Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

mercoledì 30 dicembre 2015

Parchi nazionali, quale futuro?


È finito anche il 2015 e la storia dei parchi nazionali, o meglio quella che si è trasformata in telenovela delle aree protette d’Italia, non si è ancora chiusa.

Pini loricati lungo il versante occidentale della Murgia di Celsa Bianca
(Photo di E. Pisarra)
Un anno speso tutto attorno all’Expo 2015.
L’ordine, arrivato dall’alto del governo per tramite del ministero dell’ambiente, è stato: spendere tutto, in termini di energie, denari e personale, per organizzare eventi sul territorio e a Milano in particolare per mostrare agli italiani (e non solo) le bellezze dei nostri parchi.
Teatro di questi eventi, oltre al padiglione della Biodiversità, è stato il Mondadori Center, una struttura presa in affitto dai vari Enti parco per presentare mostre, libri, materiali audiovisivi sui propri parchi.
Significativa è stata una delle esperienze vissute dallo stand che ospitava il Parco del Pollino. Al momento della presentazione, concordata con la Direzione per l’allestimento di una mostra fotografica e della presentazione di un libro, mancava tutto: quindi il Direttore del Parco, l’Autore della mostra e alcuni collaboratori sono andati in un Brico center e hanno acquistato chiodi, martello e quanto altro potesse servire per l’allestimento.
Roba da matti!
Altro problema: la mostra e la presentazione del libro (uno dei tanti) verso chi era diretta?

Non si sa.
In cammino verso la Manfiana
(Ph. di E. Pisarra)

L’ufficio comunicazioni del nostro Parco è composto da un solo giornalista professionista.
Ovviamente a questo giornalista non è stato possibile partecipare a nessun evento a Milano e tanto meno organizzarne qualcuno. Ed ecco che così, almeno per uno degli eventi del quale abbiamo notizie, hanno partecipato solo cittadini calabro-lucani residenti a Milano e dintorni.
Bello ma non sufficiente. Nel senso che se la manifestazione aveva l’intento di mostrare le bellezze del Parco a un pubblico di potenziali fruitori, possiamo sicuramente parlare di un grande fiasco, in quanto i nostri corregionali conoscono già il Pollino e magari vengono qui spesso in vacanza.
Quindi con questa manifestazione non abbiamo raggiunto nessun nuovo “cliente potenziale”, tanto per usare il gergo della comunicazione.
Invece, l’altro Parco calabrese ha un ottimo Ufficio comunicazioni tramite il quale ha affermato di essere stato nel corso del 2014 il Parco del Meridione più visitato in assoluto.
Alla domanda di mostrare o fornire la fonte di questi dati, però si rifugiava nella classica risposta “questo non è il luogo per dare informazioni tecniche”.
Ovviamente ragguagli più precisi sulla fonte di questi dati non sono stati mai mostrati, pubblicati o in qualche modo resi noti.
Il risultato è stato però che è passato il messaggio: il Parco della Sila è stata l’area protetta più frequentata della Calabria per il 2014.
Se però la domanda la si gira agli operatori turistici di Camigliatello, lascio immaginare al lettore di questo post, la risposta.
Non parliamo poi degli operatori turistici di centri meno noti, ma altrettanto caratteristici.
 Quindi questo messaggio ha avuto diffusione grazie a una potente macchina pubblicitaria.

Di grazia, non possiamo trovare una via di mezzo?
è sempre vero che i dati, in assenza di numeri precisi e dettagliati, si possono interpretare come si vuole. Infatti, se Civita, Rotonda, San Severino Lucano, così come Camigliatello Silano, Lorica o Marsico Nuovo, hanno avuto un incremento di presenze rispetto agli altri anni, non vuol dire che di questo dato ne abbiano beneficiato anche tutte le comunità del Parco.
Quanti escursionisti hanno raggiunto il Castello di Cersosimo? Oppure quante persone hanno visitato il centro storico di Fardella, San Sosti, Buonvicino (che tra l’altro ha uno stupendo e ben organizzato Museo della Civiltà contadina)?

