comunicazioni tra le città magno-greche poste sulla costa ionica (da Sibari, a Policoro, Metaponto) con le altre comunità della costa tirrenica, in primis Paestum.

Ho sempre pensato a una linea immaginaria che collega la prima “stazione” di comunicazione posta sul Monte Coppolo, nel territorio di Valsinni, con la Manfriana. Entrambe le cime si “guardano” bene e sono ubicate a controllo di due delle “vie istmiche” che consentivano l’attraversamento del Massiccio del Pollino verso la Basilicata.

Una di queste sale dalla Piana di Sibari, lungo la valle del Caldanello, nel territorio di Cerchiara di Calabria, per poi proseguire, una volta oltrepassata la Valle del Torrente Maddalena, verso il Sinni e quindi le città greche lucane. 


Sembra che questa strada fu percorsa più volte anche dall’imperatore Federico II di ritorno dai suoi viaggi in Sicilia per recarsi a Melfi e, secondo alcuni storici locali, il nome “Manfriana” derivi proprio dalla storpiatura di “Manfredi”, il figlio prediletto del grande condottiero.

Un’altra via è costituita dalla Valle del Raganello.

All’altezza dell’abitato di Civita, esisteva una via che conduce lungo il crinale roccioso, sulla sponda destra orografica del torrente Raganello, fino al valico della Falconara per poi ricongiungersi con la direttrice che proviene da Cerchiara per poi scendere al Sinni.

La realtà di queste vie lo dimostrano i ritrovamenti e gli insediamenti recentemente trovati nelle due valli.

In entrambi i casi l’insediamento sulla Manfriana fungeva da punto di riferimento e controllo delle due vie.

Con questa finalità, i volontari della sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano, hanno inteso proporre il sentiero che collega la località di Colle Marcione con la Manfriana, ricalcando il possibile tracciato utilizzato da coloro che prestavano servizio di guardia in vetta.

Dopo un primo tratto immerso nella faggeta si esce sul crinale di Timpa del Principe e, da questo momento e per le due ore successive di cammino, è un continuo saliscendi con una vista dagli ampi panorami: a Ovest tiene la scena tutta la Valle del Coscile (l’antico Sybaris), chiusa dalle quinte dei monti della Catena costiera calabrese, a Est, le ultime rocce delle Timpe digradano verso la Piana di Sibari e il mare ionico; chiude l’orizzonte il crinale di monti della Sila greca.

Non è raro che nelle giornate ventate si mostrino in tutta la loro bellezza il Golfo di Sibari e le due “protuberanze terrestri” di Capo Trionto e Punta Alice.

Il numero del sentiero è il 941.

Emanuele Pisarra




PS

Questo articolo è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista "Il Calabrone" in edicola in questi giorni.