Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

mercoledì 13 febbraio 2019

Chi va veloce non vede nulla ...


"Pis trechi glìgora de thorì tìpote", chi va veloce non vede nulla
CLAUDIO CAVALIERE
13 FEBBRAIO 2019
E’ il motto che introduce il trekking grecanico all’interno del Parco nazionale dell’Aspromonte della Naturaliter, cooperativa turistica nata nel 1998, con sede a Condofuri i cui soci, Pasquale Valle, Ugo Sergi, Andrea Laurenzano, calabresi doc, si sono assunti il compito di favorire, estendere ed implementare la cooperazione tra le comunità locali nelle aree scarsamente popolate del Mediterraneo, creando per esse opportunità di sviluppo compatibili con le risorse ambientali, ed occasioni di incontro sociale e culturale coi viaggiatori della natura.
Per questo offrono un mix affascinante di proposte di cammino grazie alla creazione di una rete di servizi turistici in aree protette, capaci di coinvolgere la comunità locale, attraverso percorsi di partecipazione e cooperazione. La Naturaliter ha appena sponsorizzato la nuova Carta escursionistica dell’Aspromonte che riporta la Rete sentieristica che interessa l’intera area protetta aggiornata a inizio anno. Una tavola in scala 1:70.000 mostra l’intero perimetro del Parco e la sua collocazione geografica, con la rete viaria in grado di raggiungere tutte le località e i centri abitati dell’area protetta. Vi sono riportate le emergenze ambientali, cascate, grotte ipogee, formazioni rocciose, gole, sorgenti e la copertura forestale a uliveto, boschi di latifoglie e conifere. E’ Inoltre riportato il tracciato del Sentiero Italia, del Sentiero del Brigante e l’intera Rete sentieristica ufficiale (con la relativa numerazione) ricadente all’interno dell’area protetta. L’altra tavola è di dettaglio. In scala 1:30.000, evidenzia il settore meridionale del Parco Nazionale dell’Aspromonte e, precisamente, l’intera area grecanica. In questa tavola è riportato, per la prima volta, il tracciato del “sentiero dell’Inglese”, il viaggio che Edward Lear compì nell’estate del 1847 nell’area grecanica. “Abbiamo affrontato la salita per Bova per diverse ore. Ma pur camminando faticosamente verso Bova, la città sembrava il vascello fantasma, mai vicina. … e davvero magnifica era la vista guardando indietro … l’immensa prospettiva di linee degradanti e di torrenti era certamente una delle più suggestive scene che si possano trovare nella bella Italia”. (E. Lear. Diario di un viaggio a piedi, Rubbettino editore, 2009). Da Pentidattilo a Staiti in otto giorni, la Naturaliter organizza anche questo trekking con asini al seguito per il solo trasporto dei bagagli, sull'itinerario percorso dal paesaggista viaggiatore inglese. L’obiettivo non è solo quello di utilizzare gli asini per un trekking speciale, ma dare anche un contributo fattivo al tentativo di contrastare l'estinzione del forte e testardo quadrupede. L’opera di ripopolamento della specie asinina ha raggiunto un primo risultato, un evento storico: dopo 30 anni, il primo parto in Aspromonte! Con la nascita di Gelsomina, e poi di Ciccio. Le coordinate della Carta sono riferite all’ellissoide internazionale WGS84; il reticolo di riferimento è UTM Fuso 33. Alla costruzione della Carta ha contribuito anche Emanuele Pisarra geografo, calabrese di Civita, guida ufficiale del parco nazionale del Pollino, socio della Società geografica italiana, giornalista naturalista, titolare dell’agenzia Acalandros Tour che ha elaborato i dati per l’Acalandros Map Design e con il quale abbiamo dialogato.
Claudio Cavaliere.
La Calabria è terra di parchi ma è evidente che non esprimono il potenziale possibile. Tu hai sempre avuto un atteggiamento critico ma costruttivo verso la gestione dei parchi calabresi. Cosa manca e cosa occorre perché affermino pienamente il loro ruolo istitutivo che è di tutela, di valorizzazione, di educazione e di sviluppo?
