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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

domenica 10 aprile 2016

Gita al Ponte del Diavolo

Dissesto idrogeologico, incuria, disaffezione, abbandono. Forse un po’ di tutto ciò.
Ieri è stata una bella giornata, nel senso fotografico, e quindi ho imbracciato le mie fotocamere e sono andato a fare un giro fino al Ponte del diavolo.
Il Ponte del Diavolo. (Photo di E. Pisarra)
sono stato via sei mesi e, con la scusa della fotografia, sono tornato sui luoghi a me più cari.
Sono andato giù fino al ponte con il fuoristrada con l’intenzione di proseguire dopo le foto al ponte, lungo la stradina di servizio che si snoda sulla destra del Raganello, fino al viadotto sulla statale.
Scendendo con la macchina si ha una percezione del luogo diversa rispetto a quando si cammina a piedi alla velocità di due chilometri e mezzo all’ora: imboccando la stradina cementata, in forte discesa, appena rifatta, con i guardrail di legno, che si sviluppa come un grosso serpentone e avvolge i fianchi della collina: la parete della Timpa del Demonio, riverberata dai colori, con tanti giochi di luci e ombre, man mano che si scende, appare aumentare di dimensione, tanto da farti mancare l’aria, hai l’impressione di entrare in un posto fiabesco. Indubbiamente, lo è.


Ho lasciato la macchina nel parcheggio, ho percorso pochi passi e il paesaggio ha cominciato a mostrarmi i primi segni di … inciviltà: un vecchio tabellone con pretesa di dare informazioni turistiche, una ingombrante macchia di olio, segno di sosta frequente di un grosso motore danno la sensazione che il posto sia meno fiabesco di quanto si percepisca di primo acchito.

Canyon del Raganello. Il Ponte del Diavolo (Photo di E. Pisarra)
Attraversato il primo ponticello sono in vista del Ponte del Diavolo. Magnifico! Il "mio" ponte è ben inserito nel contesto del paesaggio. Ricordo bene le dispute sulla metodologia di ricostruzione del manufatto, ma ora fa la sua figura. La luce del primo mattino lo dà in ombra, la gola è quasi buia; la mulattiera prosegue e io mi incammino su questo capolavoro di viabilità antica. Mi viene in mente la voce di Salvatore Rago, quando e con orgoglio, ricordava i lavori di allargamento di questo tratto con fatica perché fu necessario rompere la roccia a colpi di martello, aceto e cunei di legno.

Il Canale dell'acqua piovana (Photo di E. Pisarra)
Rifaccio il percorso fino al punto di culmine prima della discesa lo sguardo cade sul versante opposto dove appare il grande canale di raccolta dell’acqua piovana, che ha sostituito il famoso e brutto “Tubo di Fazio”: opera ben fatta ma completamente privo di una goccia d’acqua. 
Ma come è possibile? Siamo in pieno periodo primaverile, anche se l’inverno passato non è stato dei migliori in termini di quantità di pioggia caduta, non mi spiego come sia così in … secca.
Mi riprometto di andare a vedere da vicino cosa sia accaduto. Ma già da questa postazione si vede come l’acqua piovana ci sia stata eccome: solamente che ha fatto un percorso parallelo. Ho la quasi certezza che fin dal primo momento la pioggia non vi si sia incanalata un goccio d’acqua e la spiegazione è molto semplice: l’imbocco del canale è troppo piccolo e quindi soggetto ad intasarsi facilmente con la conseguenza che l’acqua si è cercata  e creata un nuovo percorso vanificando così gli sforzi (e i denari spesi) di regimentare le acque meteoriche per ridurre al minimo i danni e il dissesto del territorio.
Proseguo in direzione della Sorgente di Casalicchio.

Un tratto della mulattiera di Casalicchio con la staccionata divelta
 (Photo di E. Pisarra)
Percorrere l’antica mulattiera diventa una vera e propria camminata ad ostacoli: grossi pietroni caduti dalla parete, rovi, pietrame vario, piante invasive, resti di una staccionata divelta, ghiaia e pietrisco ne impediscono il cammino in modo agevole. È una vera e propria gimkana che farebbe desistere anche il più motivato camminatore. E pensare che molte generazioni di civitesi hanno fatto questo sentiero più volte al giorno per recarsi nei propri campi o agli orti di famiglia. Oggi è tutto in abbandono. Dopo pochi metri di salita il vecchio tracciato scompare, inghiottito dai rovi e coperto da gigantesche piante di lentisco. I muri a secco di contenimento dei terrazzi sono in gran parte caduti e invece di sistemarli si è creata una traccia che passa in mezzo agli ulivi, in una proprietà privata, completamente abbandonata. Ancora rovi, piante invasive, euforbie, impediscono di convergere sul tracciato pubblico. A pensare che non molto tempo fa per questo tipo di occupazioni ci sono stati forti contrasti e diatribe tra i vari proprietari di questi appezzamenti.
Insisto. Voglio arrivare alla Sorgente. Ci sono numerosi biacchi che “passeggiano indolenti” o, avvolti a ciambella, prendono il sole, e la traccia è sempre più difficile da trovare.


A un certo punto si intravede per pochi metri lo splendore della antica mulattiera, perché sulla sinistra vi sono ancora quattro o cinque piccoli campi terrazzati in ordine, con piante da frutto, testimoni di uno di quegli orti in uso fino a pochi anni fa. In breve arrivo alla Sorgente tutta immersa in una fitta vegetazione, con l’acqua che scorre in piena libertà, dando quasi l’impressione che la mulattiera finisca dentro un tunnel di lentisco, ulivi, salici e altre piante.
Sono molto rattristato: d’altronde la natura fa il suo corso. L’uomo in questo momento storico si è inurbanizzato e quindi non è interessato a ciò che succede nel proprio territorio; forse anche per scacciare antichi e brutti ricordi, lascia che tutto il lavoro di secoli vada in malora.     