Si capisce bene che la teoria dei “due polli” di Trilussa non funziona. Non funziona perché non c’è una redistribuzione equa dei visitatori in tutto il territorio del Parco. Anche perché, oltre all’assunto imperante che il Pollino è solo Piano Ruggio e Colle Impiso, ci sono situazioni oggettive di impossibilità di accesso alla montagna. Mi riferisco alla possibilità, ormai preclusa da anni, di raggiungere comodamente il Piano di Lanzo, punto di partenza ideale per tutte le vette dell’Orsomarso. Nessuno se ne preoccupa. Così come è ancora impossibile raggiungere da Campotenese il Piano di Novacco, punto nevralgico per lo sci da fondo e per l’escursionismo sul gruppo montuoso che ruota intorno a quel pianoro.

i grandi boschi del Pollino in veste autunnale
(Ph. di E. Pisarra)
Anni fa lanciai l’idea di valorizzare alcuni “start point” (Punti di Partenza) presenti in tutto il Parco e che in gran parte sono abbandonati a se stessi.
 
Ovviamente non se ne fece niente, visto che il nostro Ente Parco, come molti altri, è teso ad inseguire patacche che nulla hanno a che fare con il governo del territorio e le iniziative di conservazione.
Abbiamo conquistato la “patacca” della CETS, poi siamo entrati nei Geoparchi dell’Unesco, abbiamo partecipato all’expo 2015, organizzato trenta eventi in tutto il territorio riguardanti il cibo, premiato cuochi stellati che hanno fior di imprese nelle maggiori capitali del mondo (senza curarci di quelli che ogni giorno creano con sapienza antica nelle cucine dei rinomati ristoranti locali) ma non abbiamo fatto nulla per la montagna nel senso compiuto del significato.
La montagna è sempre più sola. A volte si cammina per giorni interi senza incontrare nessuno. Non riusciamo a realizzare una rete sentieristica efficace ed efficiente, non abbiamo una rete di rifugi aperti e fruibili in tutto il territorio, né una segnaletica uniforme e capillare che indichi il perimetro del Parco; non ci sono punti informativi in luoghi strategici del territorio e i centri visita, voluti e realizzati dalle precedenti dirigenze, sono abbandonati con fior di milioni di euro di attrezzature che languono in balia di topi, pioggia e vento.
Che tristezza!
Eppure i Centri Visita sono unanimemente considerati le “vetrine” del territorio e devono essere direttamente gestiti da personale dipendente dell’Ente di gestione.
Il Parco del Pollino è tagliato in senso longitudinale dall’autostrada Salerno – Reggio Calabria e ha diverse aree di servizio dove in molti si fermano per un momento di sosta. In nessuna di queste aree c’è un pannello esplicativo e informativo del Parco, nessun monitor che illustri le peculiarità dell’area protetta: e molti gestori di queste aree di servizio se ne lamentano.
Forse in compartecipazione con la proprietà dell’autostrada non si potrebbe pensare a realizzare pannelli, punti multimediali, uffici informativi?
L’area di servizio di Frascineto ha un ufficio turistico istituito da tempo dalla Regione Calabria, in via di dismissione, con scarso materiale informativo che non sia la brochure di un albergo di Tropea: come è possibile che questa finestra del turismo in Calabria sia chiusa al fine settimana e nei giorni festivi, proprio quando la rete stradale è intensamente trafficata?
Il segno della scarsa attenzione del Governo, delle autorità locali verso le aree protette è palese.
Scrivo queste riflessioni mentre con un orecchio ascolto la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio che, nelle slide di rendicontazione dell’attività dell’anno quasi trascorso, riguardo all’ambiente si limita a citare solo le leggi contro i disastri ambientali, il problema dello smog e delle macchine elettriche. Nessun accenno alle aree protette, alla nomina dei componenti dei vari Consigli direttivi che sono in attesa di essere completati da ormai due anni, nessun riferimento alla mancanza dei direttori da altrettanto tempo, allo stanziamento di fondi per i Parchi, di progettualità, alla creazione di quella che in molti chiamano economia verde (green economy), dove per ogni euro investito si ha un ritorno di cinque euro in servizi, qualità della vita, ed economia locale.
Ma questo tipo di economia “rende” poco in termini politici, è un investimento a lungo tempo e nessuno politico ai vertici di questi enti è disposto a impegnarvisi e a sostenerlo.
D'altronde già il povero De Gasperi affermava che gli statisti pensano alle future generazioni mentre i politici spendono le proprie energie in funzione delle prossime elezioni.
Allora sorge il dubbio che un politico non sia esattamente la figura più adatta alla presidenza di un Parco. E qui siamo di nuovo al punto di partenza: quali devono essere le caratteristiche del dirigente di un area protetta?
Io che da sempre sono un filo americano, già anni fa, leggendo un documento del Servizio Parchi degli Stati Uniti (Rethinging the National Parks, del National Park Services, del 2006), scrissi che urgeva rivedere anche in Italia la normativa che governa le aree protette (la 394 del 1991 con le successive modifiche). In parte la legge è stata rivista già dal governo Monti il quale però si limitò a dare una limata alla governance, togliendo due membri dal Consiglio Direttivo – e bene ha fatto – eliminando qualsiasi gettone di presenza (e male ha fatto), e, soprattutto, congelando fino alle fine del 2013 qualsiasi iniziativa.
Inutile dire che i governi successivi non hanno fatto nulla di nuovo, eccetto che limare ulteriormente i finanziamenti alle aree protette con il risultato che molti Enti Parco sono privi di personale, direttore, consigli direttivi e tecnici. 
O forse questa è una strategia? Nel senso che si va verso “un uomo solo al comando”, bypassando i Consigli Direttivi, la Comunità del Parco, le popolazioni e, in ultimo, il territorio pur di non sforare i limiti del Prodotto Interno Lordo?
Come se ne esce?
Da quando l’economia ha il monopolio della vita sociale, ambientale e culturale dei popoli mi vien da dire che non se ne esce.
Tuttavia voglio “pensare positivo” e dire la solita frase comune: il 2016 sarà l’anno della svolta.

