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Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 17 maggio 2013

Sulle orme di Vincenzo Campanile

In una regione come la Calabria (e la Basilicata) e in particolare sul “nostro” Pollino da sempre crocevia di popolazioni sarebbe interessante raccogliere queste tracce prima che scompaiano del tutto.
 « Per dieci minuti rimasi ad ammirare quel selvaggio luogo e le pareti delle tre vette del Monte Farmaco (forse Montea), specialmente quella della Pietra Berciata, che imponenti si presentano al mio sguardo […]. Ogni altra parete, di tutta la superficie della montagna, è verticale, è molte di esse sono solcati da piccoli canali, vie che i sassi, cadendo dall’alto, percorrono, con poca sicurezza per l’alpinista. »
(V. Campanile) Nel mio continuo peregrinare per i Monti d’Italia ho sempre riscontrato come in quasi tutti i luoghi ci sia un sentiero, un percorso, una traccia intitolata a qualcuno. Qualche tempo fa feci un piccolo tratto dell’itinerario intitolato a Papa Giovanni Paolo II sul Gran Sasso. Nell’arco alpino questa consuetudine è norma. Ma anche negli Appennini non si sfugge alla regola. Questa regola non scritta è una testimonianza oltre che un tassello nella memoria storica locale. I nomi delle cose riferiscono spesso importanti documentazioni del passato ed i nomi di luogo, in particolare, conservano le tracce delle civiltà che in quella località si sono date il cambio. Spesso in questi luoghi quasi inaccessibili si avventuravano studiosi, viaggiatori, scienziati per studiare, dipingere, raccogliere piante, paesaggi, sensazioni e darsi degli auspici per le popolazioni che lì vi abitano.
Questo ”database” vuol dire conservare memoria di quelle civiltà e delle loro culture, proprio in un epoca come la nostra distinta da trasformazioni così profonde e violente da provocare l’abbandono di abitudini di vita secolari e di parlate tradizionali .
Raccogliere per conservare. Non solo di toponimi o di oronimi , ma anche di uomini che hanno speso parte della loro vita per andare per lochi , per dirla con Leonardo da Vinci, che si sono sobbarcati in lunghi e faticosi viaggi in luoghi sconosciuti con carte topografiche approssimative e con la consulenza di uomini del posto di profonde conoscenze ma molto limitate negli spazi.

