Dissesto
idrogeologico, incuria, disaffezione, abbandono. Forse un po’ di tutto ciò.
Ieri
è stata una bella giornata, nel senso fotografico, e quindi ho imbracciato le
mie fotocamere e sono andato a fare un giro fino al Ponte del diavolo.
Il Ponte del Diavolo. (Photo di E. Pisarra) |
Sono andato giù fino al ponte con il fuoristrada con l’intenzione di proseguire dopo le
foto al ponte, lungo la stradina di servizio che si snoda sulla destra del
Raganello, fino al viadotto sulla statale.
Scendendo
con la macchina si ha una percezione del luogo diversa rispetto a quando si cammina
a piedi alla velocità di due chilometri e mezzo all’ora: imboccando la
stradina cementata, in forte discesa, appena rifatta, con i guardrail di legno,
che si sviluppa come un grosso serpentone e avvolge i fianchi della collina: la parete della Timpa del Demonio, riverberata dai colori, con tanti giochi di luci e
ombre, man mano che si scende, appare aumentare di dimensione, tanto
da farti mancare l’aria, hai l’impressione di entrare in un posto fiabesco. Indubbiamente, lo è.
Ho lasciato la macchina nel parcheggio, ho percorso pochi passi e il
paesaggio ha cominciato a mostrarmi i primi segni di … inciviltà: un vecchio tabellone
con pretesa di dare informazioni turistiche, una ingombrante macchia di olio,
segno di sosta frequente di un grosso motore danno la sensazione che il posto sia
meno fiabesco di quanto si percepisca di primo acchito.
Attraversato il primo ponticello sono in vista del Ponte del Diavolo.
Magnifico! Il "mio" ponte è ben inserito nel contesto del paesaggio. Ricordo bene le dispute sulla metodologia di ricostruzione del manufatto, ma ora fa la sua figura. La luce del primo mattino lo dà in ombra, la gola è
quasi buia; la mulattiera prosegue e io mi incammino su questo capolavoro di
viabilità antica. Mi viene in mente la voce di Salvatore Rago, quando e con
orgoglio, ricordava i lavori di allargamento di questo tratto con fatica perché
fu necessario rompere la roccia a colpi di martello, aceto e cunei di legno.
Canyon del Raganello. Il Ponte del Diavolo (Photo di E. Pisarra) |
Rifaccio
il percorso fino al punto di culmine prima della discesa lo sguardo cade
sul versante opposto dove appare il grande canale di raccolta dell’acqua
piovana, che ha sostituito il famoso e brutto “Tubo di Fazio”: opera ben fatta ma
completamente privo di una goccia d’acqua.
Il Canale dell'acqua piovana (Photo di E. Pisarra) |
Ma
come è possibile? Siamo in pieno periodo primaverile, anche se l’inverno
passato non è stato dei migliori in termini di quantità di pioggia caduta, non
mi spiego come sia così in … secca.
Mi
riprometto di andare a vedere da vicino cosa sia accaduto. Ma già da questa
postazione si vede come l’acqua piovana ci sia stata eccome: solamente che ha
fatto un percorso parallelo. Ho la quasi certezza che fin dal primo momento la pioggia non vi si sia incanalata un goccio d’acqua e la spiegazione è molto semplice:
l’imbocco del canale è troppo piccolo e quindi soggetto ad intasarsi facilmente con la
conseguenza che l’acqua si è cercata e creata un nuovo percorso vanificando così gli sforzi (e i
denari spesi) di regimentare le acque meteoriche per ridurre al minimo i danni e il
dissesto del territorio.
Proseguo
in direzione della Sorgente di Casalicchio.
Un tratto della mulattiera di Casalicchio con la staccionata divelta (Photo di E. Pisarra) |
Insisto.
Voglio arrivare alla Sorgente. Ci sono numerosi biacchi che “passeggiano indolenti” o,
avvolti a ciambella, prendono il sole, e la traccia è sempre più difficile da
trovare.
Sono
molto rattristato: d’altronde la natura fa il suo corso. L’uomo in questo momento
storico si è inurbanizzato e quindi non è interessato a ciò che succede nel
proprio territorio; forse anche per scacciare antichi e brutti ricordi, lascia che
tutto il lavoro di secoli vada in malora.
Eppure
basterebbe poco per mantenere in funzione queste antiche arterie di collegamento e
dare un senso a chi scende al Ponte del Diavolo e dare una motivazione in più
per diminuire quel “mordi e fuggi” che prima o poi ucciderà il turismo anche a
Civita.
Tratto della mulattiera invaso da sassi caduti dalla parete. (Photo di E. Pisarra) |
Cosa
comporta pulire dai sassi caduti l’antica mulattiera e rimettere
in sesto i muretti in pietra a secco, capolavoro di una civiltà contadina che
in molti decantano in vari musei ma poi al momento di difenderla con atti
concreti non lo fanno?