Immagino tale svolta con queste priorità:
 
a.     i direttori siano scelti con pubblico concorso;

b.     sia abolito l’Albo dei Direttori di Parco;

c.      il presidente di un Parco sia scelto per titoli ed esami che comprovino le sue competenze riguardo a  cosa si vada a fare;

d.     il presidente di un Parco resti in carica per soli due mandati;

e.     sia “certificata” con una apposita norma la figura del vicedirettore per i parchi più grandi o multi regionali;

f.       ci sia un cospicuo finanziamento per le aree protette di tutta Italia;

g.      ogni parco abbia un congruo numero di centri visita, ben distribuiti sul territorio;

h.     le Guide Ufficiali “contino” un po’ più del due di picche;

i.       il Corpo Forestale dello Stato rimanga l’organo vigilante nelle aree protette;

j.       si cambi il Ministro dell’ambiente;

k.      il WWF e le altre associazioni ambientaliste ritornino ad essere quelle di un tempo;

l.       sia abolito ogni finanziamento alle associazioni ambientali;

m.   si spenda più denaro nella prevenzione degli incendi, invece di comprare sempre più nuove autobotti per il servizio di spegnimento del fuoco;

n.     i popoli nei/dei parchi possano trovare lavoro nel proprio territorio;

o.     tutti gli animali del creato possano vivere in un mondo di pace e di rispetto reciproco;

p.     un giorno non ci sia più bisogno dei Parchi.

 

Buon 2016 a tutti voi.

Che sia ricco di tante gite ed escursioni alla scoperta dello splendido patrimonio naturale della nostra bell’Italia: il più bel Paese del mondo!

 

 

sabato 19 dicembre 2015

Cementificio

Forse il cementificio di Castrovillari chiude i battenti.
Mi verrebbe da dire: finalmente!

