Appunti di un Naturalista che da
anni segue il Lupo in Italia sul Piano di
conservazione e gestione del lupo (Dicembre 2015)[1]
Il documento è stato
redatto da un comitato di esperti dell’Unione Zoologica Italiana, coordinati da
Luigi Boitani. Esso, nelle intenzioni, dovrebbe finalmente mettere in atto
tutte quelle azioni che consentano una più efficace gestione e conoscenza del
lupo, attenuando i conflitti con l’uomo e
l’impatto della specie sulle attività
economiche rurali. Il precedente piano risale al 2002, ed è rimasto
lettera morta. Questo del 2015 non prevede nulla di nuovo se non una più
esplicita e peraltro confusa possibilità di uccidere lupi che “creano
problemi”: problemi reali o immaginari che siano (come vedremo). Le innumerevoli incongruenze e facilonerie
dello studio sono addirittura incredibili, considerata la quantità di esperti e
studiosi che vi hanno contribuito. Esse sono state dettagliatamente considerate
in un documento della Federazione Nazionale Pro Natura.
Esemplare di lupo (foto dal web) |
A integrazione, mi soffermo
quindi in particolare sul punto III.7, che riguarda le
“Deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiante naturale: presupposti, condizioni, limiti e criteri da applicare”. Come indica lo stesso piano, la direttiva europea Habitat, e il DPR 357/97 di recepimento, già indicano alcune ipotesi di “rimozione” del lupo, ipotesi ovvie e ragionevoli. Tali condizioni sono molto stringenti e in pratica difficili da implementare. Ogni paese adotta strategie differenti. Come molti sanno, la Svizzera ha deciso che l’abbattimento va eseguito ove un certo lupo (sic) uccida, in un determinato periodo di tempo, un numero di capi eccedente un dato numero, e purché l’allevatore abbia messo in atto le cautele
previste.
Ciò ricorda molto i processi agli animali di Medioevale memoria. Tuttavia ha il
vantaggio della “certezza del diritto”, se così vogliamo dire, anche se
determinare la colpevolezza di un lupo in quanto individuo è doppiamente
ridicolo (e se c’è associazione a delinquere?). Ma il problema è che questo
grottesco concetto del singolo lupo “criminale” viene ripreso anche dal nostro piano, in un contesto completamente
diverso.
“Deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiante naturale: presupposti, condizioni, limiti e criteri da applicare”. Come indica lo stesso piano, la direttiva europea Habitat, e il DPR 357/97 di recepimento, già indicano alcune ipotesi di “rimozione” del lupo, ipotesi ovvie e ragionevoli. Tali condizioni sono molto stringenti e in pratica difficili da implementare. Ogni paese adotta strategie differenti. Come molti sanno, la Svizzera ha deciso che l’abbattimento va eseguito ove un certo lupo (sic) uccida, in un determinato periodo di tempo, un numero di capi eccedente un dato numero, e purché l’allevatore abbia messo in atto le cautele
Cani da guardia (foto dal web) |
Infatti, sull’entità della
soglia minima del danno il documento lascia
tutto indeterminato, probabilmente tra chi ha firmato il piano c’è chi crede o spera che questo impedisca nei fatti
l’applicazione della pena, ma può essere vero anche il contrario: cambiano gli
“esperti”, cambiano i ministri, ma in un domani temporalmente indeterminato ciò
che sicuramente rimane è la possibilità degli enti locali di chiedere, e al
ministero di concedere, gli abbattimenti.
Oggi
gli studiosi, quando pensano e scrivono da studiosi e non da redattori di
“piani” probabilmente voluti da altri per motivi politici, concordano che:
-
L’uccisione di pochi lupi (persino
l’assurdo 5% massimo ipotizzato viene considerato troppo poco da Mech/Boitani (“Mortality Rates for Control and
Sustainable Harvest”, Wolves, 2003)
non serve assolutamente a nulla, anzi può aiutare a incrementare la
produttività dei branchi e ottenere l’effetto contrario (“Compensatory
Mortality”, op. cit.)