La situazione dei Parchi calabresi, così come quella di tutte le aree protette d’Italia, è il risultato di una mancata politica di sviluppo incentrata su chi deve fare cosa e quale deve essere la “mission” di un parco.Il discorso sarebbe molto lungo. In breve, i dirigenti dei parchi calabresi (ma, sottolineo, non solo loro, bensì tutti quelli delle aree protette del nostro Paese) si sono trovati, all’improvviso, senza direttive da parte dello Stato (leggasi Ministero dell’Ambiente) e ciò ha prodotto una politica del “fai da te” sulla scia di quanto avvenuto con le vecchie Comunità montane, nel momento in cui sono andate in via di dismissione. Praticamente si è voluto abbandonare lo spirito dell’articolo 1 della legge istitutiva dei parchi, dove si afferma con forza che la prima azione da intraprendere è la conservazione degli ambienti naturalistici e paesaggistici e, solo dopo, si dà spazio ad operazioni per la presenza dell’uomo. Rispetto a quanto stabilito dalla legge istituiva, con la quale si dava un taglio alla gestione di tipo “antropocentrico”, si è tornati a una situazione in cui l’uomo la fa da padrone a discapito della natura. Ma, soprattutto, manca l’amore per la propria terra, la forza di agire in nome di un interesse comune a discapito di pochi; manca una visione di medio e lungo termine, e mancano i fondi che sono sempre più ridotti a causa delle varie congiunture economiche degli ultimi anni. I risultati sono davanti agli occhi di tutti: i paesi si spopolano, la montagna – per la sua componente umana- è sempre più silenziosa, deserta, priva di vita o quasi.
Civita, Bova, Sersale. Tre paesi calabresi nei quali il turismo ambientale montano è diventato fondamentale per il loro sviluppo. Tre modelli che, nella loro diversità, mi pare abbiano una caratteristica comune, quello di avere sviluppato “dal basso”, come si dice, una proposta di accoglienza e offerta. Ritieni siano dei modelli replicabili nel resto della regione?
Tre modelli, diversi fra di loro, sicuramente da studiare, copiare e adattare a molti dei paesi della nostra regione. Soprattutto a quelli che ricadono nei territori dei nostri parchi. Con una unica accortezza: di non essere voraci, di non pretendere tutto e subito, di non avere velleità da “guadagno facile” perché, altrimenti, il rischio concreto di replicare nei paesi dell’entroterra il “modello costiero” del mordi e fuggi è dietro la porta.Approfitto di questa occasione, per sottolineare come, ancora una volta questi modelli “dal basso”, per riprendere la tua espressione, necessitino di una rettifica di direzione, in quanto, sono in fase di “sbandamento”. Almeno per quanto riguarda la realtà di Civita, che conosco meglio in quanto la vivo tutti i giorni. E qui mi permetta di fare una brevissima cronistoria, tanto per inquadrare il concetto che voglio esprimere. L’idea dello sviluppo verso una direzione di tipo naturalistico è nata da un gruppo di persone che gravitavano intorno all’allora circolo di cultura “Gennaro Placco”: siamo alla fine degli anni Ottanta, quando, per la prima volta, si organizza – tra le tante iniziative – una conferenza stampa per soli giornalisti stranieri, in prevalenza provenienti dalla Germania. Ecco quell’incontro fu un successo, nonostante lo scetticismo di molti governanti locali. A quella proposta seguirono molti passaggi televisivi, articoli su importanti riviste nazionali, che portarono alla notorietà la nostra comunità in ambito nazionale e anche oltre. In quel momento fu fatta una scelta “alta”, nel senso che la comunità si doveva aprire ad un pubblico colto, desideroso di conoscere, comprendere la realtà della minoranza arbëreshe che abita in Italia da oltre mezzo millennio e va fiera delle sue tradizioni, usi, costumi. Oggi, è necessario il ritorno a questi principi basici; altrimenti perché uno dovrebbe venire a Civita, o in un altro dei tanti bei paesi della nostra Calabria, se trova le stesse cose che essi offrono, ad un tiro di schioppo dalla propria città?Non abbiamo bisogno di “ponti tibetani” o nepalesi, di funivie, di strade a scorrimento veloce: anzi, direi proprio il contrario. Ben restino le strade tortuose, a patto che abbiano un ottimo fondo, ben mantenuto, perché danno quel senso di penetrare in una nuova dimensione spazio-temporale, di appartenenza al luogo; Sì, resto fortemente convinto che bisogna dare priorità a mille progetti di piccola entità piuttosto che a mega lotti, fatti di enormi somme, ma dalla dubbia efficacia per le comunità.
