Stiamo vivendo anni determinanti per il
futuro delle nostre montagne: solo un turismo e uno sviluppo che abbiano un
occhio di riguardo nei confronti del territorio e della biodiversità avranno un
futuro. Possono i parchi, con la loro sintesi tra uomo e habitat, diventare un
laboratorio per salvaguardare il loro futuro?
Escursionisti in cammino verso la cima di Serra delle Ciavole (Photo di E. Pisarra) |
Agli inizi degli anni Ottanta
uno slogan lungimirante promuoveva la politica dei parchi: “vogliamo un parco
per abitarci”.
Furono anni di grande
impegno di sensibilizzazione a tutti i livelli: a partire dal rispetto per la
natura e della coscienza ecologica; tempi segnati dalla nascita delle
associazione ambientaliste: dalla rivista
Airone che vendeva centinaia di migliaia di copie; mentre molte regioni si andavano
dotando di norme di salvaguardia per le proprie aree protette regionali.
Lo spirito delle norme
nazionali fu chiaro: pianificazione territoriale a livello nazionale e
regionale con la gestione affidata a enti che avessero al loro interno una rappresentanza
locale.
I parchi nacquero proprio
in un momento importante per salvaguardare un patrimonio naturale sopravvissuto
agli effetti più catastrofici della industrializzazione e della rivoluzione
tecnologica.
Da allora ci fu anche la
consapevolezza che le aree protette dovessero affiancare alla salvaguardia
della biodiversità la promozione e lo sviluppo sostenibile del territorio, con una
particolare attenzione riservata ai suoi abitanti.
Anziani che sorridono al fotografo in una delle tante piazze dei nostri piccoli paesi. (Photo di E. Pisarra) |
Basta ricordare come il
nostro Parco fosse da tempo atteso in Basilicata e poco voluto in Calabria;
anzi, in quest’ultima sembrava si trattasse di una classica imposizione
dall’alto da parte dello Stato su richiesta di pochi ambientalisti. Tant’è che nella notte del 20 ottobre 1994 si
raggiunse il momento più “forte” della protesta con l’incendio appiccato a “Zio
Peppe” il pino loricato scelto come simbolo del nuovo parco.
Da quegli anni Ottanta, tutti i parchi
hanno fatto tanta strada, cercando di conciliare la missione essenziale della
conservazione con l’esigenza di diventare “motore” di uno sviluppo sostenibile
del territorio. Il lavoro è stato lungo e la fatica tanta, ma oggi c’è molta
più sinergia fra aree protette e comunità locali.
I parchi ora hanno un riconoscimento a
livello locale e sono gli stessi comuni a chiedere, all’ente che gestisce l’area
protetta, anche un proprio ruolo di guida e di traino, ad esempio con la
partecipazioni a iniziative che coinvolgano il territorio.
Cavalli al pascolo con sullo sfondo il Monte Pollino (Photo di E. Pisarra) |
E non potrebbe essere altrimenti,
considerato che, di fatto, oggi i consigli direttivi dei parchi sono in gran
parte composti da rappresentanti degli enti locali, con un deficit, casomai di
rappresentanza da parte degli enti centrali e del mondo scientifico. Purtroppo
la riflessione politica sui parchi si è fermata e oggi c'è molta meno
attenzione e sensibilità alla questione. Non c'è più una politica dei parchi,
né a livello regionale, né a livello nazionale.
Proprio in questi giorni il Parlamento
sta discutendo le modifiche da apportare alla Legge Quadro che, a mio avviso,
sono deleterie nel cosiddetto rapporto dei pesi e dei contrappesi tra le figure
apicali.
Per esempio, il ruolo del Direttore del
Parco deve essere di “contrappeso” ai poteri del Presidente. Ma se al Presidente
viene dato il potere di nominarsi un proprio Direttore con contratto di diritto
privato per un tempo limitato (non superiore a cinque anni), è ovvio che è
venuta meno quella funzione di controllo e autonomia nel rispetto dei ruoli.
Un altro tentativo, messo lì tra le
pieghe dei commi è la questione della caccia, della pesca e delle attività
estrattive.
Il Monte Sparviere ricoperto dalle prime nevi (Photo di E. Pisarra) |
“… Il piano reca altresì l'indicazione anche di aree
contigue ed esterne rispetto al territorio del parco naturale, aventi finalità
di zona di transizione e individuate d'intesa con la Regione. Rispetto alle
aree contigue possono essere previste dal regolamento del parco misure di
disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela
dell'ambiente, ove necessarie per assicurare la conservazione dei valori
dell'area protetta. In ragione della peculiare valenza e destinazione
funzionale dell'area contigua, in essa l'attività venatoria è regolamentata
dall'Ente parco, sentiti la provincia e l'ambito territoriale di caccia
competenti, e può essere esercitata solo dai soggetti aventi facoltà di accesso
all'ambito territoriale di caccia comprendente l'area contigua. Per esigenze
connesse alla conservazione del patrimonio faunistico, l'Ente parco può
disporre, per particolari specie di animali, divieti e prescrizioni riguardanti
le modalità ed i tempi della caccia. Tali divieti e prescrizioni sono recepiti
dai calendari venatori regionali e provinciali ed assistiti dalle sanzioni
previste dalla legislazione venatoria. …”
Così come altri articoli della Legge
Quadro sono soppressi o completamente modificati nel contenuto e nel
significato.
Per esempio, un’altra “chicca” è
costituita da quest’altro comma: Costituiscono
entrate dell'ente di gestione dell'area protetta i proventi derivanti dalla
vendita della fauna selvatica catturata o abbattuta ai sensi dell'articolo 11.1.
È evidente che questo è un
incentivo all’attività venatorie all’interno di un Parco.
Invece, una norma che pare
interessante, se verrà attuata, è la istituzione di un Comitato nazionale per
le arre protette con funzioni propositive e consultive.
Occorre quindi, come puntualizzato da
Roberto Saini, docente di pianificazione ambientale, «tornare a fare una politica del territorio e dei parchi. Bisogna fare
sistema. I parchi non devono essere isole ma devono diventare il territorio,
occorre tornare a una visione di unione tra ambiente umano e ambiente naturale».
Perché se non avviene ciò i Parchi sono
alla mercede di politici miopi che guardano al “particulare” piuttosto che agli
interessi generali.
Di tutto questo va informata l’opinione
pubblica, altrimenti c’è il rischio che i parchi entrino in clandestinità, come
purtroppo in parte sta già accadendo, o che le loro azioni per la salvaguardia passino
inosservate: e sarebbe veramente un peccato.
Viviamo infatti anni cruciali per il
futuro del nostro Pianeta e delle nostre montagne, anni in cui diventa sempre
più manifesto come solo un turismo e uno sviluppo corretti del territorio e
della biodiversità possono avere un futuro. E cosa meglio dei parchi, con la
loro sintesi tra ambiente umano e ambiente naturale, può dare una mano a
tracciare una via possibile?
* Questo articolo esce in contemporanea su questo blog e sul periodico PASSAMONTAGNA della sezione CAI di Castrovillari
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