"Pis trechi glìgora de thorì tìpote", chi va veloce non vede
nulla
CLAUDIO CAVALIERE
13 FEBBRAIO
2019
E’ il motto che introduce il trekking grecanico all’interno del Parco
nazionale dell’Aspromonte della Naturaliter, cooperativa turistica nata nel
1998, con sede a Condofuri i cui soci, Pasquale Valle, Ugo Sergi, Andrea
Laurenzano, calabresi doc, si sono assunti il compito di favorire, estendere ed
implementare la cooperazione tra le comunità locali nelle aree scarsamente
popolate del Mediterraneo, creando per esse opportunità di sviluppo compatibili
con le risorse ambientali, ed occasioni di incontro sociale e culturale coi
viaggiatori della natura.
Per questo offrono un
mix affascinante di proposte di cammino grazie alla creazione di una rete di
servizi turistici in aree protette, capaci di coinvolgere la comunità locale,
attraverso percorsi di partecipazione e cooperazione. La Naturaliter ha appena
sponsorizzato la nuova Carta escursionistica dell’Aspromonte che riporta la
Rete sentieristica che interessa l’intera area protetta aggiornata a inizio
anno. Una tavola in scala 1:70.000 mostra l’intero perimetro del Parco e la sua
collocazione geografica, con la rete viaria in grado di raggiungere tutte le
località e i centri abitati dell’area protetta. Vi sono riportate le emergenze
ambientali, cascate, grotte ipogee, formazioni rocciose, gole, sorgenti e la
copertura forestale a uliveto, boschi di latifoglie e conifere. E’ Inoltre
riportato il tracciato del Sentiero Italia, del Sentiero del Brigante e
l’intera Rete sentieristica ufficiale (con la relativa numerazione) ricadente
all’interno dell’area protetta. L’altra tavola è di dettaglio. In scala
1:30.000, evidenzia il settore meridionale del Parco Nazionale dell’Aspromonte
e, precisamente, l’intera area grecanica. In questa tavola è riportato, per la
prima volta, il tracciato del “sentiero dell’Inglese”, il viaggio che Edward
Lear compì nell’estate del 1847 nell’area grecanica. “Abbiamo affrontato la
salita per Bova per diverse ore. Ma pur camminando faticosamente verso Bova, la
città sembrava il vascello fantasma, mai vicina. … e davvero magnifica era la
vista guardando indietro … l’immensa prospettiva di linee degradanti e di
torrenti era certamente una delle più suggestive scene che si possano trovare
nella bella Italia”. (E. Lear. Diario di un viaggio a piedi, Rubbettino
editore, 2009). Da Pentidattilo a Staiti in otto giorni, la Naturaliter
organizza anche questo trekking con asini al seguito per il solo trasporto dei
bagagli, sull'itinerario percorso dal paesaggista viaggiatore inglese. L’obiettivo
non è solo quello di utilizzare gli asini per un trekking speciale, ma dare
anche un contributo fattivo al tentativo di contrastare l'estinzione del forte
e testardo quadrupede. L’opera di ripopolamento della specie asinina ha
raggiunto un primo risultato, un evento storico: dopo 30 anni, il primo parto
in Aspromonte! Con la nascita di Gelsomina, e poi di Ciccio. Le coordinate
della Carta sono riferite all’ellissoide internazionale WGS84; il reticolo di
riferimento è UTM Fuso 33. Alla costruzione della Carta ha contribuito anche
Emanuele Pisarra geografo, calabrese di Civita, guida ufficiale del parco
nazionale del Pollino, socio della Società geografica italiana, giornalista
naturalista, titolare dell’agenzia Acalandros Tour che ha elaborato i dati per l’Acalandros
Map Design e con il quale abbiamo dialogato.
Claudio Cavaliere. |
La Calabria è terra di parchi ma è evidente che non esprimono il potenziale
possibile. Tu hai sempre avuto un atteggiamento critico ma costruttivo verso la
gestione dei parchi calabresi. Cosa manca e cosa occorre perché affermino
pienamente il loro ruolo istitutivo che è di tutela, di valorizzazione, di
educazione e di sviluppo?