Tanto più che nella civiltà dell’immagine in cui viviamo queste esperienze si possono “vendere” per migliorare e qualificare il turismo escursionistico nell’ottica di camminare e ripercorrere un sentiero dove vi ha messo piede il tal personaggio in tali circostanze. Un po’ ricalca il motto del CAI : camminare per conoscere e conoscere per tutelare, con la speranze che anche le generazioni che verranno dopo di noi ripercorreranno questi sentieri nella continuità della memoria. Auspico che il CAI insieme con gli Enti preposti crei una apposita commissione per “dare un nome” ad un sentiero e legarlo ad un personaggio.
In occasione del 150° della fondazione del Club Alpino Italiano che ricorre proprio in quest’anno ho pensato bene di portare un primo contributo. Peraltro già raccolto su un libro1
La Sezione di Napoli fu una delle prime del Club Alpino. Appena 8 anni dopo la fondazione del Club Alpino Italiano (23 ottobre 1863), veniva costituita la "Succursale" (come si definivano allora) del Club a Napoli. Era il 22 gennaio 1871, e quella di Napoli era in assoluto la settima sezione del CAI (dopo la costituzione di Torino, erano già state aperte le sezioni di Aosta, Varallo Sesia, Agordo, Firenze e Domodossola). che le Edizioni Prometeo pubblicò qualche anno fa. È il caso di Vincenzo Campanile, napoletano, professore, alpinista , fondatore della Società Alpinistica Meridionale che poi confluì nella sezione del CAI di Napoli.
Una sezione che si distingueva per i propri aspetti scientifici più che alpinistici veri e propri.
Da qui la scissione ad opera di Campanile.
E proprio grazie a questa visione esplorativa del territorio; ricordiamo che tutto il meridione d’Italia era ad appannaggio della sua capitale Napoli. Per cui chiunque volesse esplorare o fare semplicemente un viaggio tra i monti di queste regioni era consuetudine che si rivolgesse alla sezione CAI di Napoli. Per fortuna che il resoconto di queste “esplorazioni” sono state pubblicate sugli annali del Sodalizio e su appositi bollettini che oggi possiamo prendere in esame.
Un resoconto di un viaggio di Campanile, uno dei tanti, poiché lui venne molte volte sul Pollino e vi camminò in lungo e in largo in quasi tutto il Massiccio, riguarda una “via” estremamente bella e interessante anche se un po’ faticosa e non priva di pericoli oggettivi come cadute di pietre e qualche problema di orientamento, la Punta Melàra o il Telegrafo pubblicata sul Bollettino della Società Alpinistica Meridionale.
La Punta Melàra o Telegrafo coincide con la Montea di oggi. Ecco come Vincenzo Campanile racconta quel viaggio avventuroso che da Napoli lo portò prima in treno fino a Belvedere Marittimo e poi sulla Montea. Il 10 Agosto ultimo (1898 n.d.r.), col diretto delle 7,40 partii da Napoli. Giunto a Battipaglia alle 10, lasciai quel treno, che continua per Potenza, Metaponto e Brindisi, e presi posto nell'altro, che percorre la nuova linea sul versante tirreno, fino a Reggio Calabria. Alle ore 16' scesi alla stazione di Belvedere marittimo, ove fui ricevuto dal signor Giuseppe Pugliese, che mi ospitò in una sua palazzina, presso la spiaggia. Alle ore 5 del giorno 11 Agosto, partii da Belvedere, accompagnato da un montanaro, a nome Gervasio. Sale alla volta del passo dello Scalone verso Sant’Agata d’Esaro descrivendo in modo mirabile – per le conoscenze del tempo – l’intero gruppo montuoso che circonda Belvedere Marittimo e percorrendo “poco comode scorciatoie” giunge al Passo dello Scalone.