Il 20 agosto 2018 ha segnato uno spartiacque per la vostra comunità. E’ facile dimostrare che eri stato lungimirante nel denunciare una situazione di fruizione delle gole pericolosa e nociva per l’ambiente. Cosa cambia adesso per Civita e quale lezione si può trarre da una tragedia da tanti considerata “annunciata”.
Quando una comunità – attratta dal facile guadagno – non si ferma a riflettere, a fare un “tagliando” della situazione, è facile che cada in preda una sorta di delirio di onnipotenza, dove tutto è lecito, tutto si può fare, senza pensare alle conseguenze, più o meno gravi, che da questa mancata riflessione possono derivare. È esattamente quello che è accaduto a Civita. Spero e mi auguro che questa lezione sia da esempio per tutti.Quando si sente dire: “hanno pagato e quindi devono scendere a tutti i costi” e mi riferisco alla risposta data in un dialogo, a cui avevo assistito, tra un signore ultra novantenne che manifestava tutte le sue rimostranze, avendo trascorso gran parte della sua vita all’interno delle gole del Raganello, e gli organizzatori delle escursioni nel Canyon del Raganello - vuol dire che abbiamo raggiunto il fondo.L’ingordigia, la sete di denaro, il “cogliere l’attimo”, nonostante i segnali di pericolo dati dalle frequenti piogge pomeridiane che da qualche giorno colpivano la Valle, hanno fatto superare il limite.E qui mi permetto di raccontare – per la prima volta - un piccolo episodio. Per la mia esperienza ultra trentennale di guida e accompagnatore di montagna, ma soprattutto come abitante di Civita, che conosce le insidie del Raganello e delle gole, e come vittima, per fortuna senza tragiche conseguenze, di una piena, proprio il giorno di ferragosto, avevo chiesto al mio sindaco di voler prendere provvedimenti con l’emanazione di una ordinanza di divieto di accesso proprio in base a questi strani eventi metereologici pomeridiani che notavo da un po’ di giorni. Consapevole che essa avrebbe causato danni alle varie compagnie di escursioni, mi ero limitato a suggerire che l’ordinanza si limitasse al solo pomeriggio. Magro, magrissimo il tentativo di consolazione, giuntomi da tanti che mi conoscono, del Nemo propheta in patria. Governare, significa, come sosteneva Bertrand Russell, che ogni tanto bisogna prendere qualche decisione impopolare, consapevoli che questa concorrerà allo sviluppo della comunità a discapito di pochi portatori di interessi immediati.Mi auguro, dal profondo del cuore, che quanto accaduto in agosto a Civita faccia riflettere su come il “fare grandi numeri” spesso non sia un modello di sviluppo sostenibile. E le conseguenze che se ne pagano, generalmente, sono altissime.Civita ha una capienza di circa diecimila presenze turistiche/anno.Con questi numeri la comunità può reggere l’impatto ed avere un tornaconto economico.Negli ultimi tempi, aveva spinto l’acceleratore fino a superare le ventimila presenze a discapito della qualità sia in termini di servizi che di accoglienza.Inoltre, non abbiamo più bisogno di dire sì a tutto e a tutti: dopo quarant’anni di attività, siamo nella condizione di poter scegliere, di non farci abbindolare da facili “notorietà” millantate da produttori e registi cinematografici. Non temiamo che un mancato passaggio nei titoli di coda di film o serie televisive dai temi facili possa nuocerci.Mi auguro che si ritorni ai piccoli numeri, alla qualità dei servizi; a parlare di visitatori, amici ospiti e non turisti. Meglio ospitare un visitatore disposto a spendere cento euro al giorno che cinque turisti che spendano venti euro a persona: ritroviamo il rapporto umano l’incontro, il dialogo…
