Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

sabato 4 gennaio 2014

Nuovo Ente Parco


Come scrivevamo qualche tempo fa su queste pagine (Passamontagna, periodico della Sezione di Castrovillari del Club Alino Italiano. NdR), ecco pronte le modifiche alla Legge quadro sui Parchi e le aree protette gestite sotto l’egida del ministero dell’ambiente.
Infatti, dal 30 gennaio 2014 sono in vigore le nuove indicazioni volute dal governo Monti, con un occhio al risparmio e poco importanza alla reale efficienza e necessità ai fini del miglioramento gestionale degli enti di governo dei parchi, senza costi aggiuntivi (per esempio, nessun gettone di presenza ai consigli) e ridotti nel numero, oltre che l’eliminazione di alcune figure e l’introduzione di altre.
Le norme contenuto nel DPR 16 aprile 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 26 giugno, sono in buona sostanza una sorta di nuovo regolamento, formato da un solo articolo omnibus dal titolo “riordino degli Enti Parco”.
In esso spiccano alcune sostanziali modifiche come la riduzione dei componenti degli Enti Parco (da 12 a otto), l’eliminazione di designati dalle Università, l’introduzione di un membro proposto dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), la conseguente riduzione della giunta esecutiva (da cinque a tre componenti), la riduzione ad una designazione da parte delle associazioni ambientaliste presenti sul territorio di un area protetta ed, infine, la modifica del comma della legge quadro che si riferiva alla decadenza dei componenti degli enti di gestione designati dai comuni, province e regioni: questi decadono immediatamente dopo la fine del loro mandato politico e devono essere sostituiti entro quarantacinque giorni.
Per ultimo, si è verificato quello che temevamo: maggiori poteri di gestione al presidente, il quale in questo periodo di vacatio esercita le funzioni del consiglio direttivo per quarantacinque giorni fino all’insediamento del nuovo organismo. Questo termine può essere prolungato fino a sei mesi.
È ovvio – come avevamo già sottolineato in precedenza – che il legislatore ha preferito dare ancora nuovi poteri alla direzione politica dell’Ente piuttosto che a quella tecnica.
Infatti, non si fa menzione in questo nuovo regolamento delle funzioni e della figura de direttore.
Non si ribadiscono gli obiettivi del Consiglio direttivo e, soprattutto, non si parla di finanziamenti che vengono decisi di volta in volta dall’organo vigilante (ministero dell’ambiente) e non si fa cenno ad una consulta dei Parchi nazionale che dia le direttive generali e univoche per tutti gli enti.
Una prima conseguenza – in casa nostra – sarà la “presa d’atto” che l’associazione ambientalista che è più attiva è il Club Alpino Italiano. Legambiente e il glorioso Wwf sono quasi scomparsi e quindi è gioco forza trovare un delegato tra di noi.
Il CAI ha già provveduto a segnalare alcuni nominativi.
Spero vivamente che nessuno voglia impelagarsi in un simile ginepraio.