La situazione dei Parchi calabresi, così come quella di tutte le aree
protette d’Italia, è il risultato di una mancata politica di sviluppo
incentrata su chi deve fare cosa e quale deve essere la “mission” di un
parco.Il discorso sarebbe molto lungo. In breve, i dirigenti dei parchi
calabresi (ma, sottolineo, non solo loro, bensì tutti quelli delle aree
protette del nostro Paese) si sono trovati, all’improvviso, senza direttive da
parte dello Stato (leggasi Ministero dell’Ambiente) e ciò ha prodotto una
politica del “fai da te” sulla scia di quanto avvenuto con le vecchie Comunità
montane, nel momento in cui sono andate in via di dismissione. Praticamente si
è voluto abbandonare lo spirito dell’articolo 1 della legge istitutiva dei
parchi, dove si afferma con forza che la prima azione da intraprendere è la
conservazione degli ambienti naturalistici e paesaggistici e, solo dopo, si dà
spazio ad operazioni per la presenza dell’uomo. Rispetto a quanto stabilito
dalla legge istituiva, con la quale si dava un taglio alla gestione di tipo
“antropocentrico”, si è tornati a una situazione in cui l’uomo la fa da padrone
a discapito della natura. Ma, soprattutto, manca l’amore per la propria terra,
la forza di agire in nome di un interesse comune a discapito di pochi; manca
una visione di medio e lungo termine, e mancano i fondi che sono sempre più
ridotti a causa delle varie congiunture economiche degli ultimi anni. I
risultati sono davanti agli occhi di tutti: i paesi si spopolano, la montagna –
per la sua componente umana- è sempre più silenziosa, deserta, priva di vita o
quasi.
Civita, Bova, Sersale. Tre paesi calabresi nei quali il turismo ambientale
montano è diventato fondamentale per il loro sviluppo. Tre modelli che, nella
loro diversità, mi pare abbiano una caratteristica comune, quello di avere
sviluppato “dal basso”, come si dice, una proposta di accoglienza e offerta.
Ritieni siano dei modelli replicabili nel resto della regione?
Tre modelli, diversi fra di loro, sicuramente da studiare, copiare e
adattare a molti dei paesi della nostra regione. Soprattutto a quelli che
ricadono nei territori dei nostri parchi. Con una unica accortezza: di non
essere voraci, di non pretendere tutto e subito, di non avere velleità da
“guadagno facile” perché, altrimenti, il rischio concreto di replicare nei
paesi dell’entroterra il “modello costiero” del mordi e fuggi è dietro la
porta.Approfitto di questa occasione, per sottolineare come, ancora una volta
questi modelli “dal basso”, per riprendere la tua espressione, necessitino di
una rettifica di direzione, in quanto, sono in fase di “sbandamento”. Almeno
per quanto riguarda la realtà di Civita, che conosco meglio in quanto la vivo
tutti i giorni. E qui mi permetta di fare una brevissima cronistoria, tanto per
inquadrare il concetto che voglio esprimere. L’idea dello sviluppo verso una
direzione di tipo naturalistico è nata da un gruppo di persone che gravitavano
intorno all’allora circolo di cultura “Gennaro Placco”: siamo alla fine degli
anni Ottanta, quando, per la prima volta, si organizza – tra le tante
iniziative – una conferenza stampa per soli giornalisti stranieri, in
prevalenza provenienti dalla Germania. Ecco quell’incontro fu un successo,
nonostante lo scetticismo di molti governanti locali. A quella proposta
seguirono molti passaggi televisivi, articoli su importanti riviste nazionali,
che portarono alla notorietà la nostra comunità in ambito nazionale e anche
oltre. In quel momento fu fatta una scelta “alta”, nel senso che la comunità si
doveva aprire ad un pubblico colto, desideroso di conoscere, comprendere la
realtà della minoranza arbëreshe che abita in Italia da oltre mezzo millennio e
va fiera delle sue tradizioni, usi, costumi. Oggi, è necessario il ritorno a
questi principi basici; altrimenti perché uno dovrebbe venire a Civita, o in un
altro dei tanti bei paesi della nostra Calabria, se trova le stesse cose che
essi offrono, ad un tiro di schioppo dalla propria città?Non abbiamo bisogno di
“ponti tibetani” o nepalesi, di funivie, di strade a scorrimento veloce: anzi,
direi proprio il contrario. Ben restino le strade tortuose, a patto che abbiano
un ottimo fondo, ben mantenuto, perché danno quel senso di penetrare in una
nuova dimensione spazio-temporale, di appartenenza al luogo; Sì, resto
fortemente convinto che bisogna dare priorità a mille progetti di piccola
entità piuttosto che a mega lotti, fatti di enormi somme, ma dalla dubbia
efficacia per le comunità.
