Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

mercoledì 23 marzo 2016

Parco regionale del Vulture - Punctum dolens

Area del Vulture (foto dal web)
Istituire un Parco in Italia è cosa assai difficile.
Farlo al Meridione è ancora un’impresa improba.
Mi riferisco allo splendido territorio che ruota intorno al vecchio vulcano spento del Vulture, in provincia di Potenza, tra i comuni di Melfi, Rionero, Atella, solo per citarne i più grandi.
La regione interessata è, ovviamente, la Basilicata.
Una terra splendida e felice, che vive in pieno e a tutto tondo i dolori del cambiamento.
Infatti, potrebbe essere veramente una terra appagata e ricca, mentre beghe partitiche, interessi vari, lobbysmo e miopia politica fanno sì che ciò non accada. Con il risultato che invece di essere una regione splendida, diventa una terra maledetta, dove fare, dire e prendere una decisione, qualsiasi essa sia, diventa una questione di vita o di morte.
Manco dal Vulture dagli inizi degli anni Novanta e già da allora si parlava del Parco regionale del Vulture.
Dibattiti, incontri, mediazioni e le più disparate richieste hanno avuto come unico risultato la paralisi.
Il Vulture e i laghi di Monticchio (foto dal web)
Se a questo si aggiunge che la istituzione dei parchi del Pollino e della Val d’Agri non hanno dato nessun risultato, in termini di immagine positiva delle aree protette, di protezione degli ambienti, di sviluppo economico, va da sé che istituire un altro parco, seppur di ordine regionale, sia una “Missione Impossibile”.
Il risultato che la OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista) chiede di non parlare di Parco del Vulture ma di una sorta di parco “papocchiato” da localismi e ipotecato dalle lobby energetiche.
Questo, forse, è il risultato di una sorta di concertazione tra soggetti molto diversi tra di loro (comuni, associazioni di categoria, ambientalisti, compagnie petrolifere) che portano come conseguenza al nulla di fatto.
Come al solito il punctum dolens (copyright by Rocco de Rosa) sta nel significato di Parco. Alcuni pensano che un Parco sia un marchio da sfruttare; altri pensano che sia un’area protetta dove si salvaguarda la biodiversità, per altri ancora, un Parco è un sistema di vincoli che blocca lo sviluppo socio-economico.
Eravamo favorevoli alla perimetrazione originaria – hanno detto i rappresentati di Legambiente – ma dopo le osservazioni di alcuni sindaci riteniamo che la proposta non abbia più senso. Alcuni Comuni – hanno aggiunto – si gioverebbero solo del marchio ma così come proposto il parco non avrebbe senso dal punto di vista ecologico ed ambientale oltre che economico. Se non si ritorna alla proposta originale degli uffici regionali la nostra associazione esprimerà serie riserve”.
Dello stesso parere i rappresentanti del Wwf  per i quali “la proposta degli uffici è stata stravolta dai sindaci. Prima veniva salvaguardata la biodiversità ora si pensa solo all’aspetto vincolistico a danno delle prospettive di reale sviluppo. Chiediamo dunque una perimetrazione più omogenea”.

Il Monte Vulture (foto dal web)
Tirare i remi in barca, decidere sul da farsi, è toccato alla Terza Commissione del Consiglio regionale della Basilicata, presieduta da Francesco Pietrantuono, la quale ha risolto la questione con un nulla di fatto. E siamo di nuovo al punto di partenza, in una sorta di gioco dell’oca che, ad ogni iniziativa, fa tornare alla casa madre senza concludere il percorso.
 Pare che una delle questioni siano:  Quanto deve essere grande, cosa deve includere o escludere, quanti comuni posso parteciparvi e, soprattutto, la superficie deve essere omogenea e unica, non può essere spezzettata.
Molti specialisti, si appellano alla politica e al buon senso degli amministratori, sostenendo che la perimetrazione attuale sia l’unica possibile, che non ci sono alternative per arrestare il degrado di Monticchio e delle sue acque. Acque che cambiano colore, immondizia sparsa dappertutto, abusivismo vario, deturpano uno dei posti più belli della Basilicata. Con seri danni per tutti coloro che vivono di turismo e agricoltura.

Il Vulture non merita questo!!!
E la Basilicata rischia di perdere un’altra occasione per distinguersi dall’omogeneizzazione verso il basso come tutte le altre regioni del Meridione.  





martedì 22 marzo 2016

Cammino di Sant’Agostino

Da tanto tempo desideravo percorrere una tappa, quella in Lombardia, del Cammino di Sant’Agostino, conosciuto anche come il “Cammino della Rosa”, un po’ per ragioni storiche, un po’ per il puro piacere di camminare e, infine, per scoprire una Milano che vada oltre la cronaca e il mito. 
Emanuele Pisarra sul Cammino
di Sant'Agostino
(Foto di K. Tiziani)
Alcune notizie tratte dal sito Ufficiale.
Il Cammino di Sant’Agostino è un pellegrinaggio mariano concepito  nel nome del Santo della Grazia, per raggiungere e collegare nelle sue tappe cinquanta Santuari mariani della Lombardia,  toccando tre località lombarde legate alla figura di Agostino da Ippona: Rus Cassiciacum (oggi Cassago Brianza, luogo della sua conversione), Milano (la città capitale imperiale, luogo del battesimo) e Pavia, dove si trovano le reliquie del Santo al quale il Cammino è dedicato.
Il tragitto prevede una notevole estensione da percorrere a piedi - nei due sensi - da Pavia a Genova (città dove le reliquie agostiniane giunsero nel VII secolo, per essere traslate a Pavia lungo la Via del Sale). La lunghezza attuale dei percorsi italiani è di 926 km. È possibile una prosecuzione per ulteriori 605 km in terra nordafricana, da Tunisi-Cartagine a Ippona e ritorno, passando per Tagaste.
Caratteristica peculiare del Cammino di Sant'Agostino è la forma del percorso che disegna una figura stilizzata di rosa.