Emanuele Pisarra  

giovedì 2 gennaio 2014

questa è la difficoltà, questo è l’impegno


Questo è il quarto anno di inattività invernale come Guida del Parco del Pollino.
Sembra ormai che la montagna – almeno al meridione – non interessi più.
I paesaggi invernali, forse perché lontanissimi e inaccessibili a causa della impraticabilità delle vie, di mancanza di rifugi aperti in quota, rimangono ad appannaggio di pochi fautori e temerari che si avventurano senza l’aiuto delle Guide. Ecco che passo l’inverno a studiare, informarmi su quello che accade nel mondo e non solo dal punto di vista ambientale. Per esempio mi interesso di storia oltre che di geografia. Momentaneamente trasferito al Nord frequento una delle trentaquattro biblioteche di questa città dove ho a disposizione milioni di volumi.
Curiosando tra i libri di storia mi imbatto su un testo ormai classico (Christopher Duggan, La forza del destino – storia d’Italia dal 1796 ad oggi, Laterza editori, 2008), dove lo storico inglese, ancora una volta dipinge un quadro non lusinghiero dell’Italia, pur tuttavia dicendosi fiducioso che il nostro paese ce la farà ad uscire da questa impasse politico-istituzionale.
E non lo dice solo lui ma cita Francesco de Sanctis, il quale ha espresso chiaramente qual era il compito principale dei suoi connazionali, se volevano sconfiggere i gravi problemi politici ed economici che travagliavano il Paese: superare la vecchia mentalità e i vecchi condizionamenti per identificarsi completamente nello Stato italiano: «hoc opus, hic labor» («questa è la difficoltà, quest’è l’impegno»). Fattore necessario, sosteneva De Sanctis, era una leadership ispirata e persuasiva. Tanta acqua è passata sotto i ponti negli ultimi 150 anni, ma il monito di De Sanctis non ha perso nulla della sua attualità.
Infatti, stiamo a discutere da mesi di quale sistema elettorale bisogna dotarsi per essere “più democratici” nel senso esteso del temine.
Ma tutto questo discutere non basta se poi non segue una decisione verso un modello piuttosto che un altro.
Forse entro fine gennaio avremo la nuova legge elettorale e poi?
Si va a votare a maggio oppure a primavera dell’anno prossimo?
In entrambi i casi ho l’impressione che tutto questo can can su quale sistema elettorale sia più adatto serva a distogliere l’attenzione dai mille problemi che quotidianamente attanagliano gli italiani. Soprattutto a quale modello di sviluppo bisogna affidarsi per uscire da questo intoppo economico oltre che morale ed esistenziale.
In un'unica parola: cosa fare da grandi.
Eppure lo stesso storico inglese sostiene che l’Italia ha tutte le potenzialità per superare qualsiasi difficoltà, visto che negli ultimi 150 anni di passi in avanti se ne sono fatti eccome.
Anche nel recente passato in Parlamento si litigava, si discuteva su quale legge elettorale fosse ideale per garantire la stabilità del governo, sul divario Nord-Sud e tanto altro.
Saliva la rabbia popolare, abbiamo avuto il terrorismo, i movimenti di protesta che spesso hanno raccolto e cavalcato questi momenti di tensione.
E tanto altro ancora.
In questo marasma da Repubblica delle Banane, ovviamente, le Aree Protette, i Parchi nazionali non sono scevri da questi dai venti di crisi di identità.
Anche in questo settore ci si pone la famosa domanda di cosa si vuol fare da grandi.
Uno degli ultimi governi (quello presieduto dal prof Monti) aveva deciso di prolungare la vita degli Enti gestori in scadenza fino a tutto il 2013 in attesa dell’ennesima riforma della legge sui parchi nella parte riguardante il numero degli eletti.
La bozza D’Alì (dal nome del primo firmatario) nel frattempo decaduta e poi subito ripresa dal nuovo parlamento dopo le ultime elezioni langue in qualche cassetto del Governo dopo che ebbe il voto favorevole dall’aula per una corsia preferenziale, come se la necessità di una modifica fosse imbellente per il funzionamento o meno degli enti di gestione.
Il risultato è che tutti i parchi nazionali italiani da qualche giorno sono senza Consiglio e quindi di fatto vi è una paralisi istituzionale e l’intera gestione ricade sulle spalle del solo presidente di turno che deve affrontare mille problemi di diversa natura che hanno poco a che fare con la … natura.
Ecco che sul Pollino, per esempio, bisogna prendere una decisione definitiva sulla questione Centrale del Mercure, sulla situazione esplosiva dei cinghiali, e tanti altri problemi.
Pare completamente fallita la mission del parco come motore propulsivo di un nuovo sviluppo ecosostenibile dove alcuni paletti fossero chiari e non discutibili. Mi riferisco alla caccia di fatto ammessa all’interno delle aree protette, con la scusa del prelievo selettivo di specie dannose (sul Pollino il cinghiale; sullo Stelvio, l’alce; sul Gran Paradiso, lo stambecco), alla mancanza di un piano del Parco, da tutti elaborato a suon di milioni di euro ma di fatto giacente in qualche tiretto del Ministero dell’Ambiente, nonostante la minaccia contenuta nella legge attuativa che dava come termine ultimo di sei mesi per dotarsi di uno strumento di gestione e sono passati semplicemente “solo” vent’anni. 
Di questo passo i Parchi nazionali verranno a declassati a semplici Comunità Montane un po’ più allargate con a capo un funzionario e buonanotte al secchio.
Questo sarebbe un trauma profondo per il territorio e per quanti di noi hanno speso una vita a combattere contro questa emergenza piuttosto che un’altra.
Per superare un profondo trauma, gli psicologi suggeriscono di seguire un percorso che passa attraverso la negazione, la depressione e la rabbia.
Siamo nella fase della depressione, nel disinteresse generale che può sfociare in rabbia e la storia ci insegna che le conseguenze di questo ultimo stato possono essere assai pericolose per l’ambiente ma anche per l’uomo che vi abita.
Per far cessare il lungo ciclo ripetitivo della politica italiana, per placare la rabbia popolare, e per raccogliere e incanalare efficacemente le straordinarie riserve di energie creative di questo Paese, - ricorda lo storico inglese - l’Italia deve trovare la forza di riconoscere e accettare la realtà. Non in modo disfattista e passivo, ma nello spirito di impegno e di responsabilità collettiva. Solo così si potranno gettare le basi per la rinascita nazionale”.
E per far questo occorrerà una leadership illuminata e lungimirante. Non solo in campo politico ma anche in uomini capaci di gestire questo immenso patrimonio naturale che il nostro Paese ha - insieme con i beni culturali - che tutto il mondo ci invidia.
Per questo auspico che il ministro dell’ambiente che si accinge a fare le nomine dei nuovi consigli direttivi e visto che non può più reincaricare gli uscenti, a causa del vincolo dei due mandati, venga illuminato dallo Spirito Santo della buona partica e dia l’incarico a uomini lungimiranti e illuminati.
Accadrà mai?