Il 20 agosto 2018 ha segnato uno spartiacque per la vostra comunità. E’
facile dimostrare che eri stato lungimirante nel denunciare una situazione di
fruizione delle gole pericolosa e nociva per l’ambiente. Cosa cambia adesso per
Civita e quale lezione si può trarre da una tragedia da tanti considerata
“annunciata”.
Quando una comunità –
attratta dal facile guadagno – non si ferma a riflettere, a fare un “tagliando”
della situazione, è facile che cada in preda una sorta di delirio di
onnipotenza, dove tutto è lecito, tutto si può fare, senza pensare alle
conseguenze, più o meno gravi, che da questa mancata riflessione possono
derivare. È esattamente quello che è accaduto a Civita. Spero e mi auguro che
questa lezione sia da esempio per tutti.Quando si sente dire: “hanno pagato e
quindi devono scendere a tutti i costi” e mi riferisco alla risposta data in un
dialogo, a cui avevo assistito, tra un signore ultra novantenne che manifestava
tutte le sue rimostranze, avendo trascorso gran parte della sua vita
all’interno delle gole del Raganello, e gli organizzatori delle escursioni nel
Canyon del Raganello - vuol dire che abbiamo raggiunto il fondo.L’ingordigia,
la sete di denaro, il “cogliere l’attimo”, nonostante i segnali di pericolo
dati dalle frequenti piogge pomeridiane che da qualche giorno colpivano la
Valle, hanno fatto superare il limite.E qui mi permetto di raccontare – per la
prima volta - un piccolo episodio. Per la mia esperienza ultra trentennale di
guida e accompagnatore di montagna, ma soprattutto come abitante di Civita, che
conosce le insidie del Raganello e delle gole, e come vittima, per fortuna
senza tragiche conseguenze, di una piena, proprio il giorno di ferragosto,
avevo chiesto al mio sindaco di voler prendere provvedimenti con l’emanazione
di una ordinanza di divieto di accesso proprio in base a questi strani eventi
metereologici pomeridiani che notavo da un po’ di giorni. Consapevole che essa
avrebbe causato danni alle varie compagnie di escursioni, mi ero limitato a
suggerire che l’ordinanza si limitasse al solo pomeriggio. Magro, magrissimo il
tentativo di consolazione, giuntomi da tanti che mi conoscono, del Nemo
propheta in patria. Governare, significa, come sosteneva Bertrand Russell, che
ogni tanto bisogna prendere qualche decisione impopolare, consapevoli che
questa concorrerà allo sviluppo della comunità a discapito di pochi portatori
di interessi immediati.Mi auguro, dal profondo del cuore, che quanto accaduto
in agosto a Civita faccia riflettere su come il “fare grandi numeri” spesso non
sia un modello di sviluppo sostenibile. E le conseguenze che se ne pagano,
generalmente, sono altissime.Civita ha una capienza di circa diecimila presenze
turistiche/anno.Con questi numeri la comunità può reggere l’impatto ed avere un
tornaconto economico.Negli ultimi tempi, aveva spinto l’acceleratore fino a superare
le ventimila presenze a discapito della qualità sia in termini di servizi che
di accoglienza.Inoltre, non abbiamo più bisogno di dire sì a tutto e a tutti:
dopo quarant’anni di attività, siamo nella condizione di poter scegliere, di
non farci abbindolare da facili “notorietà” millantate da produttori e registi
cinematografici. Non temiamo che un mancato passaggio nei titoli di coda di
film o serie televisive dai temi facili possa nuocerci.Mi auguro che si ritorni
ai piccoli numeri, alla qualità dei servizi; a parlare di visitatori, amici
ospiti e non turisti. Meglio ospitare un visitatore disposto a spendere cento
euro al giorno che cinque turisti che spendano venti euro a persona: ritroviamo
il rapporto umano l’incontro, il dialogo…
L’impressione che ho è che nella fruizione dell’ambiente calabrese
collidano due modelli: quello di chi tende ad offrire un sistema
prevalentemente se non esclusivamente estetico-emozionale e chi cerca di
aggiungervi una dimensione di conoscenza, meno semplicistica, secondo il motto
”camminare per conoscere e conoscere per proteggere” consapevoli che le sole
emozioni sono transitorie, fatue non garantiscono il vero cambiamento che è
l’obiettivo dell’educazione ambientale. Si possono integrare i due aspetti o si
rischia di trasportare anche in montagna l’esperienza marinara calabrese?