Il Cammino della Rosa: fiore, foglie, gambo e radici

carta del Cammino di Sant'Agostino
Questa rosa ha il suo fiore nella Brianza comasca, lecchese e monzese, le foglie in direzione est e ovest lungo le Province di Monza e Brianza, Milano, Varese e Bergamo,; il gambo a unire le città di Monza, Milano, Pavia e Genova in un lungo asse in direzione nord-sud, le radici a collegare le città "agostiniane" di Tunisi-Cartagine, Tagaste e Ippona, su suolo africano.

Il 
fiore
È un tracciato circolare chiuso di 352 km, da percorrere in 15 giornate di cammino: inizia e si conclude a Monza, toccando trenta Santuari mariani e transitando per la località di Rus Cassiciacum, dove Agostino soggiornò per alcuni mesi e si convertì alla fede cristiana, immediatamente prima del battesimo milanese;
La foglia orientale
È un percorso da Milano a Monza in direzione est di 99 km lungo i canali Villoresi e Martesana, e tocca otto Santuari mariani garantendo il collegamento a piedi per i pellegrini che giungono dall'aeroporto di Orio al Serio;
La foglia occidentale
Da Monza a Milano a in direzione ovest di 91 km corre lungo il canale Villoresi e le Vie d'Acqua dell'area Expo 2015, e collega otto Santuari mariani per i fedeli che giungono all'aeroporto di Malpensa;
Il gambo
Unisce le città di Monza, Milano, Pavia e Genova lungo il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese e successivamente lungo l'appenninica Via del Sale, per un totale complessivo (considerando l'andata e il ritorno su tragitti separati da Pavia a Genova) di 384 km, e tocca quattro Santuari mariani.
Le radici
Sul suolo Nordafricano i percorsi tra i luoghi nativi di Agostino, collegano le città di Tunisi-Cartagine, Tagaste e Ippona per una lunghezza complessiva, dalla Tunisia a all’Algeria e ritorno, di 605 km e 30 giornate di percorso a piedi.

PRIMA TAPPA
La prima tappa dell’anno che ho percorso va dalla Certosa di Garegnano, al Santuario di Santa Maria alla Colombara quindi al Santuario Beato Carlo Gnocchi (Chiesa giubilare), Santuario di Santa Maria delle Grazie (Chiesa penitenziale) e Basilica di Sant’Ambrogio (Chiesa giubilare).
Emanuele Pisarra riceve il timbro del
Cammino sulla credenziale
(Foto di E. Pisarra)
Una sorta di camminata cittadina, in una Milano deserta, addormentata e, stranamente, silenziosa.
A parte un disguido alla partenza, causato da affollamento dato il giorno delle Palme, per cui il nostro gruppo è partito dalla Chiesa della Colombara invece che dalla Certosa di Garegnano, quindi, dopo le formalità di rito (presentazione del percorso e timbro sulla credenziale), siamo arrivati al Giardino dei GIUSTI: una collina realizzata con le macerie della seconda guerra mondiale, in seguito rinverdita e che oggi si presenta come un piccolo polmone verde in una città inquinata.
Una visita, seppur veloce, a questo luogo dedicato alla memoria delle tante personalità che hanno resistito alla violenza nazista e ai tanti altri regimi che hanno e, in molte parti del mondo ancora continuano, a maltrattare, torturare e uccidere donne, uomini, bambini e interi popoli.
Dopo un momento di profonde riflessioni per quanti sono i nomi e per le date che mostrano come gli orrori non finiscono mai, con un grosso groppo alla gola mi sono allontanato in fretta da questo posto molto rattristato.
Forse perché oggi è una giornata di cammino nel segno di un grande santo della nostra storia,mi sono ripromesso di tornare qui con più calma.
La segnaletica del cammino di Sant'Agostino
Il Cammino con i compagni di viaggio prosegue tra una chiacchiera e una considerazione sulla bellezza di questa città e dell’Italia - in concomitanza ci sono le giornate del FAI - che ha un patrimonio fantastico, secondo a nessuno, che tutto il mondo ci invidia. Peccato che molti nostri governanti non lo sappiano. Infatti, anche se è in atto un timido tentativo di rilancio dei nostri beni culturali da parte del ministro Franceschini, sono convinto che il Ministero dei Beni Culturali vada completamente rifondato, con nuovo personale; venga rivista la normativa e il ruolo delle Sovraintendenze, e, soprattutto, che occorrano investimenti, investimenti e ancora investimenti: solo così potremo trarre benefici da tutto questo patrimonio che, è condannato ad andare in rovina.
La prima tappa d’arrivo è al santuario del Beato don Carlo Gnocchi.
Originale struttura, realizzata dopo la morte del grande sacerdote, annessa all’ospedale omonimo, ha consentito una piccola sosta per un panino e di partecipare alla messa, celebrata da padre Michele, insieme con il Sacerdote rettore.
All’avvio, siamo passati di fronte alla clinica e mi ha fatto una certa impressione leggere i numerosi striscioni che denunciano l’aspra vertenza dei lavoratori nei confronti della Fondazione proprietaria. Slogan molto forti, che danno il polso su come venga gestito il denaro pubblico e del ruolo del malato ridotto a mero numero, oggetto da sfruttare  per portare avanti interessi molto lontano dai valori perseguiti da don Gnocchi.
Arrivo a Santa Maria delle Grazie
(Foto di E. Pisarra)
La camminata prosegue verso Santa Maria delle Grazie.
Percorrendo Viale Magenta, tra palazzi antichi, sfarzosi, di buon gusto rispetto a tanti dell’edilizia moderna, si supera la residenza dell’Ambasciata di Francia, oltrepassando il Cenacolo Vinciano, all’improvviso appare la Piazza con la Cupola del Bramante: un incontro semplicemente splendido se non fosse per la scontrosità dei responsabili che non … sono molto tolleranti con i pellegrini.
Ma noi, inflessibili, abbiamo seguito un monaco domenicano che ha – anche se a malincuore – timbrato le nostre credenziali.
Veramente una brutta accoglienza!
Se non fosse per la cupola del Bramante e per la bellezza della Chiesa, che davvero riempiono il cuore, non avrei soprasseduto a presentare le mie rimostranze alla mancanza di delicatezza del personale della vigilanza.
Ottenuto il nostro timbro, abbiamo immediatamente ripreso il Cammino in direzione della Basilica di sant’Ambrogio.  
Basilica di sant'Ambrogio Milano
(Foto di E. Pisarra)
Siamo usciti dalla chiesa, e oltrepassato il chiosco, ci siamo ritrovati davanti all’albergo delle “Stelline” (per le ragazze l’equivalente dell’orfanotrofio dei “Martinitt”, sempre qui a Milano).
Quanta storia e storie in questo luogo!
Camminare a quest’ora del pomeriggio, mentre la città ancora non è completamente sveglia, è una sensazione strana: tutti pensano che Milano sia una città caotica (e a qualche semaforo lo abbiamo percepito), ma almeno la domenica sembra sia più disponibile, una città che si offre tranquilla per essere osservata e in alcuni punti molto ammirata.
Percorriamo via Zenale, per uscire su Via San Vittore.
Ormai sono le cinque del pomeriggio e la città riprende la sua frenesia. È curioso notare come le persone muovendosi in gruppo si sentano padrone del mondo: diversi semafori sono attraversati con il “rosso” con notevole disappunto degli automobilisti e grande preoccupazione dell’organizzazione. Ma tutto procede bene.
Il Rettore della Basilica di Sant'Ambrogio
accoglie i pellegrini (Foto di E. Pisarra)
All’improvviso, in fondo al viale appare la Basilica di Sant’Ambrogio.
Non sono uno storico dell’arte e tantomeno un agiografo, ma la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di così “bello”, testimone della venerazione per un grande Santo, in un luogo tanto ricco di storia, pieno di gente, accolti dal Rettore con entusiasmo e gioia: è stata proprio una sensazione straordinaria!.
E Con il saluto del Rettore, la lettura della Preghiera del Santo Padre per l’anno giubilare, la visita alla chiesa e al sepolcro del Santo, si conclude la mia prima tappa sul Cammino di Sant’Agostino.