Emanuele Pisarra

venerdì 17 maggio 2013

Sulle orme di Vincenzo Campanile

In una regione come la Calabria (e la Basilicata) e in particolare sul “nostro” Pollino da sempre crocevia di popolazioni sarebbe interessante raccogliere queste tracce prima che scompaiano del tutto.
 « Per dieci minuti rimasi ad ammirare quel selvaggio luogo e le pareti delle tre vette del Monte Farmaco (forse Montea), specialmente quella della Pietra Berciata, che imponenti si presentano al mio sguardo […]. Ogni altra parete, di tutta la superficie della montagna, è verticale, è molte di esse sono solcati da piccoli canali, vie che i sassi, cadendo dall’alto, percorrono, con poca sicurezza per l’alpinista. »
(V. Campanile) Nel mio continuo peregrinare per i Monti d’Italia ho sempre riscontrato come in quasi tutti i luoghi ci sia un sentiero, un percorso, una traccia intitolata a qualcuno. Qualche tempo fa feci un piccolo tratto dell’itinerario intitolato a Papa Giovanni Paolo II sul Gran Sasso. Nell’arco alpino questa consuetudine è norma. Ma anche negli Appennini non si sfugge alla regola. Questa regola non scritta è una testimonianza oltre che un tassello nella memoria storica locale. I nomi delle cose riferiscono spesso importanti documentazioni del passato ed i nomi di luogo, in particolare, conservano le tracce delle civiltà che in quella località si sono date il cambio. Spesso in questi luoghi quasi inaccessibili si avventuravano studiosi, viaggiatori, scienziati per studiare, dipingere, raccogliere piante, paesaggi, sensazioni e darsi degli auspici per le popolazioni che lì vi abitano.
Questo ”database” vuol dire conservare memoria di quelle civiltà e delle loro culture, proprio in un epoca come la nostra distinta da trasformazioni così profonde e violente da provocare l’abbandono di abitudini di vita secolari e di parlate tradizionali .
Raccogliere per conservare. Non solo di toponimi o di oronimi , ma anche di uomini che hanno speso parte della loro vita per andare per lochi , per dirla con Leonardo da Vinci, che si sono sobbarcati in lunghi e faticosi viaggi in luoghi sconosciuti con carte topografiche approssimative e con la consulenza di uomini del posto di profonde conoscenze ma molto limitate negli spazi.

