Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

lunedì 31 ottobre 2016

Ben tornate vecchie, care e utili carte geografiche!

A proposito di mappe cartacee
Carta geografia della calabria
(da internet)
Un recente studio pubblicato da alcuni esperti americani informa su come, dopo oltre dieci anni, ci sia un ritorno alle mappe cartacee. 
Infatti, le mappe vettoriali (quelle, per intenderci, che sono alla base di qualsiasi navigatore) spesso non soddisfano le esigenze dei cultori più curiosi.
Se da un lato indicano con precisione i luoghi, al contempo difettano di particolari se non sono strettamente legate (si riferisce alle mappe vettoriali…) a quelli per la navigazione in corso.
Quindi, ad esempio, se viaggiando sulla Salerno-Reggio Calabria si volessero conoscere i nomi dei monti circostanti, questo non è possibile.  
Infatti, la quantità di dati, a corredo delle mappe digitali, è strettamente connessa alla viabilità e, per non appesantirne il database, essa è ridotta agli elementi essenziali dal punto di vista delle informazioni geografiche, mentre abbonda di POI (Point of interest - Punti di Interesse) quali: distributori di carburante, ristoranti, pizzerie, supermercati, bar, alberghi e quant’altro possa servire all’automobilista in transito per quella località.
Invece, la solita, vecchia e cara mappa cartacea, se non è prettamente turistica, sicuramente contiene i nomi dell’orografia circostante e, in base alla scala, può riportare un maggiore o un minore numero di dettagli relativi al territorio che si sta attraversando.

Una schermata classica di un GPS Garmin (foto da Internet) 
Torniamo ai vecchi atlanti stradali? Sembrano maturati i tempi per rielaborarli, magari in abbinamento al navigatore per informazioni sulla logistica dei luoghi (i POI di cui sopra) in modo da avere informazioni immediate, di risposta al classico quesito: “che montagna è quella?” Oppure come si chiama il paesino che si vede su quella collina o il nome del santuario che spicca sopra la cima di un monte… e l’unirvi anche il nome di un buon ristorante tipico per fermarsi e gustare un buon piatto locale…
Consultazione di una carta escursionistica del Pollino a Piano Ruggio.
Fermo immagine tratto da una trasmissione RAI del TG1

Ben tornate vecchie, care e utili carte geografiche! 

giovedì 27 ottobre 2016

I finlandesi del MAGMA visitano le comunità arbereshe

Un gruppo di finlandesi del MAGMA, una sorta di centro di ricerche nazionali, ha visitato le comunità arbereshe della Calabria.
Il programma di visita è stato preparato dal CONFEMILI (Comitato Nazionale delle Minoranze Linguistiche) di Roma in collaborazione con i referenti locali.

Il Gruppo di studio era formato da:
Nils-Erik Forsgård, segretario generale di Magma, docente presso l’università di Helsinki  e scrittore famoso;
Olav S Melin, responsabile stampa di Magma ed ex-capo redattore di due importanti giornali in Finlandia e di uno in Svezia, è anche stato segretario generale di Folktinget, l'Assemblea della comunità svedese in Finlandia, prima di Christian Brandt;
Lia Markelin, responsabile di ricerca di Magma, professoressa di giornalismo nelle lingue minoritarie all'Università di Kautokeino in Norvegia;
Kaisa Kepsu, responsabile di progetti di Magma, ex-giocatrice della squadra nazionale di pallacanestro di Finlandia e professionista della serie A di pallacanestro in Spagna. È anche stata responsabile degli affari esteri di Hanasaari;
Markus Österlund, segretario generale di Folktinget, l'organizzazione che rappresenta la minoranza svedese della Finlandia.  Ex-consigliere di vari ministri finlandesi;
Johan Häggman, è stato responsabile degli studi e degli eventi di multilinguismo della Commissione europea. Membro di gabinetto del commissario di multilinguismo, l’economista romeno Leonard Orban, ex-consigliere del gruppo liberale del Parlamento europeo;
Johan Aaltonen, capo redattore di YLE, la RAI finlandese, Finnish Broadcasting Corporation;
Heidi Hakala, Capo redattrice della STP : agenzia di stampa dei giornali svedesi editi in Finlandia.

Il Gruppo di Masma fotografato al Belvedere "N. Douglas"
sulle Gole del Raganello a Civita. (Ph. di E. Pisarra) 
Il primo incontro è stato fissato a Civita dove, ospiti dell’Amministrazione comunale guidata da Alessandro Tocci, per l’occasione sono stati invitati tutti i sindaci dei comuni arberesh e tutte le associazioni culturali che si occupano di problematiche riguardanti le nostre comunità.
L’evento a cui ha partecipato anche il presidente del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra, è stato un vero spettacolo folklorico e folkloristico.