Ultreya! (Buon Cammino)



Cammino di Sant'Agostino 



lunedì 21 marzo 2016

L'Oro verde del Kosovo. Via ferrata Ari - Grotta della regina

Una interessante e concreta iniziativa che la SAT (Società Alpinisti Tridentini) ha realizzato in Kossovo mostra come ancora una volta la parte migliore dell’Italia porta nel mondo la sua sapienza, le sue conoscenze e le mette a disposizione di un popolo appena uscito da una guerra in cerca di un futuro.

Un fermo immagine del servizio della RAI sulla ferrata in Kossovo
Il documentario racconta della prima via ferrata che sia mai stata realizzata sulle Alpi Albanesi. Il progetto, finanziato dall’Associazione Trentino coi Balcani e costruito con il supporto di conoscenze e materiali della Società degli Alpinisti Tridentini, ha coinvolto i giovani e le comunità locali. Nel programma si ripercorre la ferrata assieme a loro salendo in cima, nel cuore della Val Rugova, scoprendo così anche il Kosovo di oggi.
Come alpinista, appassionato di montagna e operatore turistico, invidio la praticità di un popolo – quello trentino – che senza fronzoli e protocolli, intese e quant’altro, porta aiuto ad un altro popolo che sta cercando una nuova via per risollevarsi dopo una sanguinosa e violenta guerra.

Auguri di tanta buona montagna al popolo del Kossovo! 



domenica 20 marzo 2016

Sud Verticale - nuova guida

A differenza di quanti pensino che sul Pollino è stato scritto tutto e su tutto è uscita una nuova Guida che racconta di una montagna vissuta tra falesie, roccia, sci-alpinismo e ghiaccio che porta il lettore a vedere con altri occhi la nostra realtà.
Non ho ancora letto la guida.
Riporto la presentazione che ne ha fatto Alessandro Gogna, grande alpinista italiano, che, forse, è stato tra i primi a credere che si può arrampicare anche nel Meridione.  

Copertina della nuova guida
E’ appena uscita la nuova guida Sud verticale, una completa monografia di ghiaccio, scialpinismo, roccia, falesie e ferrate nei Parchi del Pollino e dell’Appennino Lucano. L’autore è Guido Gravame, l’editore è Idea Montagna.