L’impressione che ho è che nella fruizione dell’ambiente calabrese collidano due modelli: quello di chi tende ad offrire un sistema prevalentemente se non esclusivamente estetico-emozionale e chi cerca di aggiungervi una dimensione di conoscenza, meno semplicistica, secondo il motto ”camminare per conoscere e conoscere per proteggere” consapevoli che le sole emozioni sono transitorie, fatue non garantiscono il vero cambiamento che è l’obiettivo dell’educazione ambientale. Si possono integrare i due aspetti o si rischia di trasportare anche in montagna l’esperienza marinara calabrese?
Noi, sul Pollino, possiamo dire, con orgoglio, che abbiamo dato una svolta al modello di uso della montagna di ispirazione silana. Mi riferisco ai vari episodi di dubbio sviluppo che si volevano attuare alla fine degli anni Sessanta anche sul nostro massiccio. Un gruppo di intellettuali riuscì a bloccare quelle speculazioni e non avemmo una fotocopia di Campitello Matese; Villaggio Mancuso o Camigliatello Silano alle pendici di Serra di Crispo a poco meno di duemila metri di quota. In compenso abbiamo mantenuto una natura pressoché intatta.Ora vorremmo portare all’incasso questo modello. Abbiamo l’ambizione di voler utilizzare metà quota a disposizione per infrastrutture (a partire dal basso: alberghi, b&b, campeggi e rifugi) e lasciare il resto al libero “godimento”, per dirla con John Muir, fondatore del Sierra Club, la prima associazione ambientalista in ambito mondiale.Per essere ancora più chiaro: come si sa il Massiccio del Pollino ha cime che superano i 2200 metri e, per fortuna, i centri abitati sono posti a corollario dei monti, lasciando libera la parte più in alto.Oggi questo dato torna comodo per progettare un uso sostenibile della parte in quota.Ossia, a partire dai 1200-1300 metri in su, si può pensare di ridurre progressivamente la presenza stabile dell’uomo, fino ad azzerarla. Intendo dire che bisogna prendere tutti quei provvedimenti giuridico-legislativi per agevolare la presenza dell’uomo fino a queste quote e disincentivare insediamenti nella fascia alta del faggeto.Le pendici della montagna hanno bisogno dell’uomo perché la sua presenza contribuisce a mantenere quell’equilibrio utile alle sue attività a basso impatto ambientale; mentre la restante parte deve, progressivamente, tornare a quello stato naturale che la caratterizzava prima dell’arrivo dell’essere umano. Quello stato che gli esegeti della natura chiamano wilderness. Creare una rete sentieristica in grado di ben collegare tutte le località più rinomate; realizzare punti di partenza (start point) raggiungibili anche con una Ferrari; attivare i tanti rifugi costruiti e mai aperti; manutentare la rete stradale di avvicinamento; chiudere - o almeno limitare l’uso - di qualche strada che oggi non ha più ragione di esistere.
Sei uno che ha deciso di rimanere. Evidentemente ci sono cose per le quali è valso la pena restare, che ti hanno soddisfatto così come è ovvio che vedi anche un futuro possibile … Cosa è cambiato in questi anni, in positivo e in negativo.
Ci vuole più coraggio a rimanere che ad andarsene, ed è davvero molto dura, soprattutto per coloro, tra i quali mi pongo di diritto, che si ritengono “liberi pensatori”.Sono sempre stato convinto del fatto che l’istituzione di un parco nazionale sia di difficile “digestione” per la generazione che lo vede nascere; ma può dare avvio ad un nuovo tipo di sviluppo per le generazioni successive, perché a volte, per poter usufruire di benefici futuri, bisogna che qualcuno si sacrifichi nell’immediato. E noi siamo la generazione sacrificata in nome di un nuovo modello di sviluppo.E però vedo sempre più scemare i presupposti pregnanti di una comunità minoritaria chiusa e racchiusa tra monti un tempo inaccessibili; di ciò oggi è complice la rete che da un lato unisce e offre tantissime opportunità per portare i propri progetti nel mondo, ma dall’altro contribuisce a uniformare gusti, pensiero, cultura, scelte politiche…Basta avere le idee chiare su cosa si vuole fare da grandi e perseguire l’obiettivo con passione e determinazione.I nostri parchi sono l’ultimo baluardo prima del grande abbandono della nostra ricca, variegata e stupenda Calabria.


