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Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

sabato 19 dicembre 2015

Cementificio

Forse il cementificio di Castrovillari chiude i battenti.
Mi verrebbe da dire: finalmente!

Cementificio di Castrovillari (foto dal web)
Invece non lo dico. Non lo dico perché rappresenta comunque una pagina storica del nostro territorio del tentativo di industrializzazione forzata di una zona in un’ottica temporale che imponeva la costruzione di fabbriche in un’area che aveva tutt’altre vocazioni.
Non si può andare contro la storia.
E allora ben vengano gli insediamenti industriali anche se portano con sé tante problematiche che una classe dirigente, digiuna di sindacato, è consapevole di non essere in grado di reggere.
In compenso sembra che il nuovo corso della storia appena iniziato apriva le comunità a nuove strade inesplorate. L’euforia era tanta. Molti cittadini del territorio emigrati in Italia e all’estero vengono richiamati, i paesi si ripopolano, pare che inizi una nuova storia che porti fuori dalla miseria questi territori.
Si inizia con la industrializzazione di Cammarata con la costruzione di impianti per il tessile.
Tra Castrovillari e Frascineto, invece, nasce il Cementificio.
Siamo agli inizi degli anni settanta.
La storia di Cammarata la conosciamo tutti: per un decennio, complici le commesse pubbliche di esercito e altri, gli impianti vanno a gonfie vele.
Gli operai sono felici, i paesi sono vivi, e anche le campagne tornano a rivitalizzarsi.
Ma questa sorta di paradiso in terra, ha una durata breve.
Finite le commesse statali, diversi altri imprenditori, si alternano alla proprietà delle industrie tessili calabresi. Tutti con la stessa sorte: sfruttamento del finanziamento pubblico, riconversione degli impianti, cassa integrazione, fallimento.
Una storia che si ripete fino a pochi anni fa e decreta il fallimento dell’industrializzazione di Cammarata.
Da qualche anno Cammarata è ritornata ad essere il capoluogo del distretto alimentare della Piana di Sibari.

Il cementificio

 In un primo momento sembra che a questa “sceneggiatura” il cementificio possa scansarla.
Si stanno ristrutturando interi paesi; c’è bisogno di cemento per rifare case, strade, edifici pubblici.
I costi, la scarsa cultura edilizia delle comunità, le esigenze di fare in fretta: tutti elementi che concorrono a consumare cemento.
Spariscono gli scalpellini, si azzerano i falegnami, viene meno tutta una categoria di operatori in favore di “mastri muratori”.
Interi abitati si “spaesizzano”: vie un tempo selciate, ora cementificate.   
Chilometri di muri fatti con pietre a secco, smantellati in favore di barriere di cemento, dritte, più sicure, grigie.
Edifici pubblici come scuole, municipi, caserme subiscono un restyling “cementizio” proprio perché bisognava andare avanti, far lavorare la fabbrica del territorio, dove prestavano la loro opera centinaia di lavoratori in rappresentanza di quasi tutti i paesi del circondario. 

Fa niente se, ogni tanto sui vigneti di quello che doveva essere l’area del vino doc Pollino, al mattino presto le viti venivano ricoperte da una cenere sottile portata dal vento.
Non ci voleva molto per capire la provenienza di quella cenere.
Tuttavia la necessità del lavoro faceva sì che nessuno osava protestare.
Una sola volta, quando a Castrovillari, vi era un forte movimento ambientalista con a capofila il WWF, seguito a ruota dalla LIPU: si faceva a gara chi doveva essere la prima donna del Pollino in questioni ambientali.

Ben presto i compiti si separarono e la LIPU si occupò di ambiente, mentre il WWF seguì le problematiche legate di più all’istituendo Parco del Pollino.

In questa veste il presidente della LIPU di allora, bravo fotografo, più volte seguì la questione del cementificio, in questa fase storica, forse l’impianto più produttivo d’Italia, con una serie di foto agli infrarossi che documentavano la fuori uscita di particelle solide dalla ciminiera della fabbrica.

La denuncia non ebbe nessuna eco.

I vertici dello stabilimento, complice la politica locale e il sindacato, per tutti questi anni hanno fatto i loro interessi.

Oggi, cambiano gli attori in gioco, l’impianto è stato venduto ad una nuova società tedesca, complice il calo delle vendite, l’impianto di Castrovillari rischia la chiusura.
Sarà ridotto ai minimi termini a partire dagli inizi del prossimo anno e ancora una volta mostrerà il fallimento industriale del territorio.
Ma vediamo il risvolto della medaglia.
Se l’impianto chiude alla produzione di cemento, potrebbe benissimo aprirsi alla bruciatura di immondizia.
Ne ha tutte le caratteristiche tecniche.
Otterremmo due risultati: non vanno a casa diecine di lavoratori e contribuiamo a mantenere un po’ più pulito il territorio che ne ha molto bisogno; anche in funzione alla nuova vocazione turistica e dell’agro alimentare che sta prendendo piede.

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