Sono passati quasi 35 anni da quando, assieme a mia moglie Ornella e Andrea Savonitto, nel corso del nostro lungo peregrinare nelle montagne del Sud, capitammo sulle montagne del Pollino. Pur dotati di carte militari dell’IGM eravamo completamente all’oscuro di cosa avremmo trovato, ma una cosa era chiara fin da subito. Sul versante settentrionale avremmo trovato una montagna meravigliosa, piena di boschi e di itinerari anche impegnativi; su quello meridionale grandi dislivelli e precipizi dirupati e selvaggi. Non mi aspettavo grandi pareti di roccia, perché non ero riuscito a reperire in anticipo alcuna documentazione fotografica. E dunque, quale non fu la nostra sorpresa, con conseguente eccitazione, quando scoprimmo ciò che sovrastava Civita! Gole profondissime, canyon… e soprattutto pareti a perdita d’occhio, una specie di novello Verdon dalle proporzioni gigantesche e del tutto inesplorato.
Alessandro Gogna
Fummo subito presi dalla frenesia del fare, anche se i giorni che avevo messo a disposizione per la zona del Pollino erano comunque limitati. Ci scontrammo subito con la difficoltà di avere qualunque genere di informazioni sul posto, controbilanciata dalla sorpresa dell’aver trovato alcune strade poderali sterrate che non ci aspettavamo (sulle carte non c’erano) e che ci facilitavano decisamente le cose.
Alla fine riuscimmo essenzialmente ad aprire una via difficile sull'imponente parete ovest della Pietra del Demanio e ad attraversare in senso est-ovest l’intera Gola del Barile. In realtà ci siamo impegnati a risalire questo fantastico canyon non propriamente con il solo scopo esplorativo: ci interessava l’enorme parete sovrastante, la Sud-ovest della Timpa di San Lorenzo, a occhio e croce la più alta di tutto il Meridione d’Italia. Pur osservando con molta attenzione, non riuscimmo a trovare un itinerario possibile nello stile mordi e fuggi. Per tutto il canyon lo zoccolo basale della parete ci risultò costituito di immani placconate lisce che di certo avrebbero richiesto molti tentativi, un’attrezzatura e magari anche qualche chiodo a pressione (che non avevamo neppure). Ci sfuggì la possibilità sfruttata molti anni dopo da Giovanni Peruzzini e Alessandro Manià: loro seguirono una lunga cengia che taglia in basso la parete (la cengia di Sant’Anna) evitando così lo zoccolo e risalirono diretti alla vetta per quella che chiamarono la via del Moto Perpetuo.

Alessandro Gogna, 1'ascensione della via del Peperoncino,
 seconda lunghezza, Pietra del Demanio (Gola del Raganello
inferiore), 26 settembre1981
Questa grande impresa è solo la prima ad affrontare la grande parete: io mi auguro che prima o poi qualche forte cordata riprenderà il nostro vecchio progetto e salirà dal fondo della Gola del Barile sull’intera parete, magari più a destra di Moto Perpetuo, dove è presumibile trovare difese naturali ancora maggiori.
Insomma, un ricordo meraviglioso, ingigantito dal lungo silenzio che seguì le nostre esplorazioni, poi ulteriormente amplificato da vaghe notizie di nuove timide aperture e di qualche grande impresa. Già mi ero interessato a queste nuove frequentazioni per la stesura del mio La Pietra dei Sogni, ma questa guida che sto presentando elenca le nuove vie e le descrive con grande precisione e amore. Rimarchevoli le annotazioni storiche per ciascun itinerario, sia esso di completa avventura sia plaisir. Alla fine si vengono a conoscere nei dettagli imprese, uomini e donne che qui hanno esplorato, sofferto e vinto, oppure qualche volta sono stati sconfitti. Noi questi alpinisti dobbiamo ringraziarli perché sono loro ad aver portato e portare avanti un discorso che viene da molto lontano.

Con piacere vedo che il format, già ampiamente collaudato dall’Editore per la sua bellissima serie di guide del Gruppo di Brenta, è stato applicato anche qui sul Pollino e dintorni, con il risultato, grazie anche e soprattutto alla competenza dell’Autore, di fare chiarezza su un gruppo di montagne che dovrà essere noto d’ora in avanti non solo perché a suo tempo è stato dichiarato Parco Nazionale, ma anche perché costituisce un grande luogo d’avventura. Qui l’avventura è propria non solo delle pareti da arrampicare in tutte le stagioni: qui l’avventura è essenza intima di ogni modo di muoversi e di conoscere. Sono pochi i luoghi, nelle Alpi e nell’Appennino, a essere ancora così.