NOTA
Conosco Claudio Cavalieri da anni. Una persona colta, fine analista della "questione Calabria", con il quale amo scambiare opinioni, sensazioni e impressioni sulla nostra bellissima regione e sulle nostre montagne. In occasione della uscita della nuova Carta dell'Aspromonte abbiamo discusso a lungo sulle questioni che più "attanagliano" la nostra situazione. Da questa conversazione, l'animo indagatore del Sociologo ha prevalso... e,  come se fossi disteso su di un letto dell'analista, mi ha tirato fuori tutto il mio sentire sulle questioni che da anni impegnano la mia esistenza. 
Grazie Claudio. Un bicchiere dell'ottimo vino di mio fratello ... lo meriti tutto. 





lunedì 11 febbraio 2019

A cosa servono i parchi nazionali?



Una volta avevo le idee chiare. Oggi, vista la piega degli eventi, non sono più sicuro delle mie utopie.
In primo luogo, la “questione ambientale” è posta – secondo alcuni autorevoli sondaggisti - tra la quattordicesima e diciottesima posizione dei desiderata degli italiani.

Come a dire che la variazione di posizione è in funzione alle disgrazie del momento. Quando la televisione, a reti unificate, annuncia il disastro provocato da una tromba d’aria, che abbatte migliaia di alberi idonei a diventare legno per violini, allora la quotazione sale. Dopo qualche ora, arrivano altre notizie, magari dell’ennesimo attentato terroristico o dello sciopero contro l’aumento del prezzo della benzina ad opera di gruppi di cittadini indignati per il caro vita, l’asticella dell’interesse verso l’ambiente, i parchi e la natura in generale, inesorabilmente scende, almeno fino alla prossima disgrazia. E avanti così.

Sul crinale ... verso la Manfriana. (foto da Internet)
Nel frattempo, i parchi, spogliati da qualsiasi prospettiva a medio e lungo tempo, vivono di espedienti di piccolo cabotaggio, tanto per far vedere che esistono. In realtà la loro presenza non interessa più. Purtroppo il loro ruolo di protezione della Natura, di conservazione di luoghi, habitat, specie animali e vegetali è tristemente azzerato.

Qualche giorno fa, ho curiosato tra le pagine del sito del nostro Ente Parco, così come tra quelle della Sila e del vicino Parco della Val d’Agri, alla ricerca di delibere, atti amministrativi, provvedimenti che mostrassero un qualche interesse verso la conservazione: poca roba, quasi niente.
Nella relazione di bilancio dell’Ente Parco del Pollino, si legge che le azioni di conservazione tutela e promozione per il 2019 sono riferite a “interazione tra cinghiale e biodiversità, monitoraggio del gatto selvatico e della martora, conservazione della lontra, programma INNGREENPAF [??? Ndr], progetto Boschi Vetusti, Indagini sul pino loricato, Rete Natura 2000”. Peccato che le stesse voci si ripetano da … qualche anno.
Così come si ripete la litania sul Piano del Parco, licenziato nel 2011, e ancora in attesa di approvazione da parte delle Regioni, perché possa essere poi promulgato dal Ministero dell’Ambiente.  È ovvio come, in assenza di uno strumento di governo del territorio, si navighi a vista e con tutti i problemi che esso comporta.
Se a questo si aggiunge un “governo politico” mediatore, poco decisionista, anzi opportunista, abbiamo, come logica conseguenza, una serie di azioni che risultano ben poco “ambientali”. In Val d’Agri, si ha come interlocutore le maggiori compagnie petrolifere del mondo, le quali elargiscono contributi più o meno consistenti in cambio di favori normativi per i propri interessi. Per il Pollino la situazione non è diversa. Da noi il maggior “finanziatore” è l’Ente nazionale per l’Energia (leggasi Enel) che, in nome di non ben definite “misure di compensazione”, “sborsa” ben 1.750.000,00 euro  perché sia chiuso un occhio sulla Centrale del Mercure.

Un tratto del fiume Lao (foto da Internet)
Nella stessa relazione di bilancio dell’Ente del nostro Parco, viste le scarse risorse ricevute dal Ministero dell’Ambiente, si paventa la necessità di istituire biglietti di ingresso nei luoghi del parco più visitati da turisti e scolaresche e di  dismettere strutture che “comportano spese senza alcun ritorno economico”.
Quali sono questi luoghi più affollati?
L’Ecomuseo del Pollino e le aree faunistiche di Bosco Magnano e di Acquaformosa.
E le strutture da dismettere?
Nella relazione non si fa alcun cenno ai tanti Centri visita chiusi, abbandonati da anni, in parte già restituiti ai legittimi proprietari (i Comuni) che sono in difficoltà su come poterli utilizzare.
A questo proposito ricordo la notizia di qualche giorno fa, pubblicata da più quotidiani italiani, riguardante il blocco delle attività dell’Amministrazione americana a guida Trump. L’ostruzionismo politico – se ho capito bene – degli avversari del presidente degli USA ha come logica conseguenza il mancato finanziamento della macchina amministrativa nel suo complesso: niente stipendi, stop al riscaldamento negli uffici pubblici e nei centri visita dei Parchi nazionali chiusi.

