Si
sono appena concluse, a Civita, le riprese cinematografiche per una serie
televisiva americana.
Per
diversi giorni il paese è stato un brulichio di tecnici, cameramen, automezzi,
attori e tantissime comparse.
Quando
una troupe televisiva giunge in un luogo dà adito ad almeno tre questioni sulle
quali voglio riflettere facendo anche un po’ il punto della situazione
civitese.
La
prima.
Dal
momento in cui centinaia di persone all’improvviso “invadono” un paese piccolo
come il nostro, con gli spazi limitati che tutti ben conosciamo, è ovvio che si
acuiscano tutta una serie di disagi che sono anche conseguenza di una scarsa,
per non dire nulla, organizzazione.
E
fin qui, nulla di nuovo.
Ormai
da anni siamo abituati alle file di autobus che quotidianamente costeggiano la
strada dalla piazza fino a San Leonardo, ma nessuno si dà pensiero del fatto che
bisogna trovare spazi opportuni da adibire a parcheggio.
Si
parla da anni dell’abbattimento di quelle catapecchie all’ingresso del paese,
salvo poi autorizzare il loro restauro. Eppure questi sono gli spazi comuni che
abbiamo, senza interventi massicci di sbancamento per crearne dei nuovi.
Nessun
sindaco, fra quelli succedutesi negli ultimi vent’anni, ha avuto il coraggio di
agire in questa direzione.
Una immagine del Parcheggio di Belluno con il fiume Piave. |
Quale
potrebbe essere una soluzione?
Visto
che a calcio non si gioca più da anni (per mancanza di calciatori,
naturalmente!) perché non realizzare un parcheggio là dove c’è il campo di
calcio e collegarlo con il paese per esempio, con una scala mobile?
In
tantissime città turistiche italiane il problema “parcheggio” è stato appianato
con soluzioni drastiche: basta andare a Loreto oppure a Belluno, dove è stato
perfino deviato il fiume Piave per ricavarne il mega parcheggio di di Lambioi
con migliaia di posti collegati con una scala mobile che sbuca nell’androne di
uno dei più importanti palazzi della città.
Così
come bisogna assolutamente regolamentare l’accesso alle Gole del Raganello, con
spogliatoi e la creazione di aree di sosta pubblica per tutti coloro che
vogliono recarsi al Ponte del Diavolo, senza interferire con la vita dei
civitesi.
La
seconda questione
Da
anni si assiste al continuo “via vai” di giovani (e meno giovani) che girano
per la piazza in costume da bagno, si cambiano dietro una macchina parcheggiata
in modo sbilenco, con la conseguenza che invece di riparare dagli sguardi “lo
spogliarello”, si rende ancora più visibile la scena.
La
mancanza di una Guardia municipale che tenga a bada il traffico nelle ore di
punta, in estate, di sabato e di domenica è avvertita da tutti. E non perché il
Comandante Tursi non faccia bene il suo lavoro! Ha pur diritto a turni di
riposo e alle sue ferie. Ma nei tempi di questa “vacatio” non c’è nessuno che lo possa sostituire, si creano così in
quei momenti le situazioni di maggior caos. Anche perché, essendoci due ristoranti
che si affacciano sulla piazza, per alcuni clienti è normale giungere in
macchina fin nei pressi delle soglie per accedere alle sale da pranzo.
Basterebbe
destinare ad area parcheggio il bordo lungo il vialone d’ingresso del paese per
evitare che, nelle serate di un qualsiasi fine settimana e nelle giornate dei
tempi di vacanza, la piazza sia gremita dalle tante auto parcheggiate a
casaccio.
In
tanti posti d’Italia nei luoghi dove sorgono strutture recettive in cui si mangia,
si trova la disponibilità di parcheggi a qualche centinaio di metri.
Per
noi, no: dobbiamo parcheggiare quanto più possibile vicino alla porta del
ristorante.
Civita
con i suoi spazi non permette ciò. Ed è sicuramente un bene, poiché i lauti
pranzi che i nostri bravi ristoratori sanno imbandire, “necessitano” di una
sana passeggiata post prandium.
Un semplice cartello di avviso (foto di E. Pisarra) |
Con
l’istituzione della navetta che porta al Ponte del Diavolo, è stato fornito sì
un servizio per tutti coloro che non possano, o non vogliano, recarsi a piedi
fin lì. Tuttavia, coloro che invece hanno il desiderio di fare una passeggiata
per raggiungerlo, spesso sono superati in salita o in discesa dal “Camion di
Gheddafi” che “sgasa” a più non posso per arrancare su quella stradina che si è
rivelata inadeguata e questo tipo di trasporto; con la conseguenza che il selciato
è pieno di buche, non c’è un parapetto a protezione in caso di necessità, con
seri pericoli per chi usufruisce di questo servizio. Se a questo poi
aggiungiamo che quel percorso è aperto a tutti, lascio immaginare al lettore il
“traffico” per nulla piacevole che un qualsiasi visitatore si trova di fronte. Il
tratto che porta al Ponte del Diavolo è un bellissimo percorso: forse un po’
faticoso, soprattutto d’estate; ma rimane comunque una passeggiata ricca di
emozioni intense che si ricorderanno per tutta la vita.
