Nelle mie peregrinazioni per le montagne
italiane incontro sempre meno gente:
non solo escursionisti ma anche i montanari.
Sugli Appennini il problema si mostra da
qualche anno; sulle Alpi, invece, ha origini antiche.
Infatti, a partire dagli anni Sessanta,
con il miraggio delle fabbriche, del lavoro al riparo dalle intemperie e del
reddito sicuro molti montanari sono scesi in pianura.
Ecco, questo problema comincia a essere
registrato con tutta la sua forza anche sulle nostre montagne del Pollino.
Approfittando di un mio soggiorno in
Lombardia ho partecipato a un convegno dal titolo molto eloquente: “Montanari
per forza. Immigrazione straniera nelle montagne italiane: accoglienza
ripopolamento, confino”, tenutosi presso l’Università di Milano Bicocca.
La tematica mi aveva colpito, tanto più perché
l’incontro era stato organizzato dalla gloriosa associazione DISLIVELLI di
Torino che da anni si occupa di montagna e dei problemi connessi allo
spopolamento delle terre alte.
Locandinda dell'evento organizzato
da DISLIVELLI all'Università MilanoBicocca |
Avevo letto con interesse lo speciale di
febbraio della loro omonima rivista di quest’anno, dal titolo “Montanari per
forza” sul tema della presenza di stranieri nelle terre alte.
In questo numero, che consiglio di
leggere (scaricabile qui) si parla di buone
pratiche di inclusione e casi di difficoltà di convivenza tra montanari per
forza e residenti, si affronta il tema delle migrazioni dall'estero come
possibile risorsa per il rilancio di zone montane in crisi demografica, socio-economica
e culturale.
Al convegno Maurizio Dematteis, ha illustrato l’associazione
DISLIVELLI, fondata nel 2009 da un gruppo di ricercatori dell’università di
Torino, il loro sito, dove viene pubblicata in
pdf e scaricabile da chiunque la rivista già citata oltre a un semestrale di
ricerca sulla montagna.
In seguito a numerose sollecitazioni giunte da più
parti di servizi sulla montagna, l’associazione DISLIVELLI ha curato alcune interessanti
ricerche:
1. Vivere a km 0 (2009-2011) I nuovi montanari della
montagna piemontese.
2. IRTA (2012) Inventario della ricerca sulle terre
alte piemontesi.
3. NOVALP (2012-2014) I nuovi montanari nell’arco
alpino italiano: i dati, le persone, le dinamiche e i processi.
Inoltre sono in corso di studio ed elaborazione:
4. INTERMONT
5. I TURISMI SULLE ALPI Come cambiano cultura e offerta
turistica in montagna.
Dopo la presentazione dell’associazione DISLIVELLI è seguito l’intervento
di Andrea Membretti dell’Università di Pavia, sociologo e curatore della
rubrica “montanari per forza” il quale ha cercato di dare una risposta al
quesito: I “montanari per forza”
possono diventare montanari per scelta?
Dopo più di un secolo le statistiche dicono che le terre alte si stanno
ripopolando.
In Italia, dove tra il 2001 e il
2011 quasi la metà dei comuni montani ha registrato una crescita demografica,
questo neo-popolamento si deve fino ad oggi principalmente a flussi di
migrazione interna. Eppure, a inizio 2014 gli stranieri residenti nei 1.749
comuni italiani, il cui territorio è compreso nella Convenzione delle Alpi,
erano quasi 350.000, con un’incidenza lievemente superiore alla media nazionale
e proporzioni spesso oltre il 10% nella popolazione in età da lavoro. Oggi
molti altri potrebbero prendere la strada della montagna nella situazione di
emergenza rifugiati esplosa nel 2015.
Un momento della presentazione di DISLIVELLI |
Questi movimenti sono avvenuti a
causa di disponibilità di alloggi, costo della vita basso, disponibilità di lavoro,
come la pastorizia gestita dagli stranieri o il taglio del bosco: tutto questo
può avere effetti positivi, in quanto importiamo professionalità (per esempio,
esperti di costruzioni di muri a secco), otteniamo un apporto di risorse
economiche e abbiamo cura del territorio.
“Gli immigrati ci sono,
continueranno ad esserci e, probabilmente, i flussi non diminuiranno per il
prossimo mezzo secolo”. Con questo incipit terribile, forse scontato, ha aperto
il suo intervento il sociologo Alessandro Cavalli.
Per certi versi scopre l’acqua
calda, quando afferma che gli esseri umani si sono sempre mossi sul pianeta; a
volta a breve distanze, a volta a medie e lunghe distanze.