Sono fuori da questo mondo da oltre otto anni e ho perso il polso della situazione, ma, improvvisamente, mi sono ritrovato con gli stessi compagni di cordata di un tempo: sì, solo un pochino più invecchiati, ma sempre gli stessi. 
Intervento del prof. Morelli del Confemili all'incontro di Civita con
amministratori arberesh e associazioni culturali. (Ph. di E. Pisarra)
Così mi sono ritrovato con Agostino Giordano, un po’ più canuto, ma sempre in forma, con il suo brio di sempre che si ostinava a parlare in arberesh provocando grosse difficoltà per la traduzione in finlandese; e con Damiano Guagliardi, già assessore al Turismo della Regione Calabria, padre della Legge Regionale sulle minoranze, attuale ideatore della Federazione delle Associazioni culturali che si occupano della comunità. Damiano ha ripercorso la genesi della Legge Regionale e si è lamentato del modo in cui la Regione Calabria abbia speso i fondi previsti in bilancio in opere pubbliche. Poi sono seguiti gli interventi politici dei vari sindaci. Tra i tanti si è notato il pessimismo del sindaco di Acquaformosa il quale ha affermato che ormai sono in pochi a parlare in lingua e questo a causa, soprattutto, della grande emigrazione dei giovani, cosa che rappresenta il vero problema del Meridione e delle comunità piccole e di montagna.
In giro tra i vicoli di Civita.
I finlandesi hanno fatto fatica a stare dietro a tanta animosità: loro non sono abituati a discutere a voce alta e con toni accesi. Chiedono. Si informano. Vogliono capire, al netto della discussione politica, cosa di concreto si stia facendo per bloccare questa fuga di giovani dai paesi e quali sono le iniziative per conservare la lingua nelle comunità.
È apparso chiaro come ci siano due correnti di pensiero: quella dei comuni, pressati da incessanti richieste da parte della popolazione (lavoro, servizi primari e beni di prima necessità), che cercano di sfruttare anche questa legge per ottenere fondi e risorse per sistemare strade, acquistare edifici che poi, una volta ristrutturati, rimangono chiusi, in quanto mancano altre risorse (oltre alle idee) per come utilizzarli;
Il presidente Pappaterra conclude l'incontro di Civita
(Ph. di E. Pisarra)
la seconda linea è dettata dalle associazioni culturali di vario titolo che arrancano, fanno progetti per la tal ricorrenza alla quale non in molti partecipano, per ristrutturare musei, spesso vuoti di visitatori, sostenere i vari periodici, che in pochi leggono e seguono. Sembra che queste associazioni vivano in un mondo a sé stante, incuranti del fluire del tempo e di come le comunità si spopolino sempre di più.
Si tratta di due realtà che non potranno mai coabitare perché hanno obiettivi e scopi diversi.
Una soluzione potrebbe essere quella di fare in modo che ognuno dei due vada per conto proprio, ma i progetti delle associazioni devono essere presentati alle Amministrazioni comunali per essere poi inoltrati alle Amministrazioni regionali per poter essere finanziati.

Ecco, a distanza di otto anni nulla è cambiato.
Alle insistenti domande dei finlandesi su cosa si stia facendo per conservare usi costumi e lingua sono state date infinite risposte, nessuna però, in concreto, ha convinto gli ospiti della bontà dell’idea al fine di realizzare tale salvaguardia.
Il presidente del Confemili, Domenico Morelli, autore, fautore e deus ex machina della Legge quadro 482, ha più volte ribadito come la mancata attuazione delle norme in essa contenute sia stata la causa del mancato raggiungimento degli obiettivi fissati evidenziando anche come le risorse, messe a disposizione dal Governo per tutte le minoranze italiane, sono risibili.

mercoledì 26 ottobre 2016

Ventitré anni fa qualcuno incendiò "Zi Peppe"

Sono passati ventitré anni da quel fatidico 20 ottobre 1993, giorno dell’attentato incendiario al Pino loricato “Zi Peppe”, il simbolo del nostro parco.
Emanuele Pisarra e personale del CFS davanti a "Zi Peppe"
ancora fumante. (Foto di Salvatore Esposito, tratte dal suo sito)

Me lo ha fatto ricordare Francesco Sallorenzo inviandomi alcune foto trovate in internet su un sito di un signore di Acri.

