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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

mercoledì 15 febbraio 2017

IL Lupo: dall'Operazione San Francesco all'abbattimento

  In questi giorni è in discussione presso la Conferenza Stato-Regioni la nuova bozza del “Piano per la conservazione e gestione del lupo”.
Dalla precedente bozza, dove qualche pseudo illuminato aveva proposto l’abbattimento selettivo di un certo numero di capi all’anno, alla situazione attuale il problema di fondo è rimasto invariato: dove sono le risorse economiche per aiutare e prevenire i conflitti con gli allevatori e bloccare il bracconaggio?
Tutte le norme, quando non sono accompagnate da sanzioni e fondi, sono inutili e dannose.
Giovane lupo (foto dal web)
Argomento delicatissimo e fondamentale è l’intento di porre alcuni paletti tra le attività produttive e la presenza della fauna selvatica.
Il successo dell’ “Operazione San Francesco”, che ha dato avvio nel 1970 al ripopolamento del lupo in Italia e al suo ritorno in quasi tutto l’Appennino, negli stessi anni in cui si registrava il picco dell’abbandono della montagna da parte dell’uomo, ha segnato anche gli scontri tra gli allevatori e il riproporsi di atti di bracconaggio.
Un Piano, senza risorse economiche per l’attuazione delle diverse misure da esso previste, è destinato a fallire com’era già fallito quello emanato nel 2002. A leggerlo nei dettagli la cosa più eclatante di questo nuovo Piano è al Cap. III.7 relativo alle “Deroghe al divieto di rimozione di lupi dall’ambiente naturale”: una vera e propria assurdità sostenuta dalla direttiva “Habitat” dell’Unione Europea che prevede la possibilità di uccidere un certo numero di lupi in aree a forte conflitto con gli allevatori.
Per fortuna in Italia il nostro Ministero dell’Ambiente non si è mai avvalso di questa Direttiva europea perché in molti sono sicuri che questa specie non sia fuori pericolo, giacché si contano ancora oltre un centinaio di esemplari morti per cause non naturali. Invece del problema del randagismo canino, molto più grave, il nuovo Piano in discussione non ne fa alcun cenno limitandosi ad un generico e, non vincolante, criterio sulla valutazione di dati relativi alla “Presenza di cani randagi e vaganti”.
Per cui, se il Piano non trova fondi per un protocollo operativo tra i vari enti per sostenere azioni innovative tese alla riduzione dei danni e applicare metodiche di accertamento e indennizzo, già sperimentate positivamente nelle aree protette attraverso l’esperienza del progetto comunitario “Life Wolfnet” inevitabilmente apre la strada all’abbattimento.

E a farne le spese, come sempre, sarà solo il lupo.





PS
Questo articolo esce in formato cartaceo su PASSAMONTAGNA - Periodico del Club Alpino Italiano - sezione di Castrovillari, numero 1/2017 


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