Cementificio di Castrovillari (foto dal web)
Invece non lo dico. Non lo dico perché rappresenta comunque una pagina storica del nostro territorio del tentativo di industrializzazione forzata di una zona in un’ottica temporale che imponeva la costruzione di fabbriche in un’area che aveva tutt’altre vocazioni.
Non si può andare contro la storia.
E allora ben vengano gli insediamenti industriali anche se portano con sé tante problematiche che una classe dirigente, digiuna di sindacato, è consapevole di non essere in grado di reggere.
In compenso sembra che il nuovo corso della storia appena iniziato apriva le comunità a nuove strade inesplorate. L’euforia era tanta. Molti cittadini del territorio emigrati in Italia e all’estero vengono richiamati, i paesi si ripopolano, pare che inizi una nuova storia che porti fuori dalla miseria questi territori.
Si inizia con la industrializzazione di Cammarata con la costruzione di impianti per il tessile.
Tra Castrovillari e Frascineto, invece, nasce il Cementificio.
Siamo agli inizi degli anni settanta.
La storia di Cammarata la conosciamo tutti: per un decennio, complici le commesse pubbliche di esercito e altri, gli impianti vanno a gonfie vele.
Gli operai sono felici, i paesi sono vivi, e anche le campagne tornano a rivitalizzarsi.
Ma questa sorta di paradiso in terra, ha una durata breve.
Finite le commesse statali, diversi altri imprenditori, si alternano alla proprietà delle industrie tessili calabresi. Tutti con la stessa sorte: sfruttamento del finanziamento pubblico, riconversione degli impianti, cassa integrazione, fallimento.
Una storia che si ripete fino a pochi anni fa e decreta il fallimento dell’industrializzazione di Cammarata.
Da qualche anno Cammarata è ritornata ad essere il capoluogo del distretto alimentare della Piana di Sibari.

Il cementificio

 In un primo momento sembra che a questa “sceneggiatura” il cementificio possa scansarla.
Si stanno ristrutturando interi paesi; c’è bisogno di cemento per rifare case, strade, edifici pubblici.
I costi, la scarsa cultura edilizia delle comunità, le esigenze di fare in fretta: tutti elementi che concorrono a consumare cemento.
Spariscono gli scalpellini, si azzerano i falegnami, viene meno tutta una categoria di operatori in favore di “mastri muratori”.
Interi abitati si “spaesizzano”: vie un tempo selciate, ora cementificate.   
Chilometri di muri fatti con pietre a secco, smantellati in favore di barriere di cemento, dritte, più sicure, grigie.
Edifici pubblici come scuole, municipi, caserme subiscono un restyling “cementizio” proprio perché bisognava andare avanti, far lavorare la fabbrica del territorio, dove prestavano la loro opera centinaia di lavoratori in rappresentanza di quasi tutti i paesi del circondario. 

Fa niente se, ogni tanto sui vigneti di quello che doveva essere l’area del vino doc Pollino, al mattino presto le viti venivano ricoperte da una cenere sottile portata dal vento.
Non ci voleva molto per capire la provenienza di quella cenere.
Tuttavia la necessità del lavoro faceva sì che nessuno osava protestare.
Una sola volta, quando a Castrovillari, vi era un forte movimento ambientalista con a capofila il WWF, seguito a ruota dalla LIPU: si faceva a gara chi doveva essere la prima donna del Pollino in questioni ambientali.

Ben presto i compiti si separarono e la LIPU si occupò di ambiente, mentre il WWF seguì le problematiche legate di più all’istituendo Parco del Pollino.

In questa veste il presidente della LIPU di allora, bravo fotografo, più volte seguì la questione del cementificio, in questa fase storica, forse l’impianto più produttivo d’Italia, con una serie di foto agli infrarossi che documentavano la fuori uscita di particelle solide dalla ciminiera della fabbrica.

La denuncia non ebbe nessuna eco.

I vertici dello stabilimento, complice la politica locale e il sindacato, per tutti questi anni hanno fatto i loro interessi.