A parte il fatto di riconoscermi in alcune immagini, con qualche chilo in meno, molti capelli in più e una folta barba nera, mi vengono in mente tutti i cattivi pensieri che in quel momento ho fatto, davanti al povero “Zi Peppe” piegato su se stesso, ancora fumante, con gli agenti del CFS alla ricerca di elementi probanti per capire chi potesse essere stato, cercando di capire quali motivazioni fossero alla base di un così vile gesto.

Ricordo che guidavo una escursione con scolari della scuola media di San Giorgio Albanese, allora diretta dall’ottimo e intraprendente preside Carmelo Tucci, quando, giunti all’inizio del Piano di Pollino, provavo a cercare, leggendo la carta topografica, la posizione geografica della chioma di “Zio Peppe” che da quel punto si intravedeva appena.
Ecco come si presentava ai nostri occhi il pino loricato simbolo
del Pollino ( (Foto di Salvatore Esposito, tratte dal suo sito)
Invece in quella mattina di fine ottobre la chioma non si vedeva per niente.

Guardando poi con il binocolo si vedeva un leggero pinnacolo di fumo che si alzava verso l’alto dal punto in cui doveva esserci l’albero simbolo del Pollino.

Invitai i ragazzi a correre insieme con me verso il pino loricato perché sentivo che era successo qualcosa.

Infatti, appena arrivati vedemmo con sgomento che il povero “Zi Peppe” era piegato su se stesso e il leggero filo di fumo partiva dal suo interno, avvolgendosi in leggere spirali che salivano ordinate verso l’alto.
Nella foto di Salvatore Esposito si riconosce (di spalle) il preside
Carmelo Tucci della Scuola Media di San Giorgio Albanese.
Sul posto c’erano già gli uomini del Corpo Forestale di Rotonda con il maresciallo Madormo e altri funzionari intendi a fare i rilievi scientifici del caso.

Queste foto mi hanno fatto venire in mente la rabbia del momento, la mia intervista a caldo al cineoperatore della scuola e la dura lezione che impartii a qui poveri scolari che avevano faticato a salire fino a lì pensando di essere al cospetto di uno splendido esemplare di albero gigantesco e maestoso e invece si ritrovarono davanti un pezzo di legno che finiva di ardere.

Dalle prime considerazioni si capì subito che non era stato un fulmine, che pure a quelle quote e a fine stagione calda, sono la norma: bensì un fiasco di benzina che qualcuno sparse con sapienza dall’alto verso il basso all’interno del tronco cavo, per poi appiccicare il fuoco, creando una sorta di effetto “camino” che ha bruciato in pochi minuti la pianta.

Ecco come si è presentato "Zi Peppe" alla
scolaresca di San Giorgio Albanese
Non si seppe mai chi è stato materialmente ad innescare la miccia. Le ipotesi furono tante ma di concreto non si conobbe mai il colpevole.
Ma questo non ha importanza perché spetta alle autorità inquirenti trovare il responsabile e le motivazioni di un simile vile gesto. In compenso percepii che eravamo solo all’inizio di una lunga battaglia di posizione tra fronti opposti all’istituzione del Parco nazionale del Pollino.
Altri pini loricati maestosi furono le vittime sacrificali conseguenti alla nascita del Parco del Pollino. Ricordo un altro splendido esemplare gigantesco a Serra di Crispo, così come altre bellissime piante di Timpa Castello: tutte incendiate con la medesima tecnica.

Ovviamente anche in questi altri casi non furono mai individuati gli autori.
La notizia dell'attentato incendio apparve perfino su Repubblica

La notizia suscitò grande sgomento. Ne parlarono perfino i giornali nazionali (grazie a Francesco per l’articolo di Repubblica) e i tg del tempo.

Da questo vile gesto capii che la partita era appena incominciata e si preannunciava molto dura.
E ancora non è finita!









PS

Un grazie particolare a Salvatore Esposito che ha messo sul suo sito le foto di quel giorno. A Francesco Sallorenzo per avermi fatto ricordare quel triste giorno della mia vita