giovedì 17 marzo 2016

Club Italiano Pastore della Sila

Se non fosse vero sembrerebbe una barzelletta.
La prima cucciolata di cani da pastore abruzzese arrivata sul Pollino
(foto dal web)
L’Ente Parco nazionale del Pollino organizza uno stage per pastori in Abruzzo alla ricerca di un cane adatto a difendere le greggi dall’attacco di lupi sempre più affamati e pericolosi.
Riesce, dopo tante peripezie, a portare un po’ di pastori – notoriamente molto diffidenti – in Abruzzo per un incontro con allevatori di cani abruzzesi e, a seguito di questi incontri, arrivano sul Pollino i primi cani da guardiania.
Per la verità questo progetto era già partito alcuni anni fa, con l’arrivo di un piccolo nucleo di cani abruzzesi, affidati a una azienda agricola locale, dove sono stati fatti riprodurre e in seguito assegnati agli allevatori di pecore e capre in tutto il territorio del Parco.
Fino a quando sono stati erogati i contributi pubblici e garantita l’assistenza veterinaria da fondi stanziati dal parco tutto andò bene.
un'altra immagine dell'arrivo dei cani abruzzesi
sul Pollino (foto dal web)
Il progetto è decaduto con la fine dei contributi pubblici. I pastori del Pollino sono tornati agli antichi “usi e costumi” in materia di rapporti cane-mandria e proprietà.
Come ricorda una storiella civitese.
Eravamo agli inizi degli anni Settanta e il medico condotto del paese, noto appassionato di caccia, accompagnava i suoi cani a “cambiamento d’aria” presso una antica masseria. Di tanto in tanto andava a controllare la salute delle sue bestie, portando con sé diversi chili di pasta e altre prelibatezze.
Quando arrivava in azienda, si lamentava con il proprietario del fatto che i suoi cani sembrava non stessero molto bene in … carne.  Lui rispondeva: “Dottò non vi preoccupate, stanno facendo i denti!”.
Rassicurato, il medico se ne tornava a casa. Il proprietario, portava in casa le cibarie per i cani ma riservava loro quattro calci negli stinchi e li invitava ad andare a cercarsi il cibo fuori dalla sua abitazione.
Da questa storiella vera si evince come i pastori del Pollino (ma io penso che un po’ tutti i pastori del mondo si assomiglino) non investano molto nella prevenzione, tanto poi, lamentandosi, sanno che qualcuno rimborserà loro i danni causati dalla predazione da lupi.
Tornando al nostro discorso di partenza, mentre i nostri pastori del Pollino affrontano un viaggio fino in Abruzzo alla ricerca di un cane adatto a difendere le mandrie ovo-caprine dai lupi, in Sila esiste un cane autoctono in grado di fare lo stesso lavoro di quello abruzzese.
Infatti, apprendiamo da un comunicato stampa, prodotto e divulgato dalla ottima macchina pubblicitaria dell’Ente Parco della Sila, che esiste il CLUB ITALIANO PASTORE DELLA SILA.
Cane Italiano Pastore della Sila (foto da wikipedia)
Il comunicato recita: Il CIPS (il Club Italiano Pastore della Sila), associazione cinotecnica specializzata, ha come scopo lo studio, il recupero, il miglioramento genetico, la diffusione e la valorizzazione del Cane da Pastore della Sila, antico custode delle greggi, razza autoctona calabrese che si è forgiata proprio sul territorio dell’altopiano silano e la cui adattabilità, resistenza all’ambiente ed efficacia nella funzione di deterrente contro le predazioni da lupo sono scritte nel proprio corredo cromosomico.
Ovviamente il super commissario dell’Ente Parco della Sila ha subito sottoscritto una convenzione con lo scopo di inserire alcuni Cani da Pastore della Sila presso le greggi che pascolano in quelle aree protette in modo da consentire una difesa naturale dagli attacchi dei lupi tesa a garantire la salvaguardia e la conservazione dei lupi stessi sia una loro migliore convivenza con le attività pastorali dell’Altopiano silano.
Invece i pastori del Pollino – esterofili – pensano che per difendere le proprie greggi dagli attacchi dei lupi sia più adatto un cane proveniente dall’Abruzzo.
Questione di punti di vista!
Purtroppo non è una barzelletta ma un fatto vero! 


mercoledì 16 marzo 2016

roba da matti!

L’Ente Parco nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese  pubblica un bando di gara Per la prevenzione di eventuali danni al territorio attraverso la ricognizione visiva delle condotte che collegano i pozzi petroliferi e che attraversano il territorio del Parco” alla modica somma di 3,5 milioni di euro.
La valle del Sauro vista dal santuario di Serra Lustrante
(foto da internet)
Roba da matti!
Un Ente Parco - istituzionalmente predisposto alla tutela e alla salvaguardia del territorio e della biodiversità – non deve occuparsi di sicurezza delle condotte petrolifere che pur attraversano il sottosuolo del Parco.
Anzi dovrebbe lavorare per eliminare questo “inconveniente” invece di spendere denaro pubblico per fare un lavoro che spetta di dovere alle compagnie petrolifere proprietarie delle condotte.
Logo del Parco 
Ma siamo di fronte a un Ente Parco in balia delle compagnie petrolifere che viene meno agli impegni istituzionali che le norme in materia gli affidano.
Stessa cosa dicasi in relazione alle autorizzazioni che l’Ente Parco dovrà dare a breve a seguito delle richieste di nuove ricerche di idrocarburi e gas.
Mi duole molto, davvero molto, dare ragione a Legambiente, ma sottoscrivo in pieno il documento in cui l’associazione afferma: “E’ inaccettabile che l’Ente Parco dichiari di rispondere quando avrà le carte sul tavolo. La sua posizione dovrebbe essere forte e chiara. Il Parco deve trovare ogni modo per frenare, limitare e, se possibile, impedire ogni attività industriale impattante, come l’industria petrolifera, nel suo territorio.
L’Ente Parco sia l’istituzione preposta al cambiamento, il soggetto trainante verso una rivoluzione del paradigma petrolio che, con le promesse fallite di un’occupazione inesistente, vede tutt’ora la Basilicata schiava delle grandi compagnie petrolifere”.
il Centro Oli di Viggiano di notte. (foto dal web)
“Ci chiediamo inoltre che garanzie di terzietà e trasparenza può assicurare un soggetto che deve autorizzare attività di un suo finanziatore venendo meno alla propria mission anche in termini etici e facendo sorgere dubbi sulla esatta interpretazione della funzione degli Enti Parco: soggetti destinati a servire i territori e a favorire un’evoluzione culturale in termini di sostenibilità ambientale delle comunità locali”
Sembra che questo parco sia un’altra ruota del carro dell’indotto che le compagnie petrolifere foraggiano per tenere “buona” una popolazione e “distrarla” dal vero obiettivo che un soggetto attuare come l’Ente di gestione di
un momento del trasporto di una condotta
(foto dal web)
un area protetta ha (o dovrebbe avere) nel suo DNA: tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse naturali.
Certamente il giovane e piccolo Parco dell’Appennino lucano è in una posizione di inferiorità nei confronti di ENI o TOTAL ma, soprattutto, sa di combattere una guerra già persa in partenza per il solo fatto che stride molto parlare di conservazione di ambienti naturali se si è circondato da pozzi petroliferi, centro oli, condotte e olezzi vari.
Se a questo si aggiunge l’isolamento (anche se, per la verità, lo sono tutti i parchi italiani) da parte delle istituzioni regionali e nazionali si ha la quadratura del cerchio.

