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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 26 febbraio 2016

Morte al lupo! Ritorno al Medioevo Terza parte

Appunti di un Naturalista che da anni segue il Lupo in Italia sul Piano di conservazione e gestione del lupo (Dicembre 2015)[1]


Il documento è stato redatto da un comitato di esperti dell’Unione Zoologica Italiana, coordinati da Luigi Boitani. Esso, nelle intenzioni, dovrebbe finalmente mettere in atto tutte quelle azioni che consentano una più efficace gestione e conoscenza del lupo, attenuando i conflitti con l’uomo e
Esemplare di lupo (foto dal web)
l’impatto della specie sulle attività economiche rurali.  Il precedente piano risale al 2002, ed è rimasto lettera morta. Questo del 2015 non prevede nulla di nuovo se non una più esplicita e peraltro confusa possibilità di uccidere lupi che “creano problemi”: problemi reali o immaginari che siano (come vedremo).  Le innumerevoli incongruenze e facilonerie dello studio sono addirittura incredibili, considerata la quantità di esperti e studiosi che vi hanno contribuito. Esse sono state dettagliatamente considerate in un documento della Federazione Nazionale Pro Natura.
A integrazione, mi soffermo quindi in particolare sul punto III.7, che riguarda le
“Deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiante naturale: presupposti, condizioni, limiti e criteri da applicare”. Come indica lo stesso piano, la direttiva europea Habitat, e il DPR 357/97 di recepimento, già indicano alcune ipotesi di “rimozione” del lupo, ipotesi ovvie e ragionevoli. Tali condizioni sono molto stringenti e in pratica difficili da implementare. Ogni paese adotta strategie differenti. Come molti sanno, la Svizzera ha deciso che l’abbattimento va eseguito ove un certo lupo (sic) uccida, in un determinato periodo di tempo, un numero di capi eccedente un dato numero, e purché l’allevatore abbia messo in atto le cautele
Cani da guardia (foto dal web)
previste. Ciò ricorda molto i processi agli animali di Medioevale memoria. Tuttavia ha il vantaggio della “certezza del diritto”, se così vogliamo dire, anche se determinare la colpevolezza di un lupo in quanto individuo è doppiamente ridicolo (e se c’è associazione a delinquere?). Ma il problema è che questo grottesco concetto del singolo lupo “criminale” viene ripreso anche dal nostro piano, in un contesto completamente diverso.
Infatti, sull’entità della soglia minima del danno il documento lascia tutto indeterminato, probabilmente tra chi ha firmato il piano c’è chi crede o spera che questo impedisca nei fatti l’applicazione della pena, ma può essere vero anche il contrario: cambiano gli “esperti”, cambiano i ministri, ma in un domani temporalmente indeterminato ciò che sicuramente rimane è la possibilità degli enti locali di chiedere, e al ministero di concedere, gli abbattimenti.
Oggi gli studiosi, quando pensano e scrivono da studiosi e non da redattori di “piani” probabilmente voluti da altri per motivi politici, concordano che:
-        L’uccisione di pochi lupi (persino l’assurdo 5% massimo ipotizzato viene considerato troppo poco da Mech/Boitani (“Mortality Rates for Control and Sustainable Harvest”, Wolves, 2003) non serve assolutamente a nulla, anzi può aiutare a incrementare la produttività dei branchi e ottenere l’effetto contrario (“Compensatory Mortality”, op. cit.)
-        L’identificazione di un singolo lupo “colpevole” può temporaneamente funzionare in Svizzera, dove attualmente si trovano pochi immigrati, senza la formazione di nuclei stabili; non certo in Toscana, dove agiscono decine di branchi contigui, dai territori a volte parzialmente sovrapposti. Inoltre la mancata conoscenza dello status del “colpevole” nell’ambito del branco e delle possibili ripercussioni nei rapporti intra-branco e  inter-branco può creare nuovi equilibri capaci di provocare maggiori danni di quelli che si volevano prevenire. Ad esempio la destrutturazione di un branco, con l’uccisione di un leader capace di coordinare l’attacco a grossi ungulati selvatici, può indurre i superstiti a rivolgere le loro attenzioni a più facili prede domestiche.
-       
Lupo in caccia (foto dal web)