Eppure
anche in questo caso, non c’è alcuna regolamentazione all’accesso al Ponte del
Diavolo con le auto. Chiunque si può improvvisare accompagnatore e portare con
la propria auto amici, parenti e ospiti fino alla piazzetta antistante il
Ponte.
Altra
questione. Le capannine di legno, i cestini posizionati in vari punti, che non
vengono con frequenza svuotati, traboccano di immondizie varie (non ci sono
indicazioni per la raccolta differenziata) sono la gioia di cani, gatti e altri
animali randagi che approfittano dei resti di cibo per spargere tutto quel che
non è commestibile per la valle.
Anche
in questo caso è necessaria una nuova politica: nessun cestino ma tanti
cartelli che invitano i visitatori a riportare indietro i propri rifiuti: è la
norma che a San Lorenzo Bellizzi fu inaugurata nel lontano 1982 e che dà ottimi
risultati.
Un
quesito importante: nel Raganello si può fare il bagno, lungo le sue rive si
può prendere il sole, si può fare colazione tra i sassi, si può ascoltare la
radio ad alto volume, si può schiamazzare?
E
a chi è demandato il controllo del luogo?
Con
la sciagurata riforma Madia, che ha distrutto il Corpo Forestale dello Stato,
la tutela della natura a chi spetta?
La
discesa delle Gole del Raganello, quest’anno – anche per le ottime condizioni
metereologiche – ha richiamato migliaia di persone, forse più degli anni
passati, ma la comunità quali benefici ne ha avuto?
Il
marketing turistico, insegna come, affinché una località possa godere di
benefici dall’ospite che si reca in quei luoghi per visitarli, sia necessario che
la permanenza non sia inferiore alle ventiquattro ore. Invece gli escursionisti,
che si avventurano nelle nostre Gole, permangono a Civita – salvo piccole e
lodevoli eccezioni - lo stretto necessario per effettuare la loro avventura e
vanno via. Così registriamo come la piazzetta al mattino sia invasa da orde di
giovanotti intabarrati in mute, in fila indiana, schiamazzanti e gioiosi,
pronti a cimentarsi nella loro piccola fatica.
A
questi aggiungiamo i tanti automobilisti che chiedono dove sia il Ponte del
Diavolo, dato che la segnaletica turistica, fatta eccezione per le piccole
insegne in legno e per lo più illeggibili, non esiste.
Per
tutte costoro, perché non pensare di creare una “corsia preferenziale” di
accesso al Raganello, per esempio, sistemando la pista forestale lungo il
fiume?
Otterremmo
due risultati: eliminare tutto questo traffico dalla piazzetta e convogliare
direttamente quanti sono interessati al solo Raganello e non anche alle altre
tante cose che il nostro paese e la nostra comunità offrono.
Coloro
che poi desiderano o hanno in programma di pranzare in uno dei ristoranti del
paese e di visitare anche l’abitato non avranno difficoltà a salire al centro
storico.
Terza
questione
Abbiamo
smarrito l’obiettivo di sostenibilità del turismo a Civita? diamine, siamo o no
all’interno di un Parco nazionale, dove la natura – dicono i pochi cartelli in
giro – è protetta?
Noi
di Civita siamo stati certamente tra i primi paesi del Parco a realizzare un
sentiero attrezzato, ma oggi è in completo abbandono. Ne abbiamo fatto un
secondo. E poi un terzo: stessa sorte. Tutto perché, non avendo le idee chiare
su cosa si volesse raggiungere nel futuro, si è lavorato in vista dell’immediato
senza una programmazione organica e lungimirante un po’ alla romanesca “dove
cojo cojo” che sintetizza la mancanza, di un idea di sviluppo, con, in questo
caso, una rete sentieristica organizzata e integrata (e non la realizzazione di
tanti sentieri singoli a sé stanti come tanti vicoli ciechi), in modo tale che
un visitatore giungendo in piazza, abbia la possibilità di acquistare una mappa
del territorio e decidere cosa fare e come impiegare il proprio tempo.
Esiste
un ufficio privato che espone i cartelli della “ProLoco” ma apre quando fa
comodo ai proprietari, eppure espone il logo di una organizzazione che, come
dice la parola stessa, lavora per il luogo, per la comunità.
Qualcuno
ha chiesto ai proprietari di rimuovere questo cartello oppure di stipulare una
convenzione con l’Amministrazione comunale e usare questa struttura come punto
di informazione al pubblico con orari di apertura stabiliti?
Una
signora venuta dal Giappone, poco dopo Pasqua, è stata per ore in attesa
dell’apertura per avere informazioni sulle attività che si possono fare in
paese. Per sua fortuna, e poi anche mia, è passato “zio Antonio” che si è
offerto di farle fare un giro turistico, accompagnandola fino al Belvedere
“Norman Douglas”.