L’ufficio federale dei Parchi (National Park Service), l’equivalente del “Servizio di Protezione della Natura” del nostro Ministero dell’Ambiente, chiude tutte le aree protette e sospende qualsiasi attività.
L’unica notizia positiva, che proviene dal nostro parco, grazie alla “pressione martellante” del consigliere Ferdinando Laghi, riguarda l’intenzione di acquistare la famosa proprietà Palombaro, in cui si è registrato lo scempio di Serra del Prete. Intendiamoci: la proprietà privata è sacra, tuttavia non si possono autorizzare tagli boschivi in piena “zona uno” del Parco, a quote altimetriche significative.
A seguire, si legge nella relazione di bilancio, che l’Ente Parco finanzierà una campagna di scavi archeologica a Laino Borgo, condotta dall’Università di Messina.

Alpinisti sulla via ferrata "Peppino Sirangelo" . (Foto da Intenret)
Quindi viene indicata la “riqualificazione corposa” della rete sentieristica. “Scopo di tale iniziativa è quello di rendere fruibili e sicuri un numero limitato di sentieri, all’interno dei quali il visitatore dovrà essere obbligatoriamente accompagnato da una Guida Ufficiale del Parco Nazionale del Pollino”.
E qui mi cascano i pochi capelli rimasti. 
Mi vengono i brividi quando sento parlare di “sentieri sicuri”. Conosco troppo bene questa affermazione per dire che i sentieri sono presi di mira per spendere tanto denaro in opere strutturali che con la sentieristica e il modo di andare in montagna non hanno nessuna attinenza. Mi riferisco a opere come le staccionate di legno, spesso usate come scusa per far lievitare i costi; oppure cartellonistica, torri di avvistamento, scalinate e cestini per l’immondizia da posizionare lungo i percorsi per poi abbandonarli al loro destino … almeno fino alla prossima sovvenzione.
Infine, troviamo ancora finanziamenti tesi al “rilancio turistico” riguardante le scolaresche in visita nel nostro parco.
Civita vista dalla Timpa del Demonio (foto da Internet)
E per chiudere, la partecipazione agli eventi di Matera Capitale della Cultura 2019 ed il progetto Fiera Festival Autentica Sud finalizzato a stabilire nuove partnership. Inoltre, quest’anno sarà rivolto uno sguardo al panorama internazionale con due iniziative: una tesa alla partecipazione del Parco, insieme alla Regione Calabria, al Peperoncino Jazz festival New York Session, con l’Associazione Culturale Picanto, attraverso la quale, nell’arco della settimana dal 20 al 26 maggio 2019, si potrà promuovere il nostro territorio insieme alle eccellenze enogastronomiche; l’altra è quella relativa al cosiddetto “turismo genealogico”: un programma di iniziative che intendono favorire i contatti e gli scambi tra persone che pur essendo legate affettivamente ai luoghi d’origine non vi fanno ritorno da molto tempo ed a quelle persone che ritrovano interesse nel vivere quella montagna dove “sentono” di avere le proprie radici.

In mezzo a queste “lodevoli” iniziative, così, “an passant” non poteva mancare un “lavoro pubblico” come il completamento con asfalto e annesse opere edili, della strada Terranova del Pollino – San Lorenzo Bellizzi, il consolidamento del costone roccioso sul Raganello dell’abitato di Civita, il completamento del parcheggio della sede del Parco e il “completamento” del polifunzionale di Campotense (meglio conosciuto come Trampollino) con annessa caserma forestale. Ovviamente, si coglie l’occasione per annunciare la gara pubblica per l’affidamento della gestione del Trampollino, ma questa per farci cosa? Non è dato a sapersi. 

E il marchio del Parco? Non abbiamo notizie. Nessuna informativa sul perché sempre più aziende vi rinuncino.

Tutte le iniziative ecologiche, ambientali, di conservazione della natura dove sono?????
Così come non abbiamo notizie sulla tragedia accaduta quest’estate nel Raganello.
Potrei continuare ad elencare le tante informazioni che si ricavano leggendo, soprattutto, le delibere di fine anno, quelle che servono a spendere i residui di cassa: ci sono perle di straordinaria unicità.
Ma non voglio tediare ulteriormente quei “quattro lettori” che hanno avuto la pazienza di leggere questo articolo fino a questo punto.
Invito, comunque, ad andare a curiosare sui siti dei parchi, nei meandri delle delibere dell’ultima ora: troverete cose che “voi umani” … non avreste mai pensato. Perché non si restituiscono le chiavi dei Parchi al Ministro dell’Ambiente?

