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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

giovedì 12 maggio 2011

Il Raganello, una storia e un ambiente

In tour… intorno al Torrente Raganello
 Tabellino
  Tempi di percorrenza: questo itinerario si può percorrere facilmente a piedi in due giorni di marcia; oppure con l’uso di un fuori strada in una giornata.
 Lunghezza: circa sessanta km
 Difficoltà: EE (per escursionisti esperti ed allenati)
 Rifornimento idrico: lungo il percorso ci sono numerose sorgenti
 Dislivello: 1200 in salita e 900 in discesa 

Premessa
 Il territorio del Parco nazionale del Pollino si può percorrere lungo una rete di antichi sentieri per oltre duemila chilometri.
 Mulattiere, sentieri, viottoli, tracce di antiche vie che l’uomo locale ha camminato per anni per lavoro, per accudire il gregge al pascolo, per spostamenti e, perfino, per recarsi in pellegrinaggio ad uno dei numerosi santuari mariani presenti nell’area.
  Dopo una parentesi di abbandono dovuta alla grande emigrazione verso il Nord Italia, le genti del Pollino si stanno appropriando  di  un patrimonio ricco di storia, tradizioni, miti e luoghi che non hanno nulla da invidiare alle più rinomate località turistiche del nostro Paese.
  
IL RAGANELLO
  Uno dei tanti percorsi del Parco - forse il più interessante – è sicuramente legato al Torrente Raganello.
 Il Raganello ha un percorso dall’andamento abbastanza tortuoso. In parte è dovuto alla particolare situazione geologica, in parte, invece, è causato dallo sviluppo del cammino del corso d’acqua in un ambiente dominato dall’uomo e dalle sue attività. Ne consegue che “girare” intorno a questo corso d’acqua provoca delle emozioni, attraverso le testimonianze che si leggono nel territorio, alquanto forti.
  Infatti, quest’itinerario consigliato, ha come motivo conduttore il Raganello come ambiente fluviale, come via istmica, come testimone di tormentate epoche geologiche, come paesaggio immutato nel tempo, come spazio severo vissuto e abitato da intere generazioni di uomini.
  