Ancora Campanile … una gola angusta, tra lo dirute pareti del bastione, che sostiene la Punta Melàra a sinistra, e la falda settentrionale, tutta a faggi, del Cozzo Sangineto a destra. In fondo alla gola, silenzioso, corre l’Ésaro. Su quest'ultima falda è tagliata dalla strada carrozzabile 3
A questo punto lasciata la “statale” Vincenzo Campanile e il suo accompagnatore Gervasio cominciarono a salire procedendo in silenzio per il rispetto dei luoghi, almeno fino a quando … le voci allegre di alcune montanine, che scendevano, cariche di legna e con passo celere, vennero a dare la nota gaia in quel luogo misterioso. Poco dopo lessi sul loro volto la meraviglia, da cui furono comprese, incontrando lassù, forse per la prima volta nella vita, un uomo diverso dai pastori a loro familiari. Si ritrassero con rispetto per lasciarmi libero il passo, io le salutai, ma solo alcune ebbero il coraggio di rispondere al saluto! Mi volsi per poco, e le vidi correre sul pendio, mentre l'occhio ammirava il grandioso quadro della gola dell'Esaro che scende a Sant’Agata.
Anche su questo il Campanile non tralascia di dare informazioni: Questa strada, che, partendo da Belvedere , va per S. Agata a S. Sosti, è stata costruita dal 1881 al 1884, a cura dell' Ufficio Tecnico di Cosenza, sono la direzione dell' Ing. Francesco Mastrocinque. 4 La Gola dell’Esaro è percorribile in estate ed è stata consigliata dalla sezione del CAI Castrovillari come un tratto del Sentiero Italia proveniente dal Passo dello Scalone. e l'ameno paesello S. Agata che, illuminato dai raggi del sole, brillava sopra un'ampia piattaforma, allo shocco della valle. L’ascensione prosegue con molta fatica perché ormai non vi è più traccia di sentiero e i faggi folti rendono il bosco ancora più fitto. Ogni tanto, quando i faggi lo permettevano, apparivano le grandi pareti di roccia della cima della Montea. Vetta che Campanile riporta come Il Telegrafo, così come riferisce l’accompagnatore Gervasio, il quale racconta della costruzione di un sentiero per un ingegnere dell’Istituto Geografico che nel 1872 si recò in cima. Da quell’anno solo lui e un certo Antonio percorrevano ogni tanto quella traccia. Ecco perché non era ben evidente. La descrizione del percorso continua con molta cura tra i particolari del luogo e le riflessioni sull’accompagnatore. Alle 16.50 raggiunsero la vetta o meglio il segnale trigonometrico della Punta Melàra. Hourrà! gridai per tre volte, mentre il vento, con fracasso assordante, sperdeva completamente la mia voce. Siamo sul punto più alto della Calabria (1), disse il forte Gervasio. Oh quanto desideravo in quei momenti che le nuvole mi avessero permesso, almeno per un istante, vedere la Mula ed il Cozzo Pellegrino! Ma a noi non era concesso rimanere lassù che pochi momenti e, lasciata una carta da visita, fra le pietre del segnale, dopo 5 minuti cominciammo la discesa per la medesima via. Fatti alquanto più arditi per la conoscenza del bastione, dopo un'ora ci trovammo al colle Oliverio. Entrati nel vallone della Melàra, alle 19,25 ci trovammo all'Acqua della Marozza, e, percorso rapidamente il bosco, in meno di 30 minuti, scendemmo la Scala del Faitiello nella più completa oscurità. Alle 20,40 fummo ai piedi della Scala, ed alle 21,50, accolti con festa da Antonio, entrammo nello stazzo. Una tazza di brodo Liebig ed un pezzo di rosbif mi ti sforarono alquanto, e, quando mi adagiai sulla paglia, in voce 1 dormire, pensai alle peripezie di quella giornata. Io era soddisfatto della mia gita, ma dolente solo d'ignorare, se la vetta più alta della Calabria sia la Punta Melàra o il Cozzo Pellegrino. Il giorno seguente, in 4 ore, scesi a S. Agata in Esaro, Questa in breve l’avventura sulla Montea raccontata in modo epico dal professore Vincenzo Campanile della Regia Università di Napoli, “valente alpinista”, esploratore e attento osservatore di luoghi, uomini, animali e cose. Ricordo che molto tempo dopo – credo nel 1997 – io, Carmelo Pizzuti e Luigi Gramigna ripercorremmo questo itinerario in invernale con la variante della discesa a Sant’Agata d’Esaro attraverso la Fontana Cornia. Dalla lettura di questo episodio e dalla mia modesta esperienza di camminatore su centinaia di sentieri di tutta Italia mi è venuta in mente l’idea di proporre la costituzione di una Commissione per l’intitolazione di alcuni percorsi individuati nel Catasto dei Sentieri a questi grandi uomini che hanno svelato il Pollino a noi tutti.

Emanuele Pisarra

NOTE
1 L. Troccoli (a cura di) Due secoli di escursioni sul Pollino, Edizioni Prometeo, Castrovillari, 1993
2 Bollettino della Società Alpinistica Meridionale, Anno VI, 1898, n. 1 . 
3 Anche su questo il Campanile non tralascia di dare informazioni: Questa strada, che, partendo da Belvedere , va per S. Agata a S. Sosti, è stata costruita dal 1881 al 1884, a cura dell' Ufficio Tecnico di Cosenza, sono la direzione dell' Ing. Francesco Mastrocinque
4 La Gola dell’Esaro è percorribile in estate ed è stata consigliata dalla sezione del CAI Castrovillari come un tratto del Sentiero Italia proveniente dal Passo dello Scalone. 

SULLE ORME DI VINCENZO CAMPANILE* Questo articolo è stato pubblicato su PASSAMONTAGNA – maggio 2013 - il periodico della Sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano. 

Un particolare ringraziamento va al carissimo amico Vincenzo Maratea per la consulenza e la pazienza per le lunghe conversazioni telefoniche sulla figura di Vincenzo Campanile, sulla Montea e sui tanti problemi che stanno vivendo le nostre montagne.


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