Tanto più che nella civiltà dell’immagine in cui viviamo queste esperienze si possono “vendere” per migliorare e qualificare il turismo escursionistico nell’ottica di camminare e ripercorrere un sentiero dove vi ha messo piede il tal personaggio in tali circostanze. Un po’ ricalca il motto del CAI : camminare per conoscere e conoscere per tutelare, con la speranze che anche le generazioni che verranno dopo di noi ripercorreranno questi sentieri nella continuità della memoria. Auspico che il CAI insieme con gli Enti preposti crei una apposita commissione per “dare un nome” ad un sentiero e legarlo ad un personaggio.
In occasione del 150° della fondazione del Club Alpino Italiano che ricorre proprio in quest’anno ho pensato bene di portare un primo contributo. Peraltro già raccolto su un libro1
La Sezione di Napoli fu una delle prime del Club Alpino. Appena 8 anni dopo la fondazione del Club Alpino Italiano (23 ottobre 1863), veniva costituita la "Succursale" (come si definivano allora) del Club a Napoli. Era il 22 gennaio 1871, e quella di Napoli era in assoluto la settima sezione del CAI (dopo la costituzione di Torino, erano già state aperte le sezioni di Aosta, Varallo Sesia, Agordo, Firenze e Domodossola). che le Edizioni Prometeo pubblicò qualche anno fa. È il caso di Vincenzo Campanile, napoletano, professore, alpinista , fondatore della Società Alpinistica Meridionale che poi confluì nella sezione del CAI di Napoli.
Una sezione che si distingueva per i propri aspetti scientifici più che alpinistici veri e propri.
Da qui la scissione ad opera di Campanile.
E proprio grazie a questa visione esplorativa del territorio; ricordiamo che tutto il meridione d’Italia era ad appannaggio della sua capitale Napoli. Per cui chiunque volesse esplorare o fare semplicemente un viaggio tra i monti di queste regioni era consuetudine che si rivolgesse alla sezione CAI di Napoli. Per fortuna che il resoconto di queste “esplorazioni” sono state pubblicate sugli annali del Sodalizio e su appositi bollettini che oggi possiamo prendere in esame.
Un resoconto di un viaggio di Campanile, uno dei tanti, poiché lui venne molte volte sul Pollino e vi camminò in lungo e in largo in quasi tutto il Massiccio, riguarda una “via” estremamente bella e interessante anche se un po’ faticosa e non priva di pericoli oggettivi come cadute di pietre e qualche problema di orientamento, la Punta Melàra o il Telegrafo pubblicata sul Bollettino della Società Alpinistica Meridionale.
La Punta Melàra o Telegrafo coincide con la Montea di oggi. Ecco come Vincenzo Campanile racconta quel viaggio avventuroso che da Napoli lo portò prima in treno fino a Belvedere Marittimo e poi sulla Montea. Il 10 Agosto ultimo (1898 n.d.r.), col diretto delle 7,40 partii da Napoli. Giunto a Battipaglia alle 10, lasciai quel treno, che continua per Potenza, Metaponto e Brindisi, e presi posto nell'altro, che percorre la nuova linea sul versante tirreno, fino a Reggio Calabria. Alle ore 16' scesi alla stazione di Belvedere marittimo, ove fui ricevuto dal signor Giuseppe Pugliese, che mi ospitò in una sua palazzina, presso la spiaggia. Alle ore 5 del giorno 11 Agosto, partii da Belvedere, accompagnato da un montanaro, a nome Gervasio. Sale alla volta del passo dello Scalone verso Sant’Agata d’Esaro descrivendo in modo mirabile – per le conoscenze del tempo – l’intero gruppo montuoso che circonda Belvedere Marittimo e percorrendo “poco comode scorciatoie” giunge al Passo dello Scalone.