A questo punto uno si chiede a cosa serva e quale ruolo abbia nella conservazione del paesaggio -  in senso lato -  L’Ente Parco nazionale dell’Appenino lucano Val d’Agri Lagonegrese…
Mi duole ancora una volta dare anche ragione all'ex ministro Brunetta quando si chiedeva a cosa servano questi Enti Parco.  

lunedì 14 marzo 2016

Di annunci roboanti e forti sono piene le cronache

Che il Primo Ministro di turno abbia un occhio di riguardo per il Meridione non guasta.
Che addirittura si spenda personalmente e venga ad inaugurare un altro pezzo di autostrada è un ottimo segnale di una politica che finalmente (forse) ha deciso di occuparsi sul serio del Sud.
Renzi ed Oliverio alla inaugurazione della galleria di
Mormanno sulla SA-RC (foto da Internet)
Lo attendiamo alla prova dei fatti.
Qui mi voglio soffermare su un’altra informazione che il vulcanico nostro Primo Ministro ha dato: abbiamo a disposizione un altro miliardo di euro per ammodernare la statale 106.
Direi: finalmente!
Ma anche su questa questione gli annunci si sprecano. Ricordo di aver seguito per un po’ di tempo la questione che si era bloccata – se non ricordo male – al fatto che i lavori fossero stati assegnati a una famosa ditta italiana, leader nei grandi lavori stradali, con la fiducia che questa desse inizio alle opere anche senza la certezza matematica della disponibilità di denaro nelle casse dello Stato.
Possiamo vedere tutti come sia andata: fino ad ora non è stata posta ancora la prima pietra, anche perché alcuni noti feudatari dell’Alto Jonio cosentino si sono opposti – e a ragione – al tracciato che andrebbe ancora una volta ad interrompere la continuità territoriale della costa.
Molti non sono d’accordo sul fatto che per raddoppiare il tracciato sia necessario creare un’altra trincea, invece di realizzarlo in galleria.
Forse si tratta di motivi tecnici, secondo altri i motivi sono economici: in entrambi i casi i lavori che dovevano iniziare nel 2011 (poi sospesi sine die dal Governo Monti) ancora oggi sono fermi.
Anche se il tracciato relativo all’alto Jonio cosentino, tutto sommato, non è dei peggiori; le situazioni di pericolo si accentuano dopo Rossano e oltre: infatti, non passa giorno che la cronaca non registri un incidente, molto spesso mortale, a partire da questa località, poiché tutto il traffico, ancora oggi, attraversa i centri abitati.
Ci sforziamo di essere fiduciosi ...
La Statale 106 Jonica all'altezza di Roseto Capo
Spulico (foto da Internet)
Tuttavia, il problema, seppur importante, non è tanto l’ammodernamento del tracciato autostradale, se poi si lascia a se stesso l’intero comparto dei trasporti della Calabria.
Infatti, se è pur vero che la nostra Calabria è collegata con le maggiori città italiane a buon mercato per le linee aeree, se il volo è prenotato con ampio anticipo, è altrettanto vero che raggiungere l’interno della regione con i mezzi pubblici è veramente una impresa ciclopica.
Ad esempio un volo “Milano – Lamezia” prenotato per tempo, arriva a costare solo … diciannove euro e qualche spicciolo, ma diventa poi assai complicato raggiungere con i mezzi pubblici, ad esempio, Castrovillari. Se poi si ricorre ad un taxi si vanifica l’intero risparmio realizzato con il volo in classe economica. Ecco quindi la necessità di guardare il problema da una prospettiva più ampia. Pare che tra, i tanti annunci del presidente Oliverio, ci sia una eco che riguarda un collegamento ferroviario tra l’aeroporto di Lamezia e lo snodo ferroviario omonimo.

Inoltre, un’altra notizia interessante è legata al rilancio dell’aeroporto di Crotone, che anche per noi della Calabria del Nord, sarebbe un grosso vantaggio, se avessimo la possibilità e la certezza di arrivare all’aerostazione in tempi congrui. Cosa che attualmente non è possibile data la situazione in cui si trova il tratto della “106” dopo Rossano. La visita del primo Ministro in Calabria deve essere usata per spronare chi ha le leve delle decisioni a fare presto con le opere che da troppo tempo aspettano di essere adeguate ai tempi: altrimenti continueremo ad assistere all'ulteriore spopolamento e impoverimento del territorio.


domenica 13 marzo 2016

Si al referendum e No alle trivelle

Manifesto NO Triv
 (fonte: Greenpeace)
Non so se raggiungeremo il quorum per questo referendum del diciassette aprile.    
So che la “palla” è in mano ai cittadini per le questioni riguardanti l’estrazione del petrolio.
Infatti, la consultazione elettorale, è stata richiesta, come previsto dalla Costituzione (almeno fino a quando non verrà stravolta, ma questo sarà argomento di un altro post) dai Consigli di nove regioni: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.

In sostanza, si tratta di dire NO alle trivellazioni in mare alla ricerca di petrolio e gas lungo le nostre coste ed entro le 12 miglia marine (circa 22,2 km). Sia perché molte regioni che hanno interessi lungo le coste (di pesca, di turismo) verrebbero seriamente danneggiate, sia perché le trivellazioni su questi fondali sono inutili e dannose in quanto non sono fondali particolarmente ricchi di petrolio e gas metano.

Ecco il quesito sul quale verremo chiamati ad esprimerci: 

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Le aree geografiche interessate dalle piattaforme petrolifere
che hanno chiesto la concessione per estrarre petrolio e gas entro
 le 12 miglia marine (carta da web)



venerdì 11 marzo 2016

ALLA SALVEZZA DEL POLLINO - ASCESA ALL’OLIMPO DEL MEZZOGIORNO

Pubblico questi ricordi di Franco Tassi della sua prima venuta sul Pollino nel lontano 1960.
Riflettendo come in questo tempo passato la nostra montagna è completamente cambiata. Forse sono cambiate tutte le montagne! Regna il silenzio assoluto, interrotto solo dai "rumori" degli abitanti dei boschi...