Oggi, cambiano gli attori in gioco, l’impianto è stato venduto ad una nuova società tedesca, complice il calo delle vendite, l’impianto di Castrovillari rischia la chiusura.
Sarà ridotto ai minimi termini a partire dagli inizi del prossimo anno e ancora una volta mostrerà il fallimento industriale del territorio.
Ma vediamo il risvolto della medaglia.
Se l’impianto chiude alla produzione di cemento, potrebbe benissimo aprirsi alla bruciatura di immondizia.
Ne ha tutte le caratteristiche tecniche.
Otterremmo due risultati: non vanno a casa diecine di lavoratori e contribuiamo a mantenere un po’ più pulito il territorio che ne ha molto bisogno; anche in funzione alla nuova vocazione turistica e dell’agro alimentare che sta prendendo piede.

venerdì 18 dicembre 2015

Avvertenza: Variante di Frascineto al Pollino


Ci sono alcune strade inutili, che non dovevano essere realizzate e che non servono allo scopo.
Una di queste è la strada fortemente voluta da uno dei sindaci di Frascineto di qualche anno fa con la scusa che anche loro devono poter andasre in montagna senza passare per Civita.
Negli anni passati ci fu una forte opposizione da parte delle associazioni ambientaliste del territorio e dal Corpo Forestale dello Stato.

Il cancello chiuso alla fine della strada di
Frascineto al Pollino
Poi cambiarono i governi, le associazioni ambientaliste sono cadute in disgrazia, l’alto dirigente del CFS andò in pensione e quindi fu il momento di riproporre il progetto.
E allora, in un classico voto di scambio, la direzione del tempo dell’Ente Parco del Pollino diede le autorizzazioni necessarie.
A Frascineto si gridò alla vittoria.

Gli ambientalisti (tra i quali anche il sottoscritto) ammisero la propria sconfitta.
Non tanto del movimento ma da parte delle istituzioni. Infatti, se avevano perso le associazioni ambientaliste, la comunità non ci aveva guadagnato.

Sembrò un grido nel deserto. Ma il tempo ci diede ragione.
Proprio qualche giorno fa feci un giro – per la prima volta – con il fuoristrada per verificare se ci fossero le condizioni per inserire il percorso in un programma di trekking.

Ebbene, arrivato in basso, trovai la strada sbarrata da un cancello.
La cosa mi inquietava molto, soprattutto per il fatto che ero costretto a rifare la strada al contrario. Allora decisi di chiamare il comando dei vigili urbani per farmi venire ad aprire il cancello.

Per la verità venne il capo vigile in pochissimi minuti. Temetti una multa ma poi, visto che all’inizio della discesa in alto non c’era nessun cartello di divieto, non poteva contestarmi nessuna contravvenzione.  
Ancora una volta il tempo ci ha dato ragione.

Alla richiesta di come mai ci fosse un cancello e anche chiuso, il capo guardia mi rispose che la strada era pericolante e spesso oggetto di caduta massi e quindi per la pubblica incolumità si decise di chiuderla al traffico.
Una ottima idea!
La strada, in forte pendenza, ormai piena di buche, di sassi che ostruiscono il passaggio, non ha più ragione di esistere.
Se fossimo in uno stato serio qualcuno dovrebbe dar conto di ciò.
Ma siccome ultimamente lo stato è assente … invito calorosamente ad evitare questa strada.

È meglio salire in montagna dal lato di Civita.
Come è sempre stato.

Evolution

                                                      
Giuseppe Chidichimo, oltre ad essere un ordinario di chimica fisica, già direttore dell’omonimo dipartimento all’Università della Calabria, ore è anche uno scrittore di storie spionistiche.

Fin qui nulla di male.
Giuseppe Chidichimo, Evolution,Pellegrini
 Editore, Cosenza, 2015

Invece, è interessante come il prof Chidichimo abbia saputo costruire intorno ad una storia – apparentemente abbastanza classica di spionaggio tecnologico – l’ambientazione degli eventi intorno e dentro il Massiccio del Pollino.

Un ufficiale della Marina militare, vittima di un incidente durante un’azione di guerra, decide di prendere i voti ed inizia un periodo di noviziato presso un convento di monaci domenicani di un paese della Calabria.
In questo convento arriva un professore di chimica dell’università della Calabria, malato, che ha fatto una scoperta sensazionale.