Di
fronte alla richiesta di voler vedere altro, “zio Antonio” è stato così
gentile da darle il mio recapito telefonico e così sono venuto a sapere
dell’accoglienza che di fatto Civita le aveva riservato.
Nonostante
tutto il movimento “turistico” sviluppatosi nel corso degli anni a Civita, a
nessuno è venuto in mente di frequentare un corso per accompagnatori turistici,
guide e simili figure.
Perché
la tipologia dei turisti è molto variegata: associazioni di volontariato, delle
Pro Loco, delle gite scolastiche, della “terza età” e altre.
Nessuno
di Civita ha superato la selezione all’ultimo bando emanato dall’Ente Parco del
Pollino per partecipare al corso di Guida Ufficiale con il risultato che gli
accompagnatori sul nostro territorio o vengono da altri paesi o si trovano tra
le fila del Soccorso Alpino. [Ma questi, se sono soccorritori perché fanno gli
accompagnatori?] Quando i ruoli si confondono spesso si creano incidenti di
percorso, in molti casi gravi, da indurre le autorità a prendere severi
provvedimenti che sicuramente non saranno indolori per la comunità.
Da
anni sostengo che abbiamo la necessità di trovare alcuni giovani valenti che
frequentino un corso di guida alpina (di quelli che vengono realizzati sulle
Alpi ma anche sul Gran Sasso) perché la normativa dice che solo queste
figure possono accompagnare i visitatori senza difficoltà e in qualsiasi luogo.
Si
potrebbe lanciare una “manifestazione di interesse” presso il nostro ente Parco,
chiedendo anche di poter usufruire di agevolazioni per sostenere i costi della
formazione fuori regione.
A
questa formazione, alta e specifica per quanto riguarda l’escursionismo
“spinto” riservato ad una tipologia di utenti particolari, avevamo pensato,
agli albori del turismo civitese, quando realizzammo nel 1990 la prima
conferenza stampa con giornalisti di testate specialistiche anche straniere,
registrando notevole interesse e grandi risultati: se oggi molti indirizzi
civitesi appaiono su guide tedesche, cataloghi di agenzie turistiche, siti
olandesi e inglesi, in gran parte è dovuto a questo lavoro silenzioso e, spesso
deriso, di quei pochi pionieri che, a partire da quella conferenza, si sono
impegnati per anni in questa direzione.
Da
questo movimento sono nati musei, ecomusei, belvederi, punti panoramici,
percorsi turistici, strutture ricettive, ristoranti, negozi di prodotti tipici,
negozi di souvenir e pubblicazioni sul territorio.
Questo
è stato l’inizio!
Oggi
di fronte a un nome da spendere, un progetto da vendere, un idea di sviluppo da
perseguire, sembra proprio che abbiamo smarrito la via.
In
nome di cosa? Di un turismo “mordi e fuggi” di entrate effimere, della serie
“pochi e subito”, senza renderci conto che così azzeriamo tutto quello che è
stato fatto fino ad ora.
Se
fino a qualche anno fa eravamo abbastanza i soli ad offrire ai turisti le
nostre ricchezze, oggi si registra una buona concorrenza dai paesi del
circondario: in molti si stanno attrezzando nell’offrire qualcosa e, potenzialmente,
sono tutti nostri concorrenti.
Perciò
è necessario caratterizzare la nostra offerta per mantenere quel quid di
unicità e specificità.
Il
rischio che corriamo è di entrare in un tunnel che ha sicuramente un ingresso,
non ha una uscita certa e non si sa a quale distanza e in quanto tempo, se ne
potrà venir fuori.
Proprio
perché profondamente convinto di questo, mi sono permesso di sollevare
dubbi per l’aver dato il permesso di girare in paese alcune scene di un
film che non daranno lustro alla comunità. Civita come set cinematografico
non ne ha ricavato ricchezza per la collettività, se si fa eccezione per coloro
che hanno prestato la propria disponibilità professionale.
Ribadisco
che la comunità ne ha avuto solo fastidi. In cambio di cosa? Per essere citata
nei titoli di coda del film?
Ecco
chi persegue un obiettivo, ha un idea, un progetto, una visione lungimirante
deve avere il coraggio di dire “no grazie: questa cosa non interessa la mia
comunità e addirittura lede i nostri obiettivi”.
Alla
luce di tutto ciò propongo alle autorità che governano il paese e il
territorio, di indire un “tavolo di confronto” per capire quali progettualità
abbiamo e, magari, istituire una apposita indagine socio-economica su come si sia
trasformato il turismo a Civita.
Siamo
un piccolo paese, una comunità fatta per lo più di anziani; la fuga di giovani
è quasi giornaliera; il territorio è piccolo in termini di superficie, ed è
impensabile di poter accogliere migliaia di persone con pressapochismo e superficialità,
senza prima o poi pagarne il dazio.
Condivido quasi tutto
RispondiEliminaA presto
Antonello