Tratto della mulattiera invaso da sassi caduti dalla parete.
(Photo di E. Pisarra)
Eppure basterebbe poco per mantenere in funzione queste antiche arterie di collegamento e dare un senso a chi scende al Ponte del Diavolo e dare una motivazione in più per diminuire quel “mordi e fuggi” che prima o poi ucciderà il turismo anche a Civita.
Cosa comporta pulire dai sassi caduti l’antica mulattiera e rimettere in sesto i muretti in pietra a secco, capolavoro di una civiltà contadina che in molti decantano in vari musei ma poi al momento di difenderla con atti concreti non lo fanno? 
E rendere la sorgente e la sua area circostante una meta facile da raggiungere?
È cosa questa di così difficile pensiero?
Per la verità già l’Amministrazione comunale a guida Cerchiara ebbe l’idea di ripristinare questo antico percorso, tant’è che affidò la redazione del progetto all’architetto Gallo di Cosenza, ma poi per una serie di vicende burocratiche con l’assessorato competente della regione Calabria, tutto andò a farsi benedire.
Con l’istituzione dell’Ente parco si pensò che la musica sarebbe cambiata e che questo sentiero sarebbe stato ripreso all’interno della rete Sentieristica: ma tutto rimase sulla carta!
O meglio, grazie al turismo escursionistico tedesco per tutti gli anni novanta si mantenne. Con la buona volontà delle Guide locali, si fece anche una “mini” segnaletica non invasiva tant’è che il percorso ancora oggi appare in molte guide tedesche.  Si era attivata anche una deviazione che consentisse la sosta presso una masseria prima della salita in vetta alla Timpa del Demonio con assaggio di prodotti tipici a base di formaggio e ricotta appena fatta che mandavano davvero in visibilio i teutoni.
Senza manutenzione tutto finisce. E ci vuole molto poco.
Si continua a fare un sentiero, lontano dal centro abitato, isolato, senza segnaletica, con una serie di staccionate invasive ed estranee al paesaggio, senza promozione, senza una cartografia, con un'unica certezza: non verrà percorso mai da nessuno.
Non si pensa globalmente – per dirla con Legambiente – agendo localmente.
Eppure questo settore di manutenzione del territorio potrebbe essere la vera “Merica” per i popoli di montagna e soprattutto del nostro Pollino.
Il Pollino ha tantissimo bisogno di manutenzione, per contenere il dissesto idrogeologico, di sentieristica, di rifugi: questa è e sarà la vera scommessa del futuro.

Tratto della mulattiera con il muretto di protezione divelto dalla caduta
massi.  (Photo di E. Pisarra)
Non occorrono mega “attrattori“ turistici da milioni di euro, dati per lo più a multinazionali; bastano tanti piccoli interventi capillari in tutto il territorio a partire dai circondari dei piccoli paesi, affinché questi diventino “punto di partenza”, soggetti protagonisti in casa propria, altrimenti sono condannati  allo spopolamento e al definitivo abbandono.

Un tempo c’era sul Raganello un ponticello di legno, realizzato in seguito al crollo del Ponte del Diavolo, che permetteva di rientrare dall’altra sponda: oggi questo passaggio è stato rimosso e quindi bisogna fare “avanti e indietro” dalla stessa strada: cosa odiosa per un escursionista.
Quando ritorno sul Ponte del diavolo, il sole è già alto e la gola è illuminata in pieno. Un misto di colori rende il set unico: due macchine fotografiche, una sfilza di obiettivi intercambiabili fa sì che in pochi minuti riesca a scattare qualche centinaio di foto. Per un po', rapito dai miei obiettivi, ho dimenticato i tanti problemi che affliggono il nostro paesino.

Il Canale dell'acqua piovana ... senza un goccio
d'acqua. (photo di e. Pisarra)

Nel riprendere la stradina, lo sguardo si sofferma sull’antico mulino: la porta divelta, ma l’accesso impedito con quattro assi inchiodate, mi fa tornare alla realtà. Preferisco non andare a vedere da vicino. Il sentiero che sale alla Mater Chiesa non è segnalato, per cui nessuno lo percorre. Mi piacerebbe rifarlo, ma ho la macchina al parcheggio e poi devo andare a vedere da vicino il canale di raccolta dell’acqua piovana.
Infatti, la sensazione che non vi passi l’acqua (e forse non vi è mai passata) è diventata una certezza: l’enorme canale parallelo significa che l’acqua piovana da tempo ha preso una nuova strada.
Lo prova anche il fatto che il canale sia invaso da tante piante infestanti.
Quindi scendo lungo la traccia che porta al fiume per fare  qualche scatto al Ponte del Diavolo dal basso e anche qui tutto sembra abbandonato. L’accesso al fiume è contrassegnato da una bacchetta di ferro con l’estremità dipinta di rosso, con un fiocchetto di nastro di quello in uso per la segnaletica stradale. Rovi, piante invasive, vitalba, ontani sono i sovrani indiscussi del Raganello. Meno male! Tuttavia un minimo di sistemazione del fondo necessita farlo.
Mentre mi attardo tra questi pensieri, arriva un pullmino carico di gente chiassosa che scende, va verso il ponte, guarda a destra poi a sinistra, fa qualche foto ricordo con lo smarthphone, risale sul pullmino per tornare in paese: questo è il nuovo turismo 2.0.



 

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