Noi, sul Pollino, possiamo dire, con orgoglio, che abbiamo dato una svolta
al modello di uso della montagna di ispirazione silana. Mi riferisco ai vari
episodi di dubbio sviluppo che si volevano attuare alla fine degli anni
Sessanta anche sul nostro massiccio. Un gruppo di intellettuali riuscì a
bloccare quelle speculazioni e non avemmo una fotocopia di Campitello Matese;
Villaggio Mancuso o Camigliatello Silano alle pendici di Serra di Crispo a poco
meno di duemila metri di quota. In compenso abbiamo mantenuto una natura
pressoché intatta.Ora vorremmo portare all’incasso questo modello. Abbiamo
l’ambizione di voler utilizzare metà quota a disposizione per infrastrutture (a
partire dal basso: alberghi, b&b, campeggi e rifugi) e lasciare il resto al
libero “godimento”, per dirla con John Muir, fondatore del Sierra Club, la
prima associazione ambientalista in ambito mondiale.Per essere ancora più
chiaro: come si sa il Massiccio del Pollino ha cime che superano i 2200 metri
e, per fortuna, i centri abitati sono posti a corollario dei monti, lasciando
libera la parte più in alto.Oggi questo dato torna comodo per progettare un uso
sostenibile della parte in quota.Ossia, a partire dai 1200-1300 metri in su, si
può pensare di ridurre progressivamente la presenza stabile dell’uomo, fino ad
azzerarla. Intendo dire che bisogna prendere tutti quei provvedimenti
giuridico-legislativi per agevolare la presenza dell’uomo fino a queste quote e
disincentivare insediamenti nella fascia alta del faggeto.Le pendici della
montagna hanno bisogno dell’uomo perché la sua presenza contribuisce a
mantenere quell’equilibrio utile alle sue attività a basso impatto ambientale;
mentre la restante parte deve, progressivamente, tornare a quello stato
naturale che la caratterizzava prima dell’arrivo dell’essere umano. Quello
stato che gli esegeti della natura chiamano wilderness. Creare una rete
sentieristica in grado di ben collegare tutte le località più rinomate;
realizzare punti di partenza (start point) raggiungibili anche con una Ferrari;
attivare i tanti rifugi costruiti e mai aperti; manutentare la rete stradale di
avvicinamento; chiudere - o almeno limitare l’uso - di qualche strada che oggi
non ha più ragione di esistere.
Sei uno che ha deciso di rimanere. Evidentemente ci sono cose per le quali
è valso la pena restare, che ti hanno soddisfatto così come è ovvio che vedi
anche un futuro possibile … Cosa è cambiato in questi anni, in positivo e in
negativo.
Ci vuole più coraggio
a rimanere che ad andarsene, ed è davvero molto dura, soprattutto per coloro,
tra i quali mi pongo di diritto, che si ritengono “liberi pensatori”.Sono sempre
stato convinto del fatto che l’istituzione di un parco nazionale sia di
difficile “digestione” per la generazione che lo vede nascere; ma può dare
avvio ad un nuovo tipo di sviluppo per le generazioni successive, perché a
volte, per poter usufruire di benefici futuri, bisogna che qualcuno si
sacrifichi nell’immediato. E noi siamo la generazione sacrificata in nome di un
nuovo modello di sviluppo.E però vedo sempre più scemare i presupposti
pregnanti di una comunità minoritaria chiusa e racchiusa tra monti un tempo
inaccessibili; di ciò oggi è complice la rete che da un lato unisce e offre
tantissime opportunità per portare i propri progetti nel mondo, ma dall’altro
contribuisce a uniformare gusti, pensiero, cultura, scelte politiche…Basta
avere le idee chiare su cosa si vuole fare da grandi e perseguire l’obiettivo
con passione e determinazione.I nostri parchi sono l’ultimo baluardo prima del
grande abbandono della nostra ricca, variegata e stupenda Calabria.
NOTA
Conosco Claudio Cavalieri da anni. Una persona colta, fine analista della "questione Calabria", con il quale amo scambiare opinioni, sensazioni e impressioni sulla nostra bellissima regione e sulle nostre montagne. In occasione della uscita della nuova Carta dell'Aspromonte abbiamo discusso a lungo sulle questioni che più "attanagliano" la nostra situazione. Da questa conversazione, l'animo indagatore del Sociologo ha prevalso... e, come se fossi disteso su di un letto dell'analista, mi ha tirato fuori tutto il mio sentire sulle questioni che da anni impegnano la mia esistenza.
Grazie Claudio. Un bicchiere dell'ottimo vino di mio fratello ... lo meriti tutto.
Questo articolo è stato pubblicato su CALABRIA ON WEB - Magazine di notizie e commenti del Consiglio regionale.
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