-
L’identificazione di un singolo lupo
“colpevole” può temporaneamente funzionare in Svizzera, dove attualmente si
trovano pochi immigrati, senza la formazione di nuclei stabili; non certo in
Toscana, dove agiscono decine di branchi contigui, dai territori a volte
parzialmente sovrapposti. Inoltre la mancata conoscenza dello status del
“colpevole” nell’ambito del branco e delle possibili ripercussioni nei rapporti
intra-branco e inter-branco può creare
nuovi equilibri capaci di provocare maggiori danni di quelli che si volevano
prevenire. Ad esempio la destrutturazione di un branco, con l’uccisione di un
leader capace di coordinare l’attacco a grossi ungulati selvatici, può indurre
i superstiti a rivolgere le loro attenzioni a più facili prede domestiche.
-
Tutti i super predatori hanno
necessariamente un limite alla crescita, limite imposto dalle disponibilità
alimentari (ancora Mech/Boitani, op. cit.) e messo in atto, se così vogliamo
dire, dalla biologia intrinseca alla specie, che nel caso del lupo prevede di
norma una sola femmina riproduttiva per ogni branco e il concomitante fenomeno
della dispersione (Francesca Marucco, Il
Lupo, 2014, “La dinamica di popolazione: meccanismi di autoregolazione”).
Non esiste quindi ordinariamente il problema di lupi in eccesso. Viceversa per
molti anche un solo lupo è un lupo in eccesso (vedi la situazione nella
Lessinia). Il che fa il paio con il noto aforisma: il solo indiano buono è
l’indiano morto.
Lupo in caccia (foto dal web) |
Tutto quanto sopra dimostra
che l’assunto principale del piano, cioè uccidere i singoli lupi “cattivi” che
creano problemi, è assurdo e pura propaganda, una concessione all’ignoranza, al
pregiudizio, alle conoscenze superficiali di molti degli attori umani coinvolti.
Se in un caso di ripetute predazioni di
bestiame si uccide il “colpevole” lasciando inalterate le cause (che di solito
sono due e concomitanti: l’incuria/imprevidenza umana e l’assenza o la sottrazione
al lupo di prede nel suo ambiente naturale) avremo temporaneamente tacitato la
rabbia degli allevatori, ma li avremo anche incoraggiati a lasciare immutata la
situazione.
Un altro punto da
rilevare è l’arrogante autonomia esercitata nell’elaborazione del piano, senza il minimo coinvolgimento
delle associazioni protezionistiche che sono “portatori di interesse” almeno
quanto gli allevatori, e senz’altro più dei coltivatori e dei cacciatori. E’ incredibile che il piano preveda l’abbattimento di lupi persino all’interno dei Parchi
Nazionali (e sia pure “con cautela”, bontà loro). I Parchi regionali e altre
forme di protezione non vengono neppure menzionate. Punto III.7.4. Altrettanto
inaccettabile appare la formazione di una vera e propria louveterie, cacciatori di lupi professionali nell’ambito di Regione
e Provincie autonome, che quindi potrebbero operare persino all’interno dei
Parchi Nazionali, indipendentemente dalla volontà degli organi di gestione dei
parchi stessi. Punto III.7.5
L’ultima idea assurda del
piano, che è un vecchio cavallo di
battaglia di Boitani, è che gli abbattimenti mirati “legali” scoraggino il
bracconaggio. In realtà è molto più probabile che “l’abbattimento di lupi
(abbia) il risultato di consolidare tali credenze, conferendo a torto ancora
una volta alla dominazione con la forza della natura (e alla caccia in
particolare) da parte dell’uomo, un
ruolo centrale nella gestione delle risorse naturali, che ha già fatto troppi
danni nel passato.” (Pro Natura, citata)
il prof. Luigi Boitani, zoologo, Università di Roma |
[1]
Angelo Gandolfi,
fotografo e giornalista pubblicista, specializzato in divulgazione ambientale, con
particolare riferimento al lupo e alle sue tematiche.
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