E rendere la sorgente e la sua area circostante una meta facile da raggiungere?
È cosa questa di così difficile pensiero?
E rendere la sorgente e la sua area circostante una meta facile da raggiungere?
È cosa questa di così difficile pensiero?
Per
la verità già l’Amministrazione comunale a guida Cerchiara ebbe l’idea di
ripristinare questo antico percorso, tant’è che affidò la redazione del
progetto all’architetto Gallo di Cosenza, ma poi per una serie di vicende
burocratiche con l’assessorato competente della regione Calabria, tutto andò a
farsi benedire.
Con
l’istituzione dell’Ente parco si pensò che la musica sarebbe cambiata e che questo sentiero
sarebbe stato ripreso all’interno della rete Sentieristica: ma tutto rimase sulla
carta!
O meglio, grazie al turismo escursionistico tedesco per tutti gli anni novanta si mantenne. Con
la buona volontà delle Guide locali, si fece anche una “mini” segnaletica non
invasiva tant’è che il percorso ancora oggi appare in molte guide
tedesche. Si era attivata anche una
deviazione che consentisse la sosta presso una masseria prima della salita in
vetta alla Timpa del Demonio con assaggio di prodotti tipici a base di
formaggio e ricotta appena fatta che mandavano davvero in visibilio i teutoni.
Senza
manutenzione tutto finisce. E ci vuole molto poco.
Si continua a fare un sentiero, lontano dal centro abitato, isolato, senza
segnaletica, con una serie di staccionate invasive ed estranee al paesaggio,
senza promozione, senza una cartografia, con un'unica certezza: non verrà
percorso mai da nessuno.
Non
si pensa globalmente – per dirla con Legambiente – agendo localmente.
Eppure
questo settore di manutenzione del territorio potrebbe essere la vera “Merica”
per i popoli di montagna e soprattutto del nostro Pollino.
Il
Pollino ha tantissimo bisogno di manutenzione, per contenere il
dissesto idrogeologico, di sentieristica, di rifugi: questa è e sarà la vera scommessa
del futuro.
Non
occorrono mega “attrattori“ turistici da milioni di euro, dati per lo più
a multinazionali; bastano tanti piccoli interventi capillari in tutto
il territorio a partire dai circondari dei piccoli paesi, affinché questi
diventino “punto di partenza”, soggetti protagonisti in casa propria,
altrimenti sono condannati allo
spopolamento e al definitivo abbandono.
Tratto della mulattiera con il muretto di protezione divelto dalla caduta massi. (Photo di E. Pisarra) |
Un tempo c’era sul Raganello un ponticello di legno, realizzato in seguito al crollo del
Ponte del Diavolo, che permetteva di rientrare dall’altra sponda:
oggi questo passaggio è stato rimosso e quindi bisogna fare “avanti e indietro”
dalla stessa strada: cosa odiosa per un escursionista.
Quando
ritorno sul Ponte del diavolo, il sole è già alto e la gola è illuminata in
pieno. Un misto di colori rende il set unico: due macchine fotografiche, una
sfilza di obiettivi intercambiabili fa sì che in pochi minuti riesca a scattare qualche
centinaio di foto. Per un po', rapito dai miei obiettivi, ho dimenticato i tanti problemi che
affliggono il nostro paesino.
Nel
riprendere la stradina, lo sguardo si sofferma sull’antico mulino: la porta
divelta, ma l’accesso impedito con quattro assi inchiodate, mi fa tornare alla
realtà. Preferisco non andare a vedere da vicino. Il sentiero che sale alla
Mater Chiesa non è segnalato, per cui nessuno lo percorre. Mi piacerebbe
rifarlo, ma ho la macchina al parcheggio e poi devo andare a vedere da vicino
il canale di raccolta dell’acqua piovana.
Infatti,
la sensazione che non vi passi l’acqua (e forse non vi è mai passata) è
diventata una certezza: l’enorme canale parallelo significa che l’acqua piovana
da tempo ha preso una nuova strada.
Lo
prova anche il fatto che il canale sia invaso da tante piante infestanti.
Quindi scendo lungo la traccia che porta al fiume per fare qualche scatto al
Ponte del Diavolo dal basso e anche qui tutto sembra abbandonato.
L’accesso al fiume è contrassegnato da una bacchetta di ferro con l’estremità
dipinta di rosso, con un fiocchetto di nastro di quello in uso per la
segnaletica stradale. Rovi, piante invasive, vitalba, ontani sono i sovrani
indiscussi del Raganello. Meno male! Tuttavia un minimo di sistemazione del
fondo necessita farlo.
Mentre mi attardo tra questi pensieri, arriva un pullmino carico di gente chiassosa che scende, va verso il
ponte, guarda a destra poi a sinistra, fa qualche foto ricordo con lo smarthphone,
risale sul pullmino per tornare in paese: questo
è il nuovo turismo 2.0.
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