Civita. Il Ponte del Diavolo.
(Ph di E. Pisarra)
Si parte dalla piazzetta di Civita, si scende lungo la vecchia strada d’accesso al paese e ben presto si raggiunge l’alveo fluviale. Già questo primo tratto è un connubio di fatti, vecchi e nuovi, che al lettore attento, mostrano i diversi volti di un territorio. Vi è un’antica filanda, vi sono i resti di un antico ponte, vi sono le opere moderne dell’uomo, vi sono una serie di terrazzi panoramici accuratamente predisposti che invitano l’escursionista a fermarsi a meditare, ad osservare il paesaggio, a chiedersi e ad immaginarsi le fatiche dell’uomo che ci ha preceduto, le sofferenze di colui che ha vissuto con i proventi dei raccolti di questi piccoli appezzamenti di terreno, le fatiche immani per “strappare” a questa natura forte, in una continua lotta, le risorse minime per vivere dignitosamente. Il mulino, di proprietà privata, nei tempi morti, macinava grano per produrre farina per fare il pane per l’intera comunità.
 Si prosegue lungo la facile stradina sulla sponda destra idrografica del Raganello, in un paesaggio, soprattutto agli inizi di giugno, segnato da un prolungato corridoio color fucsia, d’oleandri in contrasto con il marrone chiaro-scuro delle rocce circostanti sedimentate in milioni di anni, testimoni d’immani sconvolgimenti tellurici terrestri.
 In questo paesaggio non è difficile trovare emergenze botanico-forestali d’inestimabile valore.
 L’ontano napoletano, le tamerici, insieme con gli oleandri, ben s’integrano con gli uliveti, gli orti e i campi di grano, le opere estranee al paesaggio, ma necessarie per la sicurezza di chi vive queste località, creati dall’uomo.
 Ben presto si arriva al primo grande sbarramento del Raganello. Costruito in tre anni, a partire dal 1959, questa briglia aveva, nell’intenzione dei progettisti, la funzione di rallentare la velocità dell’acqua, trattenere i detriti fluviali ed evitare pericoli d’inondazione della sottostante pianura di Sibari.
In realtà ha creato un microclima particolare, dando la possibilità a numerose specie, sia  ittiche, sia forestali, di trovare il proprio habitat.
Si passa sullo sbarramento e ci s’incammina lungo la stradina di servizio agli uliveti e ci s’inerpica sulla sponda sinistra del fiume e, guadagnando quota, si recupera la stradina montana che porta a San Lorenzo Bellizzi.
 Lo sguardo, pur messo a dura prova dalle fatiche della salita, non può non soffermarsi sul panorama che si apre: l’alveo fluviale appare in tutta la sua maestosità, gli uliveti fanno da contorno e la statale con il suo traffico d’automobili mostra i segni del progresso.
 Un tempo regnava il silenzio interrotto solo dai rumori della natura; oggi il silenzio della natura è spesso interrotto dai clacson delle automobili che sfrecciano a velocità assurda, incuranti dei danni che esse provocano ad un paesaggio di siffatta bellezza.
 L’arrivo sulla stradina asfaltata rassicura gli animi e fa dimenticare la fatica della salita.
 Si prosegue lungo il nastro d’asfalto, immersi tra campi mietuti di fresco, gialli, contrastati, qua e là, da macchie di colore verde frammiste a rossiccio, di piante di pero in piena maturazione. Spesso il silenzio è interrotto dal belare di uno sparuto gregge che cerca di strappare l’ultimo filo d’erba fresca della stagione.
L’incontro con i pastori è sempre una grande emozione.
Uomo semplice, curioso, il pastore del Pollino,ha necessità di parlare, di scambiare informazioni, di chiedere la provenienza, le motivazioni che spingono l’escursionista a camminare a piedi o in fuoristrada, a visitare questi luoghi.
 Non costa nulla fermarsi e, spesso, un sorriso rende questi uomini meno soli.
La stradina dopo una serie di tornanti porta alla Fonte della Scosa, amena località a circa ottocento metri di quota, super attrezzata con tavoli e panche pronti ad accogliere il visitatore per un momento di sosta e di meditazione.
 Tuttavia è conveniente proseguire in moda da raggiungere il colle e prima di proseguire verso il “paese nuovo” è d’obbligo una deviazione verso la cima della Timpa del Demonio (855 m).
 S’imbocca la pista forestale e in pochi minuti si è sul valico della Timpa. Il panorama non ha eguali.
Il Canyon del Raganello appare in tutta la sua maestosità e l’abitato di Civita, alle pendici dei monti, adagiato su uno sperone di roccia che dà verso il mare, regna sovrano. In condizioni di vento favorevole si sentono perfettamente i discorsi infervorati dei civitesi impegnati in estenuanti dibattiti politici a favore e contro il solito governo di turno.
La Timpa Sentinella (601 m) occulta il paese agli occhi degli estranei. Tant’è che chi vuol visitare questo piccolo borgo deve, per un momento, lasciare la statale ed inoltrarsi all’interno, altrimenti può benissimo proseguire senza accorgersi della sua esistenza. Forse questa è stata la forza della piccola comunità arbereshe dei civitesi che è sopravvissuta fino a nostri giorni.
 Volgendo, invece, lo sguardo verso la forra del Raganello, appare in tutta la sua forza, una natura severa, fatta di rocce a strapiombo, intervallate da piccoli appezzamenti adibiti, un tempo, a pascolo, ora in completo abbandono, testimoni di un’epoca pastorale quasi scomparsa.
Da questo osservatorio privilegiato il Raganello appare come un nastro d’argento che avvolge le grandi pareti a picco accomunandole ad un unico destino.
 Le ultime case di Civita segnano la fine di questa natura selvaggia.
 Si ritorna sul nastro d’asfalto e si prosegue in direzione di San Lorenzo Bellizzi. Si attraversa tutto il crinale della Timpa del Demonio, si raggiungono le prime abitazioni rurali e ben presto appare il vecchio abitato di San Lorenzo.
 Nel frattempo uno sguardo alla Timpa nel lato opposto attira l’attenzione una macchia arancione, la quale, man mano che ci si avvicina, mostra la propria identità. Si tratta della Grotta di Palma Nocera, abitata fin dal neolitico, testimone della penetrazione dell’uomo antico lungo l’asta fluviale del Raganello.