Emanuele Pisarra 






PS
Questo articolo è stato pubblicato sul periodico PASSAMONTAGNA della sezione CAI di Castrovillari.




domenica 10 febbraio 2019

La montagna partorisce un topolino



Si conclude tristemente la vicenda del CAMMINO MARIANO POLLINO.
Per chi non conoscesse il fatto, ne propongo un piccolo e sintetico riepilogo.
Da diversi anni esiste sul nostro territorio l’Associazione Cammino Mariano, presieduta e diretta dall’instancabile prof. Mario Martino.
Camminomarianopollino. In partenza dal Santuario
di Madonna delle Armi
Il sogno di questa Associazione e per il quale si è tanto prodigata era quello di realizzare, con l’ideazione del Cammino, un collegamento fra i tantissimi santuari mariani ubicati nel territorio del Pollino sia nel suo settore della Calabria settentrionale, che in quello della Basilicata
Si trattava di una sorta di grande anello di circa cinquecento chilometri da fare a piedi, in bici da montagna o a cavallo.
A questo anello se ne aggiungeva un altro, concentrico, ancora più largo, sempre collegato ai santuari mariani, da fare in bici da strada. Questo secondo circuito superava di gran lunga i settecento chilometri.
Per questo progetto l’Associazione aveva promosso una serie di sopralluoghi, incontri con la stesura e la firma di Protocolli d’Intesa con tutti gli enti interessati (diocesi, comuni, regioni).
L’idea era venuta a combaciare qualche anno fa, con l’istituzione dell’Anno dei Cammini da parte del Ministro dei Beni culturali, quando la regione Basilicata aveva messo a disposizione una prima tranche di 750 mila euro.

Un primo problema si era posto quando l’Associazione Cammino Mariano – per la normativa vigente – non avrebbe potuto g gestire questa somma.
Per ovviare a ciò, fu proposta la realizzazione di un consorzio di comuni attorno a uno scelto come capofila.
La soluzione fu bocciata e si pensò a una Fondazione da creare ad hoc, ma anche questa ipotesi naufragò.
Infine, come ultima ratio, si arrivò a proporre che la gestione fosse dell’Ente Parco del Pollino.
In un primo momento non sembrò una idea malvagia, ma poi alla prova dei fatti, è stato chiaro come l’apparato tecnico dell’ente non sia stato capace, in oltre tre anni, di creare i presupposti per un lavoro di gruppo.
Si era pensato di poter risolvere con l’affidare all’Associazione. un incarico professionale di fiducia per la redazione di un progetto. Ma non se ne fece niente. e, infine, la Regione Basilicata incominciò a ritirare parte del finanziamento: così della somma iniziale furono lasciati, nelle casse dell’Ente Parco, solo un terzo di quanto vi era stato depositato. Quindi la cosa chiara è che, se non si è capaci di spendere i fondi, è meglio riprenderseli.

il Logo del Cammino marianopollino.
Per pura coincidenza di date, l’Ente Parco fece però in tempo a dare l’incarico a un progettista per impegnare la somma restante, poco prima che giungesse, anche per quell’ultima trance rimasta, la richiesta di revoca da parte della Regione Basilicata.
Da parte dell’Associazione si pensò che fosse un bene e che si sarebbe così riusciti forse a mettere almeno la “prima pietra”. Ecco…: forse!
Perché tutto andò in modo completamente diverso dalle loro aspettative.
L’Ente Parco decise di far passare il Cammino Mariano come un lavoro pubblico, alla stregua della costruzione di una palestra, acquedotto o fognatura.

Non fu accolta la nuova proposta, avanzata da parte dell’Associazione, che la redazione fosse curata dai propri tecnici sotto la direzione dei funzionari del Parco: si sarebbero risparmiati molti denari che avrebbero potuto essere investiti in opere funzionali al Cammino.
In tal modo l’Associazione Cammino Mariano Pollino fu esclusa da qualsiasi ruolo: sia nella progettazione che per una qualsiasi forma di collaborazione.
Anche questo fa parte dei giochi politici che ogni giorno ci ritroviamo a considerare: chi non ha nessun potere contrattuale non è in grado di esercitare alcun “peso” e resta estromesso.
Pur di vedere la realizzazione dell’idea - che è, e lo ribadisco, di proprietà dell’Associazione, essa ha provato di tutto.