Questo articolo è stato tratto dalla nuova rivista on line TERRE DI FRONTIERA" (http://www.terredifrontiera.info/marzo-2016/) E VUOLE ESSERE un omaggio ad un grande uomo che è stato artefice di una nuova via al vivere sostenibile ...


di Franco Tassi 

Non ricordo più se a spingermi laggiù fossero le indimenticabili pagine di Norman Douglas,  oppure di qualche altro viaggiatore straniero con  le sue  incantate descrizioni del mondo che fu. Certo, bruciavo dalla curiosità di esplorare il Pollino, la più sconosciuta tra tutte le montagne del Mezzogiorno. Ne avevo sentito parlare da tanto, eppure mi sembrava ancora lontanissimo, quasi irraggiungibile: così mi accontentavo di leggere avidamente quel poco che si poteva racimolare su di esso. Riuscii a trovare, non so come, alcune foto di pino
Franco Tassi
loricato, l’albero più straordinario dell’Appennino. Una specie di gigante decrepito, dalla forma contorta, avvolto nella nebbiolina delle alte quote.
Ma non sto parlando di ieri, tutto avvenne molto tempo fa, nella magica estate del 1960. C’erano poche strade, allora: una volta saltati giù dal trenino delle ferrovie calabro-lucane a Frascineto, si saliva poi a piedi con zaini pesantissimi dal livello infuocato del mar Jonio all’aria refrigerante dei 2.000 metri. Gli immensi boschi pullulavano di mulattieri, bovari, boscaioli e carbonai. Bene, fu come una rivelazione per me, e per i pochi altri che riuscii a trascinare negli angoli più remoti del massiccio. A prezzo di solitudini assolate, marce estenuanti e bivacchi all’addiaccio. La sera si sentivano canti e persino suoni di fisarmonica: di giorno era tutta una festa di scampanellare di animali al pascolo, lasciati allo stato semibrado. E tuttavia il cuore della montagna restava selvaggio, inviolato, misterioso… “Cosa vieni a cercare quaggiù, tu che arrivi dalla città”, brontolava bonariamente la gente del posto “Vedi piuttosto di trovarci un posto di operaio, nelle fabbriche”.
Pino loricato di Serra Crispo
(foto di F. Tassi, per gentile concessione)
E’ passata mezza vita, molte cose sono cambiate. Ma so che l’ascesa al monte sacro ad Apollo (o dedicato ai puledri, o polledri: ma importa davvero scoprire la vera matrice del monte Pollino?) fu in realtà ritornare indietro di mille anni, e ritrovare le origini di tutto.  Comprese le radici di quei colossali, remoti pini loricati, verdi patriarchi flagellati spesso da folgori e tormente, abbarbicati sulle creste più elevate e sospesi alle pareti più inaccessibili. Altri alberi straordinari avrei visto poi, altri prodigi della natura mi avrebbero ammaliato: ma nessuno quanto la gigantesca conifera venuta dall’Oriente, dal tronco talvolta bianco e disseccato, ma ancora in piedi a sfidare i venti, guerriero dalla corteccia arabescata simile a una corazza.  Solo molto più tardi, sulle balze del monte Olimpo in Tessaglia, trono di Giove e casa degli Dei, avrei rivisto qualcosa di simile, un altro esercito di pini loricati, antichi e colossali. E avrei meditato a lungo, in silenzio, a quasi 3.000 metri di quota, contemplando l’azzurro del mare greco. Di quello stesso Mediterraneo culla della nostra civiltà, lontana patria dove nacquero divinità e miti, odissee e leggende, arte e poesia, scienza e filosofia: tutta la cultura, insomma, di cui  impregnata la nostra stessa vita.
“E allora dicci un po’, tu che hai viaggiato” mi apostrofavano con aria tra lo scanzonato e il provocatorio i montanari calabresi e  lucani, “ma cos’ha poi di tanto speciale questa montagna?”. Ci sono altre montagne, è vero. Altri alberi e pascoli. E forse in certi angoli sperduti del Mezzogiorno si celano altre meraviglie sconosciute. Ma nessun luogo ha per me la storia, il valore culturale e il richiamo emotivo del Pollino, né custodisce segrete risorse altrettanto preziose. E la sua stessa vicenda, sempre in bilico tra salvezza e dannazione, ne ha fatto un caso unico. Quasi un simbolo del profondissimo rapporto tra l’uomo e la natura.


NELLA FORESTA MAGICA

Più che una visita, il mio fu quasi un pellegrinaggio di scoperta: di quella realtà poco si sapeva. Ascendendo alle cime dominate dai plurisecolari pini loricati, m’ero reso conto che si trattava di qualcosa di unico al mondo, d’un monumento della storia e della natura che non doveva assolutamente dissolversi . Ecco perché, in segreto, decisi di adottarli. E con pochi altri amici, finii con l’intraprendere una lunga battaglia che, in fondo, non è ancora del tutto conclusa.
Era assai arduo, all’epoca, evocare l’ecologia. Le parole d’ordine erano: bisogno, sfruttamento, progresso. Si suscitava, tuttalpiù, qualche risolino di compatimento. Nessuno sembrava accorgersi che, nel nome dello sviluppo, si stavano bruciando, in un effimero falò, proprio le più preziose risorse che avrebbero potuto stimolarlo e nutrirlo.
Anni di lotte, ansie e peregrinazioni. Ma poi quel lungo sogno impossibile parve avverarsi: quel Parco tanto desiderato, e con esso anche gli altri, dalla Sila all’Aspromonte, stavano finalmente trasformandosi in realtà. Sono tornato allora con il fiato sospeso nei boschi di una volta, trovando molte cose profondamente cambiate. La natura riprendeva pian piano il proprio dominio, illuminata dalla curiosità e dall’interesse di italiani e stranieri, giovani e anziani, che percorrevano con gioia gli antichi sentieri. Gente vera, sulla montagna, non ce n’era quasi più: ma forse le comunità legate a questa terra (d’origine italica o bruzia, arberesh o grecanica) stavano cercando altrove un nuovo avvenire per sé e per i propri figli.
S’era discusso a lungo sul futuro di questo splendido albero, la cui solenne maestosità rappresenta uno degli emblemi più intensi del nostro Mezzogiorno. Si temeva che i colossi solitari delle vette non fossero più in grado di produrre seme fertile, mancavano piante giovani, né si percepiva una capacità di rinnovazione: tanto da indurre qualche esperto a lanciare un drammatico allarme per il pericolo di futura estinzione. Ma poi la situazione prese a migliorare, si scoprirono e si studiarono altri nuclei di pini rigogliosi, più in basso, tra i boschi. Ci eravamo accorti che qualche giovane pino, nato dal seme dei patriarchi secolari, vegetava benissimo al centro dei pulvini prostrati di ginepro, là dove il morso del bestiame
Pino loricato in fiamme nell’incendio doloso,
 a Serra delle Ciavole, il 5 agosto 1993  
(Foto Giorgio Braschi – Archivio Centro Parchi).