 In questo lasso di spazio, all’occhio attento del visitatore, appaiono chiare le diverse epoche storiche; un tempo l’uomo ha vissuto nella grotta, poi è uscito fuori e nei suoi pressi ha costruito un villaggio, infine, da quando è diventato pastore ed agricoltore, si è trasferito sull’altra sponda del fiume in cerca di terreni più fertili e meno impervi, dove ha costruito il paese.
San Lorenzo appare adagiato su una conca del versante Ovest della Coppola di Paola, ben riparato dai venti freddi su un balcone prospiciente il Raganello. In ultimo chiude l’orizzonte l’imponente e omonima Timpa.
Dall’abitato di San Lorenzo ci si dirige verso la Falconara incamminandosi sulla
Alba sulla Valle del Raganello (ph E. Pisarra)
stradina asfaltata che si dipana dalla piazzetta principale.
 Dopo breve tempo si raggiunge la fonte di San Pietro, dove un’acqua freschissima attende di essere bevuta, prima di impegnarsi, dopo aver valicato il Torrente Maddalena, nella salita verso la Falconara. Il cammino è lungo. Lo sguardo spazia in un ambiente a dir poco contrastato: da una parte il marrone scuro di rocce basaltiche metamorfizzate si contrappongono al grigio dei calcari cretacei dei lisci di San Lorenzo; dall’altra parte il bianco delle casette coloniche con l’aia, gli animali al pascolo, i rumori classici – per noi inusuali – della civiltà contadina sopravvivono, anche se – a dir la verità – sono interrotti dal singolare rumore – questo sì familiare – dei potenti motori diesel dei trattori che hanno sostituito il ragliare dell’asino.
 Man mano che si sale appaiono una serie di strutture agrituristiche molto carine, ben curate e ben inserite nel paesaggio.   
 Il pensiero va a questi coraggiosi gestori che, nonostante tutto, osano sfidare le leggi del mercato, ed investono i pochi risparmi di una vita, sperando che queste nuove attività possano integrare il già misero reddito agricolo.
La lunga salita dà una tregua. Infatti, il crinale si sviluppa per alcune centinaia di metri in quota, consente di “dare un occhiata” all’altro versante. Appaiono all’orizzonte una serie di case, abbarbicate alle pendici di un monte e sopra le sponde di un altro fiume, dai colori sgargianti, messe in fila indiana e in parallelo tra loro, a mo’ d’avamposto lungo la rotta naturale di penetrazione alla montagna.
 Un piccolo stagno subito sotto il piano stradale attira l’attenzione del visitatore.
La particolare vegetazione riparia è luogo ideale di ricovero di piccole testuggini d’acqua dolce, di biacchi e numerosi altri “esponenti” della fauna minore.
 Subito dopo la stradina riprende a salire in direzione della Timpa Falconara (1667 m), oltrepassa una moderna azienda agricola mostrando le numerose pieghe di corrugamento della Timpa. Si entra nel bosco da rimboschimento misto a pino nero e cerri (ambiente ideale del porcino “carne gialla o vavuso”) e, prima di valicare, bisogna dare un’ultima occhiata alla valle della Granpollina, con il minuscolo abitato di San Lorenzo, ed alle spalle, tutto il Golfo di Sibari.
 Il percorso passa alla base della parete Ovest della Falconara: una Timpa fracassata in numerose faglie testimoni d’immani sconvolgimenti tettonici che impressiona non poco il visitatore che lì per lì si accinge a camminarvi sotto.
 Dall’altro lato della stradina si è già raggiunto uno dei due rami sorgentizi del Raganello. Infatti, la Sorgente Boccadoro (1315 m) dà il primo liquido al torrente. In seguito si aggiungerà il secondo ramo proveniente poco sotto Serra di Crispo (1885 m).
Escursionisti in cammino nel Raganello. (Ph archivio Pisarra)
 Il paesaggio è completamente diverso: da un lato il gran bosco della Fagosa, verde, vigoroso, in netta espansione, sormontato dall’imponente crinale roccioso Timpa del Principe-Serra Dolcedorme; dall’altra parte la parete Ovest a strapiombo sul Raganello della Timpa di san Lorenzo la fa da padrone.
 Due mondi naturali che si contrappongono, racchiudono in sé l’alta Valle del Raganello. Uomini e antiche masserie testimoniano una civiltà agro-silvo-pastorale ridotta al lumicino, un tempo fiorente, motore trainante dell’economia non solo locale ma, perfino, regionale.
 Si prosegue sulla stradina sterrata, abbastanza sconnessa, in direzione di Colle Marcione, avendo come punto di riferimento un edificio bianco, che ben presto si rivelerà essere un rifugio adibito a Centro d’Educazione ambientale ottimamente gestito dal personale della cooperativa Silva.
Prima però, si passa dalla Masseria Francomano in tempo per assaggiare la ricotta fresca, appena ottenuta dal latte del bestiame al pascolo, oppure, “mettere sotto i denti” un panino fatto di spesse fette di pane intervallate da ottimo formaggio, accompagnato da un bicchiere di vino rosso “Pollino”.
 L’arrivo a Colle Marcione, chiude l’orizzonte fatto di monti altissimi crestati da tanti “bastoncini” dall’apparenza strana, alti, contorti, piegati, con la chioma ad ombrello che poi ad uno sguardo più attento si riveleranno essere i Pini Loricati di Serra delle Ciavole, testimoni d’epoche glaciali lontanissime.
 Pochi metri oltre il Colle appare in tutta la sua maestosità, la Pianura di Sibari con il Golfo omonimo, la Sila e alcuni paesi della costa ionica. Non è raro vedere nelle giornate fredde e terse invernali Capo Trionfo, Punta Alice e Capo Colonna, estreme propaggini della Calabria ionica.
La strada è ormai una rotabile “di lusso” rispetto a quella percorsa fino ad ora, e ben presto si tuffa sull’abitato di Civita.
Lecci antichi sostituiscono il faggio, ginestre e ginepri prendono il posto dei cerri e delle querce, euforbie e origano sostituiscono la prateria a sesleria.
 Il nastro d’argento del Raganello riappare: questa volta più ampio e brillante, ad avvolgere l’intero contrafforte montuoso prima del mare.
 Le case di Civita disposte ad ombrello aperto accolgono il visitatore che ha osato tuffarsi seppur per poco tempo in uno degli ambienti più vari, più interessanti del Parco nazionale del Pollino.        
     
 ©  Emanuele Pisarra