Questo è il quarto anno di inattività invernale come Guida del Parco
del Pollino.
Sembra ormai che la montagna – almeno al meridione – non interessi più.
I paesaggi invernali, forse perché lontanissimi e inaccessibili a causa
della impraticabilità delle vie, di mancanza di rifugi aperti in quota,
rimangono ad appannaggio di pochi fautori e temerari che si avventurano senza
l’aiuto delle Guide. Ecco che passo l’inverno a studiare, informarmi su quello
che accade nel mondo e non solo dal punto di vista ambientale. Per esempio mi
interesso di storia oltre che di geografia. Momentaneamente trasferito al Nord
frequento una delle trentaquattro biblioteche di questa città dove ho a
disposizione milioni di volumi.
Curiosando tra i libri di storia mi imbatto su un testo ormai classico
(Christopher Duggan, La forza del destino – storia d’Italia dal
1796 ad oggi, Laterza editori, 2008), dove lo storico inglese, ancora
una volta dipinge un quadro non lusinghiero dell’Italia, pur tuttavia dicendosi
fiducioso che il nostro paese ce la farà ad uscire da questa impasse
politico-istituzionale.
E non lo dice solo lui ma cita Francesco de
Sanctis, il quale ha espresso chiaramente qual era il compito principale dei
suoi connazionali, se volevano sconfiggere i gravi problemi politici ed
economici che travagliavano il Paese: superare la vecchia mentalità e i vecchi
condizionamenti per identificarsi completamente nello Stato italiano: «hoc
opus, hic labor» («questa è la difficoltà, quest’è l’impegno»). Fattore
necessario, sosteneva De Sanctis, era una leadership ispirata e persuasiva.
Tanta acqua è passata sotto i ponti negli ultimi 150 anni, ma il monito di De
Sanctis non ha perso nulla della sua attualità.
Infatti, stiamo
a discutere da mesi di quale sistema elettorale bisogna dotarsi per essere “più
democratici” nel senso esteso del temine.
Ma tutto questo
discutere non basta se poi non segue una decisione verso un modello piuttosto
che un altro.
Forse entro fine
gennaio avremo la nuova legge elettorale e poi?
Si va a votare a
maggio oppure a primavera dell’anno prossimo?
In entrambi i
casi ho l’impressione che tutto questo can can su quale sistema elettorale sia
più adatto serva a distogliere l’attenzione dai mille problemi che
quotidianamente attanagliano gli italiani. Soprattutto a quale modello di
sviluppo bisogna affidarsi per uscire da questo intoppo economico oltre che
morale ed esistenziale.
In un'unica
parola: cosa fare da grandi.
Eppure lo stesso
storico inglese sostiene che l’Italia ha tutte le potenzialità per superare
qualsiasi difficoltà, visto che negli ultimi 150 anni di passi in avanti se ne
sono fatti eccome.
Anche nel
recente passato in Parlamento si litigava, si discuteva su quale legge
elettorale fosse ideale per garantire la stabilità del governo, sul divario
Nord-Sud e tanto altro.
Saliva la rabbia
popolare, abbiamo avuto il terrorismo, i movimenti di protesta che spesso hanno
raccolto e cavalcato questi momenti di tensione.
E tanto altro ancora.
In questo marasma da Repubblica delle Banane, ovviamente, le Aree
Protette, i Parchi nazionali non sono scevri da questi dai venti di crisi di
identità.
Anche in questo settore ci si pone la famosa domanda di cosa si vuol
fare da grandi.
Uno degli ultimi governi (quello presieduto dal prof Monti) aveva
deciso di prolungare la vita degli Enti gestori in scadenza fino a tutto il
2013 in attesa dell’ennesima riforma della legge sui parchi nella parte
riguardante il numero degli eletti.
La bozza D’Alì (dal nome del primo firmatario) nel frattempo decaduta e
poi subito ripresa dal nuovo parlamento dopo le ultime elezioni langue in
qualche cassetto del Governo dopo che ebbe il voto favorevole dall’aula per una
corsia preferenziale, come se la necessità di una modifica fosse imbellente per
il funzionamento o meno degli enti di gestione.
Il risultato è che tutti i parchi nazionali italiani da qualche giorno
sono senza Consiglio e quindi di fatto vi è una paralisi istituzionale e
l’intera gestione ricade sulle spalle del solo presidente di turno che deve
affrontare mille problemi di diversa natura che hanno poco a che fare con la …
natura.
Ecco che sul Pollino, per esempio, bisogna prendere una decisione
definitiva sulla questione Centrale del Mercure, sulla situazione esplosiva dei
cinghiali, e tanti altri problemi.
Pare completamente fallita la mission del parco come motore
propulsivo di un nuovo sviluppo ecosostenibile dove alcuni paletti fossero
chiari e non discutibili. Mi riferisco alla caccia di fatto ammessa all’interno
delle aree protette, con la scusa del prelievo selettivo di specie dannose (sul
Pollino il cinghiale; sullo Stelvio, l’alce; sul Gran Paradiso, lo stambecco),
alla mancanza di un piano del Parco, da tutti elaborato a suon di milioni di
euro ma di fatto giacente in qualche tiretto del Ministero dell’Ambiente,
nonostante la minaccia contenuta nella legge attuativa che dava come termine
ultimo di sei mesi per dotarsi di uno strumento di gestione e sono passati
semplicemente “solo” vent’anni.
Di questo passo i Parchi nazionali verranno a declassati a semplici
Comunità Montane un po’ più allargate con a capo un funzionario e buonanotte al
secchio.
Questo sarebbe un trauma profondo per il territorio e per quanti di noi
hanno speso una vita a combattere contro questa emergenza piuttosto che
un’altra.
Per superare un profondo trauma, gli
psicologi suggeriscono di seguire un percorso che passa attraverso la
negazione, la depressione e la rabbia.
Siamo nella fase della depressione, nel
disinteresse generale che può sfociare in rabbia e la storia ci insegna che le
conseguenze di questo ultimo stato possono essere assai pericolose per l’ambiente
ma anche per l’uomo che vi abita.
“Per far cessare il lungo ciclo ripetitivo
della politica italiana, per placare la rabbia popolare, e per raccogliere e
incanalare efficacemente le straordinarie riserve di energie creative di questo
Paese, - ricorda lo storico inglese -
l’Italia deve trovare la forza di riconoscere e accettare la realtà. Non in
modo disfattista e passivo, ma nello spirito di impegno e di responsabilità
collettiva. Solo così si potranno gettare le basi per la rinascita nazionale”.
E per far questo
occorrerà una leadership illuminata e lungimirante. Non solo in campo politico
ma anche in uomini capaci di gestire questo immenso patrimonio naturale che il
nostro Paese ha - insieme con i beni culturali - che tutto il mondo ci invidia.
Per questo
auspico che il ministro dell’ambiente che si accinge a fare le nomine dei nuovi
consigli direttivi e visto che non può più reincaricare gli uscenti, a causa
del vincolo dei due mandati, venga illuminato dallo Spirito Santo della buona
partica e dia l’incarico a uomini lungimiranti e illuminati.
Accadrà mai?
Emanuele Pisarra
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