La scoperta suscita interesse da parte di potenze straniere che si lanciano sulle sue tracce.
E qui entra in scena il Pollino.
Uno scenario perfetto. Le gole del Raganello, Il canyon, Il Santuario di Madonna del Pollino, Civita, san Lorenzo Bellizzi, Santa Severina Lucana (San Severino Lucano) Terranova del Pollino, il casino Toscano, come scrive Chidichimo, sono degli ottimi scenari per ambientare una storia legata alla fuga di uno scienziato preoccupato del fatto che la sua scoperta possa cadere in mani nemiche prima che sia stata sperimentata e capiti gli usi a fini pacifici.
Non dirò nulla sulla scoperta scientifica del protagonista.

Mi fermerò molto sulla fede che il protagonista della storia porta con sé.

Una fede forte che sorregge il protagonista così come tiene l’autore: oserei dire che questo passaggio sia quasi autobiografico. La continua ricerca del conforto nella fede a supporto delle scelte che il protagonista si trova a dover prendere.

Sullo sfondo di tutto ciò la bellissima storia d’amore con Paola, assistente del professore di chimica, la quale, complice il tempo impiegato a risalire il Raganello, insidia le sue convinzioni religiose fino a …

Un bellissimo racconto che non esisterei a definire una spy story di tragica attualità.

Maledetta, sciagurata riforma Biagi

Premetto che non conosco la riforma Biagi, non sono un giuslavorista e non mi occupo di lavoro.
Tuttavia, scrivo questa riflessione, una mattina mentre cammino per le vie di un paesino della Calabria, meglio dell’alto Jonio cosentino.

Marco Biagi
 
All’improvviso mi imbatto in un gruppo di lavoratori che bighellonano tra i vicoli del paese, certi che nessuno li veda e li ascolti nei loro ragionamenti semplici ed opportunistici.
Mostrano quanto la loro voglia di lavorare sia pari a zero.
Sicuri del fatto che nessuno li coordina, che non ci sia un piano di lavoro, che nessuno li sorvegli, girano tra i vicoli e non disdegnano di assaggiare il nuovo vino.
Anzi, pare che, per quel giorno, sia lo scopo della giornata: si elevano a novelli sommelier, pronti a dare giudizi, anche sprezzanti, verso coloro che non si offrono a far degustare il proprio nettare degli dei.   

La gente comune li guarda con un occhio a dir poco … arrabbiato!
Ma come è possibile, si chiedono in molti, che nessuno controlli questi lavoratori?
E dire che in questo momento sono in gioco le loro sorti. Infatti, alla regione Calabria, stanno discutendo se continuare a tenerli o mandarli a casa.
Per la verità nessuno scommette un centesimo che qualcuno oserà mandarli a casa. A fare cosa?
La maggior parte di loro sono ultra cinquantenni e quindi sono fuori mercato.
In molti in tutti questi anni non hanno acquisito nessuna professionalità e quindi metterli fuori significherebbe che andrebbero ad ingrossare le fila già ingolfate degli uffici dell’impiego.
Maledetta riforma Biagi.
Cosa hai combinato.
Hai creato un vero e proprio ginepraio dove ormai non è più possibile uscirne senza danni.
Infatti, molti di questi sono stati presi ed impiegati nei vari uffici pubblici e quindi sono diventati indispensabili per molti servizi.
Se vanno via loro sono a rischio diecine di servizi pubblici.
Questo sempre grazie alla riforma Biagi.
Grazie a questa riforma per i prossimi vent’anni non si faranno più concorsi pubblici e quindi la qualità dell’impiegato sarà sempre più scadente.
Se a questo aggiungiamo che molti dipendenti comunali sono andati in pensione, abbiamo così il quadro della situazione. Molti comuni privi di diverse figure tecniche e amministrative, alle quali hanno sopperito con incarichi a tempo determinato e spesso in comunione con altre municipalità. Il risultato è – per esempio – la manutenzione ordinaria del verde pubblico non si capisce a chi è demandata.
Siccome il geometra o ingegnere capo dell’ufficio tecnico deve dividersi fra vari comuni, non ha il tempo materiale per pianificare gli interventi nei singoli municipi.
E allora il sindaco pro tempore, è allo stesso tempo, primo cittadino e capo ufficio tecnico.
Come accade a molti sindaci dei nostri piccoli paesi, essendo al contempo lavoratori presso altre strutture, prima di andare al proprio ente di appartenenza, svolgono un primo incontro mattutino con i propri dipendenti comunali e poi si recano al lavoro.
Ritornano al paese nel tardo pomeriggio. Per tutto questo tempo l’ente comunale è sprovvisto di dirigenti.
E allora gli operai della sciagurata riforma Biagi fanno i loro comodi.
Comunque il vino non è ancora buono: non ha fatto per niente freddo!