L’Associazione aveva posto come unico “paletto” l’inizio del percorso dal Santuario della Pietà, nel comune di Terranova di Pollino che sorge al confine tra il territorio lucano e quello calabrese.
Neanche questo è stato possibile.
 “Progettiamo un solo tratto del Cammino – a partire dal Santuario di Madonna di Pollino, nel comune di San Severino Lucano - e poi si vedrà”, sentenziò il vicepresidente dell’Ente Parco all’incontro con i tecnici dell’Associazione.
L’Associazione così perse la sua battaglia.
Il progettista incaricato ha consegnato un progetto che verrà appaltato a breve e con l’inizio della bella stagione saranno avviati i lavori della prima tappa.
Per le altre si aspetteranno i prossimi finanziamenti, a Dio piacendo!
Emanuele Pisarra



PS
Questo articolo è stato pubblicato sul periodico PASSAMONTAGNA della sezione CAI di Castrovillari.


giovedì 7 febbraio 2019

Aspromonte. Nuova carta escursionistica


Siamo lieti di comunicare a tutti gli appassionati di montagna che è in distribuzione la nuova CARTA ESCURSIONISTICA DELL’ASPROMONTE.
La Carta riporta la Rete sentieristica che interessa l’intera area protetta, aggiornata a inizio anno.
Aspromonte, parco nazionale copertina della Carta
escursionistica

“Abbiamo affrontato la salita per Bova per diverse ore. Ma pur camminando faticosamente verso Bova, la città sembrava il vascello fantasma, mai vicina. … e davvero magnifica era la vista guardando indietro … l’immensa prospettiva di linee degradanti e di torrenti era certamente una delle più suggestive scene che si possano trovare nella bella Italia”.

Con queste splendide parole, Edward Lear, viaggiatore inglese del Gran Tour, descriveva nel suoDiario di un viaggio a piedi – a Reggio Calabria e la sua Provincia - la sua ascesa a Bova.

Con questo spirito e per la prima volta una Carta escursionistica dell’Aspromonte riporta il tracciato del suo viaggio nell’area grecanica, percorso nell’estate del 1847.

IL SENTIERO DELL’INGLESE. Novità esclusiva.
Il tracciato, riportato sulla carta di dettaglio, parte da Pentidattilo, raggiunge Bagaladi, attraversa San Lorenzo, Bova, Palizzi e termina a Staiti.
Proprio nello spirito del grande viaggiatore inglese, si è voluto fortemente sottolineare l’antico percorso che attraversa l’area grecanica, toccando alcune delle località di maggior pregio sia naturalistico che antropico.

La Carta è stampata su un foglio rettangolare di 70 x 100 cm.
Un lato riporta la tavola in scala 1:70000 che mostra l’intero perimetro del Parco e la sua collocazione geografica, con la rete viaria in grado di raggiungere tutte le località e i centri abitati dell’area protetta.
Sono riportate le emergenze ambientali (cascate, grotte ipogee, formazioni rocciose, gole, sorgenti e la copertura forestale a uliveto, boschi di latifoglie e conifere).
Inoltre, vi sono riportati il tracciato del Sentiero Italia, del Sentiero del Brigante e l’intera Rete sentieristica ufficiale (con la relativa numerazione) ricadenti all’interno del perimetro dell’area protetta.
A questo si aggiunge la Rete Sentieri consigliata dalla Naturaliter.  

L’altra tavola è di dettaglio. In scala 1:30000, evidenzia il settore meridionale del Parco Nazionale dell’Aspromonte e, precisamente, l’intera area grecanica.
Vi sono riportati le tappe del SENTIERO DELL’INGLESE, la rete sentieristica ufficiale del Parco e i percorsi consigliati dalla Naturaliter.

Il logo del Sentiero dell'Inglese. Novità esclusiva!
La Carta presenta anche un box con le “Informazioni utili” in cui sono indicati i principali riferimenti: a partire dai recapiti dell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte, seguiti dai numeri telefonici del Soccorso Alpino, dall’Azienda agrituristica “il Bergamotto”, della cooperativa San Leo, dell’associazione BovaLife e del Club Alpino Italiano – sezione Aspromonte.

Le coordinate geografiche sono riferite all’ellissoide internazionale WGS84; il reticolo di riferimento è UTM Fuso 33.

 Un grazie particolare a Emanuele Pisarra, geografo, che ha elaborato i dati per l’Acalandros Map Design, ad Andrea Laurenzano e Domenico Cuppari per i preziosi suggerimenti e le informazioni.
Ancora un grazie alle Edizioni Prometeo che hanno reso possibile la stampa.

Un particolare senso di gratitudine va alla Naturaliter – cooperativa e Tour Operator - per aver sponsorizzato l’iniziativa. 

Buona “traversata” con la nuova Carta!