Ancora Campanile … una gola angusta, tra lo dirute pareti del bastione, che sostiene la Punta Melàra a sinistra, e la falda settentrionale, tutta a faggi, del Cozzo Sangineto a destra. In fondo alla gola, silenzioso, corre l’Ésaro. Su quest'ultima falda è tagliata dalla strada carrozzabile 3
A questo punto lasciata la “statale” Vincenzo Campanile e il suo accompagnatore Gervasio cominciarono a salire procedendo in silenzio per il rispetto dei luoghi, almeno fino a quando … le voci allegre di alcune montanine, che scendevano, cariche di legna e con passo celere, vennero a dare la nota gaia in quel luogo misterioso. Poco dopo lessi sul loro volto la meraviglia, da cui furono comprese, incontrando lassù, forse per la prima volta nella vita, un uomo diverso dai pastori a loro familiari. Si ritrassero con rispetto per lasciarmi libero il passo, io le salutai, ma solo alcune ebbero il coraggio di rispondere al saluto! Mi volsi per poco, e le vidi correre sul pendio, mentre l'occhio ammirava il grandioso quadro della gola dell'Esaro che scende a Sant’Agata.
Anche su questo il Campanile non tralascia di dare informazioni: Questa strada, che, partendo da Belvedere , va per S. Agata a S. Sosti, è stata costruita dal 1881 al 1884, a cura dell' Ufficio Tecnico di Cosenza, sono la direzione dell' Ing. Francesco Mastrocinque. 4 La Gola dell’Esaro è percorribile in estate ed è stata consigliata dalla sezione del CAI Castrovillari come un tratto del Sentiero Italia proveniente dal Passo dello Scalone. e l'ameno paesello S. Agata che, illuminato dai raggi del sole, brillava sopra un'ampia piattaforma, allo shocco della valle. L’ascensione prosegue con molta fatica perché ormai non vi è più traccia di sentiero e i faggi folti rendono il bosco ancora più fitto. Ogni tanto, quando i faggi lo permettevano, apparivano le grandi pareti di roccia della cima della Montea. Vetta che Campanile riporta come Il Telegrafo, così come riferisce l’accompagnatore Gervasio, il quale racconta della costruzione di un sentiero per un ingegnere dell’Istituto Geografico che nel 1872 si recò in cima. Da quell’anno solo lui e un certo Antonio percorrevano ogni tanto quella traccia. Ecco perché non era ben evidente. La descrizione del percorso continua con molta cura tra i particolari del luogo e le riflessioni sull’accompagnatore. Alle 16.50 raggiunsero la vetta o meglio il segnale trigonometrico della Punta Melàra. Hourrà! gridai per tre volte, mentre il vento, con fracasso assordante, sperdeva completamente la mia voce. Siamo sul punto più alto della Calabria (1), disse il forte Gervasio. Oh quanto desideravo in quei momenti che le nuvole mi avessero permesso, almeno per un istante, vedere la Mula ed il Cozzo Pellegrino! Ma a noi non era concesso rimanere lassù che pochi momenti e, lasciata una carta da visita, fra le pietre del segnale, dopo 5 minuti cominciammo la discesa per la medesima via. Fatti alquanto più arditi per la conoscenza del bastione, dopo un'ora ci trovammo al colle Oliverio. Entrati nel vallone della Melàra, alle 19,25 ci trovammo all'Acqua della Marozza, e, percorso rapidamente il bosco, in meno di 30 minuti, scendemmo la Scala del Faitiello nella più completa oscurità. Alle 20,40 fummo ai piedi della Scala, ed alle 21,50, accolti con festa da Antonio, entrammo nello stazzo. Una tazza di brodo Liebig ed un pezzo di rosbif mi ti sforarono alquanto, e, quando mi adagiai sulla paglia, in voce 1 dormire, pensai alle peripezie di quella giornata. Io era soddisfatto della mia gita, ma dolente solo d'ignorare, se la vetta più alta della Calabria sia la Punta Melàra o il Cozzo Pellegrino. Il giorno seguente, in 4 ore, scesi a S. Agata in Esaro, Questa in breve l’avventura sulla Montea raccontata in modo epico dal professore Vincenzo Campanile della Regia Università di Napoli, “valente alpinista”, esploratore e attento osservatore di luoghi, uomini, animali e cose. Ricordo che molto tempo dopo – credo nel 1997 – io, Carmelo Pizzuti e Luigi Gramigna ripercorremmo questo itinerario in invernale con la variante della discesa a Sant’Agata d’Esaro attraverso la Fontana Cornia. Dalla lettura di questo episodio e dalla mia modesta esperienza di camminatore su centinaia di sentieri di tutta Italia mi è venuta in mente l’idea di proporre la costituzione di una Commissione per l’intitolazione di alcuni percorsi individuati nel Catasto dei Sentieri a questi grandi uomini che hanno svelato il Pollino a noi tutti.