al pascolo non poteva insidiarlo. E allora capimmo che il vero fattore pesantemente limitante risiedeva nel pascolo eccessivo, che andò gradualmente diminuendo negli anni successivi… Anzi, cessata la pressione zootecnica anomala, il pino loricato è tornato a vegetare rigoglioso,  espandendosi addirittura verso nuove località. Tutto questo non rallentò, anzi galvanizzò il nostro impegno.

E così, dopo alterne vicissitudini, potemmo faticosamente organizzare spedizioni esplorative e ricerche dendrocronologiche per carpire i segreti di quella natura straordinaria. Trovammo moltissimi alberi vetusti, monumenti imponenti testimoni di epoche lontane. In occasione del centenario della Società Botanica Italiana, nel 1988, ebbi la grande soddisfazione di rivelare agli studiosi italiani e stranieri che un pino loricato del versante calabro del Pollino, alla quota di circa 1.000 metri, aveva certamente almeno 920 anni! Era il più vecchio albero del Mezzogiorno, un gigante millenario che da solo avrebbe aumentato il prestigio e il valore di quelle montagne. Non fu soltanto per questo, ma l’interesse per il Pollino, la curiosità anche internazionale e il fervore per la sua conservazione stavano crescendo di giorno in giorno. I progetti di assalti distruttivi e speculativi si sgretolarono allora uno dopo l’altro, mentre un pugno di naturalisti decisi si batteva con tutte le forze per assicurare a quei luoghi e a quelle genti un destino diverso. Molti giovani locali incominciarono allora ad accarezzare l’idea di riscattare l’immagine della loro terra agli occhi del mondo, dedicandosi convinti alla causa della conservazione.  E finalmente, dopo anni di attesa, tra speranze e sofferenze, nell’anno 1993 il Parco Nazionale del Pollino e dei Monti di Orsomarso diventava realtà. Si concludeva la fase eroica, per aprire la strada a una nuova vita.

venerdì 4 marzo 2016

Piano per la conservazione e gestione del lupo in Italia. La posizione del WWF Italia

Il Ministero dell’Ambiente, con la consulenza dell’UZI e dell’ISPRA, ha predisposto un nuovo “Piano per la conservazione e gestione del lupo in Italia” discusso in sede tecnica mercoledì 17 febbraio e sarà approvato in sede politica nella Conferenza – Stato Regioni entro il mese di marzo.

La proposta del ministero prevede al punto III.7 la possibilità di applicazione delle deroghe al divieto di abbattimento del lupo nel nostro paese, consentendo un prelievo selettivo di un massimo del 5% della popolazione minima stimata a livello nazionale (circa 60 lupi/anno).          
Questo provvedimento è stato subito contestato dal WWF Italia nei mesi scorsi, sia in occasione della consultazione delle parti economiche e sociali della Strategia Nazionale Biodiversità il 5 novembre 2015, sia con una lettera indirizzata al Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti.
Posizione del WWF e Campagna Lupo. Il WWF Italia per contrastare l’approvazione del “Piano per la conservazione e gestione del lupo in Italia” nella versione del 22 dicembre 2015 trasmessa alle Regioni, ha avviato una “Campagna per la tutela del Lupo” che proseguirà fino ad approvazione definitiva del documento in Conferenza Stato – Regioni ed oltre, comunque per tutto il mese di marzo 2016.
“La Campagna – fanno sapere dal WWF – richiede il sostegno e la mobilitazione di tutta la nostra Associazione a livello territoriale un importante supporto sarebbe la firma della petizione di seguito linkata”:

giovedì 3 marzo 2016

Pensiero del giorno, forse del mese, forse ...

Stazioni senza treni, treni senza stazioni; paesi senza gente, gente senza paese...strade provinciali che fanno rimpiangere le  mulattiere, strade statali ridotte a cimitero; opere incompiute e macerie, abbandono e desertificazione, devastazioni e frane; isolamento e solitudine. 
Intanto il governo nazionale e quello locale fanno a gara per ricordarci le "magnifiche sorti progressive" che ci aspettano: inaugurazione di nuove strade e grandi opere, con un mai sopito pensierino al Ponte. 
Speriamo che la colpa di questi disastri (che per alcuni è una fortuna) non venga data ai giornalisti che ce li ricordano o a quegli impenitenti disfattisti e pessimisti che non sanno convincersi di vivere nel migliore dei mondi possibile e che, magari, continuano a illudersi che il peggio possa finire e sperano di essere smentiti dai professionisti del "fare" (che ancora sono bravi solo nelle chiacchiere e nelle lamentele).

Vito Teti
antropologo

http://www.vitoteti.it/p/biografia.html