giovedì 20 ottobre 2016

Il Rifugio “Alcide De Gasperi” ha riaperto i battenti*

Finalmente!
Il Rifugio più antico del Pollino, dopo anni impegnati in ristrutturazioni e adeguamenti alle varie normative è pronto ad accogliere i numerosi visitatori che raggiungono Piano Ruggio.
Nuova ristrutturazione, ambienti accoglienti, cordialità degli operatori, piatti ricchi e abbondanti, ottima cucina e birra fresca.
Tuttavia, il rifugio De Gasperi, come il suo gemello, il “Fasanelli”, ha perso le peculiarità del … rifugio.
Siamo passati dalla gestione umorale di Carmelo che, tra la preparazione di un ottimo panino al prosciutto locale una birra e un caffè, si preoccupava di dar da mangiare alla “sua” vipera custodita in un rettilario, a una gestione altamente professionale, con personale in divisa, operatori culturali e ambientali che organizzano gite ed escursioni sui monti circostanti e anche oltre.
Il rifugio De Gasperi (foto da internet)
I lavori di costruzione del “De Gasperi”, destinato al ricovero di uomini e bestie in alta montagna, iniziarono nel 1956, in seguito alla legge che porta il nome del nostro primo ministro del tempo, e fu inaugurato nell’estate del 1958. 
Si trattava dell’applicazione della “Legge sulla Montagna” pensata e realizzata da Amintore Fanfani. La Basilicata sfruttò molto questa norma realizzando la costruzione di un rifugio in quasi ogni comune montano della Regione.
Sul Pollino abbiamo quello di Piano Ruggio, Piano Visitone e tanti altri
Nel corso del tempo queste strutture anno avuto alterne vicende. Il De Gasperi rimase chiuso a lungo, poi fu utilizzato come stalla e, in ultimo, era riuscito a diventare un vero e proprio punto di accoglienza per escursionisti, sciatori e appassionati di montagna.
Pensato come rifugio, un po’ sullo stile dei rifugi alpini, aveva questa ampia vetrata che dava verso Sud-Est e che, con le ultime luci del giorno, incorniciava il Timpone Capanna e l’imponente versante occidentale di Serra del Prete.
Oltre al bar di prima accoglienza al piano terra, aveva, al piano superiore, una grande sala con il caminetto al centro che riscaldava l’ambiente favorendo il dialogo e lo scambio di esperienze tra gli avventori, tutte persone appassionate di montagna e spesso anche di scacchi: come dimenticare le belle sfide che ho seguito e alle quali a volte ho partecipato?
Questa struttura è stata anche un rifugio che ha formato una nuova classe di operatori turistici e di piccoli albergatori, grazie ai tanti convegni ospitati sulle varie tematiche legate al parco e al futuro dell’area protetta.
Questo era il De Gasperi prima della ultima ristrutturazione. 
Oggi il De Gasperi è un ristorante a tutti gli effetti. Sì, certo carino, ben gestito, accogliente…, ma ha perso tutte le caratteristiche del rifugio! Dove c’era il barretto al piano terra ora in quello spazio, che risulta striminzito, ci sono un bar e la reception; nella superficie rimanente un divano e quattro poltrone: un po’ misero per adempiere al concetto di rifugio, dove la funzione più importante è quella di accogliere persone perché possano ripararsi dalle intemperie.
Al piano superiore non c’è più il caminetto. Al suo posto vi sono altre camere.
Il piano terra è tutto occupato dalla grande sala ristorante dove l’escursionista bagnato non può accedere se non ha prenotato.
Questa estate, durante uno dei temporali estivi che hanno imperversato sui nostri monti, un gruppo di escursionisti si è sentito negare l’ingresso alla sala ristorante perché non erano lì per mangiare.
La nuova proprietà concessionaria non ha alcun interesse nel fare accoglienza come è nello spirito dei rifugi di montagna di tutto il mondo.
D’altronde i nuovi gestori sono parte integrante di una Società per Azioni e quindi, alla fine dell’anno, devono dare conto agli azionisti dell’andamento degli incassi, e non del numero di escursionisti o alpinisti che sono stati accolti.
Se i proprietari della struttura hanno acconsentito a questo tipo di trasformazione del più antico rifugio del Pollino, dovrebbero avere anche la correttezza di cambiare il suo nome: invece di rifugio De Gasperi albergo-ristorante De Gasperi.

E, comunque, ...chissà se il grande Statista italiano sarebbe contento di tutto questo!  



Questo articolo esce in contemporanea su questo blog e sul periodico PASSAMONTAGNA della sezione CAI di Castrovillari 

mercoledì 19 ottobre 2016

Un parco per abitare*

Stiamo vivendo anni determinanti per il futuro delle nostre montagne: solo un turismo e uno sviluppo che abbiano un occhio di riguardo nei confronti del territorio e della biodiversità avranno un futuro. Possono i parchi, con la loro sintesi tra uomo e habitat, diventare un laboratorio per salvaguardare il loro futuro?