Emanuele Pisarra

NOTE
1 L. Troccoli (a cura di) Due secoli di escursioni sul Pollino, Edizioni Prometeo, Castrovillari, 1993
2 Bollettino della Società Alpinistica Meridionale, Anno VI, 1898, n. 1 . 
3 Anche su questo il Campanile non tralascia di dare informazioni: Questa strada, che, partendo da Belvedere , va per S. Agata a S. Sosti, è stata costruita dal 1881 al 1884, a cura dell' Ufficio Tecnico di Cosenza, sono la direzione dell' Ing. Francesco Mastrocinque
4 La Gola dell’Esaro è percorribile in estate ed è stata consigliata dalla sezione del CAI Castrovillari come un tratto del Sentiero Italia proveniente dal Passo dello Scalone. 

SULLE ORME DI VINCENZO CAMPANILE* Questo articolo è stato pubblicato su PASSAMONTAGNA – maggio 2013 - il periodico della Sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano. 

Un particolare ringraziamento va al carissimo amico Vincenzo Maratea per la consulenza e la pazienza per le lunghe conversazioni telefoniche sulla figura di Vincenzo Campanile, sulla Montea e sui tanti problemi che stanno vivendo le nostre montagne.


lunedì 29 aprile 2013

Chiudono i battenti due riviste storiche di montagna

Una delle ultime copertine di ALP
Qualche anno fa di passaggio a Torino chiesi di poter visitare la redazione di Alp. Dopo una serie di peripezie per raggiungere la sede in via Turati fui accolto con molta disponibilità da alcuni redattori che mi fecero fare il giro della redazione; si percepiva nell’aria e si respirava a pieni polmoni l’entusiasmo con il quale si lavorava ad ogni numero della Rivista. Andai via dalla redazione con rammarico e con un certo magone colto da grande invidia per come si operava in quella redazione. Ma anche con diecine di numeri in omaggio che ora conservo gelosamente nel mio archivio di montagna. Allora la redazione di Via Turati si occupava solo di Alp. Due riviste nate in quella Torino che è stata da sempre vicina alle sue Alpi dove il rapporto con le montagne circostanti la città era molto forte e intenso. Oggi pare che questo “amore” sia completamente scomparso e Torino – forse – non è mai stata così isolata dalle Alpi come oggi.
La Rivista della Montagna nasce nel 1970 come luogo di pubblicazione del materiale raccolto in un Centro di Documentazione Alpina .

La redazione è un vivacissimo laboratorio di idee, che, in un tempo in cui le Alpi non sono ancora “terra” completamente divulgata, partoriscono distinti articoli sulla cultura e l’economia alpina ed ammirevoli monografie escursionistiche, alpinistiche e sci-alpinistiche.

Il direttore è Piero Dematteis e la Rivista annovera firme prestigiose come Paolo Gobetti, Marziano Di Maio, Gian Piero Motti; successivamente entrano Alberto Rosso e Giorgio Daidola.
La copertine di uno degli ultmi
numeri della RdM
Già dal primo numero si vede che il periodico non si occupa di soli alpinisti che piantano chiodi e si arrampicano su pareti di roccia impossibili e difficili. Ci sono alcune donne che portano il fieno con sullo sfondo alcune montagne piemontesi. Come dire che la montagna non è fatta per soli alpinisti ma racconta anche di popoli che vivono giorno per giorno le stagioni.
Alp invece nasce nel 1985, fondata da Enrico Camanni con Furio Chiaretta, con la collaborazione fondamentale di Giorgio Vivalda e la sua giovane casa editrice, sulla scia dell’arrampicata sportiva e delle denuncie ambientaliste.

Una rivista che parla non solo di alpinismo ma dei fatti e dei problemi riguardanti la montagna con i più moderni strumenti della comunicazione: splendide immagini e grandi servizi legati ai problemi del territorio e dell’ambiente alpino, lo sfruttamento turistico, il degrado, la salvaguardia, le politiche dei parchi.
La rivista è sempre al pari coi tempi e si trasforma più volte sotto la guida di vari direttori come Marco Albino Ferrari e Linda Scottino e Walter Giuliano.
Infine, il Centro di Documentazione Alpina e l’editore Vivalda confluiscono in un’unica casa editrice, proprio per far fronte alla crisi che già si preannuncia nella editoria di montagna, come ultimo tentativo di rilancio ma non ci sono più le condizioni e l’entusiasmo di un tempo.
Alp chiude i battenti con il 288 numero in edicola proprio in questo mese di aprile.
Emanuele Pisarra