Tutti i super predatori hanno necessariamente un limite alla crescita, limite imposto dalle disponibilità alimentari (ancora Mech/Boitani, op. cit.) e messo in atto, se così vogliamo dire, dalla biologia intrinseca alla specie, che nel caso del lupo prevede di norma una sola femmina riproduttiva per ogni branco e il concomitante fenomeno della dispersione (Francesca Marucco, Il Lupo, 2014, “La dinamica di popolazione: meccanismi di autoregolazione”). Non esiste quindi ordinariamente il problema di lupi in eccesso. Viceversa per molti anche un solo lupo è un lupo in eccesso (vedi la situazione nella Lessinia). Il che fa il paio con il noto aforisma: il solo indiano buono è l’indiano morto.
Tutto quanto sopra dimostra che l’assunto principale del piano, cioè uccidere i singoli lupi “cattivi” che creano problemi, è assurdo e pura propaganda, una concessione all’ignoranza, al pregiudizio, alle conoscenze superficiali di molti degli attori umani coinvolti.  Se in un caso di ripetute predazioni di bestiame si uccide il “colpevole” lasciando inalterate le cause (che di solito sono due e concomitanti: l’incuria/imprevidenza umana e l’assenza o la sottrazione al lupo di prede nel suo ambiente naturale) avremo temporaneamente tacitato la rabbia degli allevatori, ma li avremo anche incoraggiati a lasciare immutata la situazione.
Un altro punto da rilevare è l’arrogante autonomia esercitata nell’elaborazione del piano, senza il minimo coinvolgimento delle associazioni protezionistiche che sono “portatori di interesse” almeno quanto gli allevatori, e senz’altro più dei coltivatori e dei cacciatori.  E’ incredibile che il piano preveda l’abbattimento di lupi persino all’interno dei Parchi Nazionali (e sia pure “con cautela”, bontà loro). I Parchi regionali e altre forme di protezione non vengono neppure menzionate. Punto III.7.4. Altrettanto inaccettabile appare la formazione di una vera e propria louveterie, cacciatori di lupi professionali nell’ambito di Regione e Provincie autonome, che quindi potrebbero operare persino all’interno dei Parchi Nazionali, indipendentemente dalla volontà degli organi di gestione dei parchi stessi. Punto III.7.5
L’ultima idea assurda del piano, che è un vecchio cavallo di battaglia di Boitani, è che gli abbattimenti mirati “legali” scoraggino il bracconaggio. In realtà è molto più probabile che “l’abbattimento di lupi (abbia) il risultato di consolidare tali credenze, conferendo a torto ancora una volta alla dominazione con la forza della natura (e alla caccia in particolare) da parte dell’uomo,  un ruolo centrale nella gestione delle risorse naturali, che ha già fatto troppi danni nel passato.” (Pro Natura, citata)
il prof. Luigi Boitani, zoologo, Università
di Roma
Nella prefazione al suo primo libro (Dalla parte del lupo, 1986) il Luigi Boitani, allora semplice ricercatore finanziato dal WWF e dal Parco Nazionale d’Abruzzo, scriveva che esistono due lupi. “Uno fantastico (somma di una infinità di storie, leggende, racconti, fantasie, ecc.) e uno reale (biologico)”. Aggiungeva che avrebbe cercato, con il suo libro, “di distruggere il lupo falso”, per meglio difendere quello reale. Ahimè, la vita! Oggi, il cattedratico prof. Luigi Boitani è senz’altro meglio finanziato, e però si trova nella scomoda situazione di difendere il lupo falso: “Oggettive condizioni di forte tensione sociale si possono verificare soprattutto in alcune parti dell’areale del lupo dove la specie ha fatto ritorno dopo decenni di assenza (…). In queste condizioni, il prelievo di alcuni esemplari può costituire, presso i gruppi di interesse più colpiti, una forma di gestione che può coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione dei danni. Inoltre può rappresentare un importante gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità che possono aiutare a superare il clima di contrapposizione, che a volte sfocia in atti di bracconaggio incontrollabile.”  Si uccidono alcuni lupi veri, come dimostrazione di buona volontà atta a sopire le teste piene di fantasie irrazionali di lupi immaginari. E tra l’altro si uccidono proprio in quella popolazione alpina, esigua di numero, già sottoposta a prelievi da parte dei francesi, che il piano stesso ha identificato come “in stato di conservazione non ancora soddisfacente”, e soprattutto portatrice di una ridottissima variabilità genetica. In questo modo si rischia di frenare, se non chiudere del tutto, la spinta della specie a ricolonizzare le Alpi Centrali, che il piano dice di essere uno degli obiettivi da raggiungere.



[1] Angelo Gandolfi, fotografo e giornalista pubblicista, specializzato in divulgazione ambientale, con particolare riferimento al lupo e alle sue tematiche.

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