Escursionisti in cammino verso la cima di Serra delle Ciavole
(Photo di E. Pisarra)
Agli inizi degli anni Ottanta uno slogan lungimirante promuoveva la politica dei parchi: “vogliamo un parco per abitarci”.
Furono anni di grande impegno di sensibilizzazione a tutti i livelli: a partire dal rispetto per la natura e della coscienza ecologica; tempi segnati dalla nascita delle associazione ambientaliste: dalla rivista Airone che vendeva centinaia di migliaia di copie; mentre molte regioni si andavano dotando di norme di salvaguardia per le proprie aree protette regionali.
Lo spirito delle norme nazionali fu chiaro: pianificazione territoriale a livello nazionale e regionale con la gestione affidata a enti che avessero al loro interno una rappresentanza locale.
I parchi nacquero proprio in un momento importante per salvaguardare un patrimonio naturale sopravvissuto agli effetti più catastrofici della industrializzazione e della rivoluzione tecnologica. 

mercoledì 5 ottobre 2016

Non è vero che non c’è più nulla da scoprire: il Sentiero dell'Annanza

Da tempo non percorrevo un sentiero nuovo. È capitato domenica scorsa a Cerchiara di Calabria, dove è stato inaugurato un antico sentiero che collegava il centro abitato con i poderi terrazzati alle pendici del Monte Sellaro.
Cerchiara di Calabria. Tracciato del sentiero dell'Annanza. 
La mulattiera è conosciuta come il sentiero dell’Annanza che, nel dialetto locale, significa dell’ ”affaccio”. Basta percorrerlo e si coglie subito la pregnanza del nome: infatti, una volta superati i bastioni rocciosi del Caldanello, si giunge al Piano di Pedarredo e già qui la vista sullo spazio si amplia, comincia a intravedersi tutto il Golfo di Sibari, la pianura omonima e, soprattutto, i terreni terrazzati, che sono una vera e autentica ricchezza per la qualità e la resa del suolo.
Il lavoro di recupero, segnaletica e manutenzione di questo nuovo sentiero è stato curato dalla sottosezione di Cerchiara di Calabria del Club Alpino Italiano.
Il sentiero ha il numero 946A del Catasto del CAI perché si trova nel Gruppo montuoso del Monte Sellaro e si sviluppa in parallelo al percorso “ufficiale” che conduce al Santuario di Madonna delle Armi, contrassegnato come 946.
Questo percorso, che secondo alcuni storici locali, era utilizzato anche dai pellegrini della “Piana” che si recavano in pellegrinaggio a Madonna delle Armi, si aggiunge alle altre sette tracce che rendono Cerchiara e il Monte Sellaro il territorio del Parco dotato di una prima rete sentieristica ben segnalata e percorribile quasi tutto l’anno.
Cerchiara di Calabria (Photo E. Pisarra)
Domenica non è stata una delle giornate più adatte per camminare: umida, afosa, con un cielo grigiolino; se a questo si aggiunge che il cammino era in controluce, si capisce che per noi appassionati di fotografia, la giornata e l’ora non si siano rivelate come ottimali.
Mi sono ripromesso di rifare il percorso scegliendo anche un’altra ora del giorno.
Domenica, è stata una giornata speciale perché si inaugurava il nuovo sentiero: un evento che dovrebbe caratterizzare un’area protetta e diventare una consuetudine e che, invece, rimane una cosa episodica.
Arrivo tardi alla cerimonia e già il comitato di benvenuto aveva dato la parola al direttore del Parco, che sottolinea l’importanza della circostanza e la necessità che queste giornate siano più frequenti.
Gli organizzatori gongolano nell’informarmi del gran numero di presenti, oltre cento, convenuti per percorrere il sentiero.
In più noto subito come, per la maggioranza degli astanti, si tratta di ragazzi e giovani che affrontano per la prima volta non solo questo sentiero, ma proprio la montagna: lo si vede dall’abbigliamento non proprio da provetti montanari, caratterizzato da scarpe da tennis e zainetti scolastici o di quelli dati in omaggio con le raccolte dei punti dai supermercati o dai distributori di carburanti.
Ne sorrido tra me e me… in effetti è tanto l’entusiasmo che l’abbigliamento passa in secondo piano.
Il Direttore del Parco Milione, Paolo Franzese e Carla Primavera
illustrano il percorso dell'Annanza (photo di E. Pisarra)
Un fiume umano colorato arranca a mezzacosta lungo la pietraia di Serra dei Bovi, percorrendo la mulattiera di antico retaggio, sale scalini scolpiti nella roccia, attraversa prati incolti, invasi da rosa canina, ginestre, cardi e rovi.
Nel primo tratto la traccia aggira quasi a picco un ansa del torrente Caldanello, poco sotto i ruderi dell’antico castello normanno di Cerchiara. Spiccano in controluce i resti di un maniero che è stato per lungo tempo punto di riferimento dell’intera comunità; e che ora fa da quinta alle case colorate del centro abitato, quasi a dire come quell’epoca sia passata.