mercoledì 2 dicembre 2015

Il Parco del Pollino e il fuoristrada

Che spesso un parco nazionale sia una specie di luna park dove tutto è ammesso, permesso, concesso e autorizzabile è un dato di fatto.
Sicuramente è un difetto di “comunicazione” su cosa si può fare o non fare in un area protetta e quali sono gli scopi per i quali è stata istituita.
Una scarpata a Piano Ruggio "solcata" dai fuoristrada (foto dal web)
Pare che sul Pollino questi assunti siano del tutto sconosciuto alla comunità.
Oppure si affrontano al momento del bisogno, come nel caso sollevato da un gruppo di arrampicatori della domenica.
Bastava, sabato mattina, essere passati per Piano Ruggio per capire come le principali ed elementari norme comportamentali siano state del tutto travisate.
Un gruppo di appassionati di fuoristrada estremo ha scorrazzato in lungo e in largo per il Piano, scendendo lungo scarpate ripide, per provare la tenuta dei nuovi pneumatici invernali, oppure delle ultime modifiche fatte all’assetto stradale della macchina, noncurante dei profondi solchi creati, dei fossi profondi realizzati nella neve e sui pendii e senza preoccuparsi dei danni creati alla fauna selvatica e ai tantissimi abitanti “minori” del parco.
Evviva!
Profondi solchi provocati dalle ruotate di potenti fuoristrada (foto dal web) 
Eppure si parla tanto di sviluppo sostenibile, ecocompatibile e tante altre fregnacce del genere, pronte ad essere disattese alla prima occasione.
Quad, fuoristrada super equipaggiati, moto da trial e da enduro vagano senza timori in tutto il territorio del Parco su sterrato e, spesso, in fuori pista, tra i prati e i pendii ripidi.
A quanto un regolamento serio, deciso, rispettoso dei principi di sostenibilità che deve perseguire un Parco nazionale?
Sembra che si procedi a “gambero”, ossia ogni qualvolta qualcuno solleva un problema si pensa poi a come regolamentarlo.
Prima non si può pensare a cosa si vuol fare “da grande” in questo territorio?
Chilometri di piste sterrate abbandonate a se stesse, piene di buche, avvallamenti, frane, crolli, adatte ad essere fruite da chi possiede mezzi fuoristrada super dimensionati, mentre la stragrande parte dei cittadini che per un giorno (o più) vuole stare in pace, farsi una passeggiata in piena tranquillità e in silenzio, si vede arrivare all’improvviso una carovana di jeep pronti a sfidare qualsiasi frana sfoggiando le più sofisticate attrezzature per superare l’ostacolo. Ed eccoli in azione con verricelli, piastre da fango, carrucole, corde e nastri da agganciare al primo albero robusto a tiro.
carosello di ruotate al Piano di Ruggio (foto dal web)
Negli ultimi tempi mai nessuna vigilanza ha osato sanzionare questi comportamenti a dir poco “ecocompatibili”. Anzi, spesso, autorizzati dagli uffici preposti del Parco, perché anche questo è un modo di fare turismo e “portare” gente sul Pollino.
Ovviamente, pur essendo proprietario di un fuoristrada di serie, senza elaborazioni varie, non condivido questo modo di fare turismo nel nostro Parco.
Infatti, una delle condizioni principali che pongo a tutti coloro che vengono in gita con me è il massimo rispetto per l’ambiente e i luoghi dove andiamo.
Sono di tutti e non di uno sparuto gruppo di fortunati in fuoristrada.