Questo fenomeno non si arresterà se
non fra quasi un secolo - secondo i calcoli dei demografi- quando la
popolazione africana aumenterà alla pari di quella europea.
Esibizione del coromoro (Ph. di E. Pisarra) |
“Se pensiamo che nell’arco di pochi
anni la popolazione del pianeta si è più che triplicata – continua Alessandro
Cavalli – la gran parte delle migrazioni sono ancora all’interno dello stesso
continente. Questi sono i primi segnali di grandi spostamenti, nei prossimi
anni, verso altri continenti”.
Infine, coloro che sbarcano sulle
nostre coste provengono in prevalenza dai paesi africani con popolazioni tra
loro molto diverse.
La politica italiana di accoglienza
è quella di:
· rispettare le regole europee: quindi
significa registrarli e che una quota di quanti arrivano da noi è destinata a
restarci. Di conseguenza, bisogna pensare a forme di integrazione permanenti
nel nostro territorio.
· Provvedere a una loro distribuzione sul
territorio. Per questo ci sono aree dove la presenza di migranti potrebbe
essere una vera risorsa.
Ovviamente non si può più
ricostruire l’economia agropastorale che per secoli è rimasta pressoché
immutata e che era appena sufficiente a mantenere una certa popolazione;
tuttavia, l’arrivo e la collocazione di migranti nelle terre alte potrebbe
contribuire a tamponare le falle dell’abbandono delle zone montane che
degradano l’ambiente montano.
Per esempio, il dissesto
idrogeologico richiede braccia di lavoro, recupero di agricoltura montana,
creazione di produzioni agricole in grado di fornire mercati vicini.
Fin qui sembrerebbe tutto semplice e
facile. Tuttavia, se in generale non siamo ancora pronti mentalmente ad
accogliere, tanto più lo sono le popolazioni di montagna che sono anziane e hanno
una radicata chiusura verso l’estraneo.
Per questo bisogna educare la
popolazione locale all’accoglienza e vincere le resistenze dei migranti ad
andare verso le zone alte di montagna…
Invece Andrea Trivero, direttore di PaceFuturo
onlus, ha raccontato le buone pratiche avviate in un piccolo paese come
Pettinengo, in provincia di Biella.
Coinvolgimento della comunità locale che accoglie,
valorizzazione delle risorse locali per ridare dignità all’esperienza lavoro,
attività e servizi rivolti anche alla comunità locale. “Per questo abbiamo
attivato otto laboratori – racconta Trivero – avviato corsi di cantierato,
aperti 20 km di sentieristica, dato lavoro a 30 persone di Pettinengo,
movimentato 70.000 euro al mese.
“Storicamente, nei momenti di crisi sociale,
economica, etico-morale, torna l'interesse per la montagna. Potremmo allora
ripensare oggi, nei modi e nelle forme della contemporaneità, a esperienze
passate che hanno cambiato il volto delle Alpi e accettare la sfida per
l’immediato futuro attraverso la politica, la demografia e la gestione
consapevole di territori alpini”, ha auspicato l’antropologo Annibale
Salsa.
Fin qui la cronaca striminzita e, volutamente, ridotta
dell’incontro all’Università Milano Bicocca.
Le conclusioni.
Logo del gruppo di Cantori COROMORO |
In primo luogo, l’approccio di studio e di necessità
mette in campo sociologi, antropologi, demografi e quant’altro per far fronte
ad un problema gigantesco che non finirà a breve; si studia, si cerca di
capire, si trovano le risorse per affrontare le prime emergenze. Comunque, sono
tutti convinti che il fenomeno durerà a lungo e quindi necessitano soluzioni a
medio e lungo periodo. Questo per quanto riguarda le terre alte sulle Alpi e,
in particolare, in Piemonte.
E sugli Appennini?
Mentre ritornavo in treno, pensavo alla nostra
situazione, in Calabria e nel mio piccolo paese.
Non conosco a fondo le iniziative intraprese nel mio
comune. Vedo molti ragazzi, abbandonati a se stessi, che vagano per la
piazzetta, spesso in tenuta da calciatori, si recano al campo sportivo per una
partita a pallone. E poi?
Poi tornano a bighellonare per il paese e l’ostello
della gioventù dove sono alloggiati in attesa di nuove mete.
La conclusione dell’incontro di Milano è stata affidata alla prestazione
del Coro
Moro, un gruppo di canto a cappella composto da giovani
africani ospitati nelle Valli di Lanzo, in provincia di Torino, che cantano
canzoni tradizionali in dialetto piemontese.
Chissà che un giorno non
avremo anche noi, nel nostro Pollino, un gruppo folk afro-arberesh che canti le
gesta eroiche di Giorgio Castriota Skanderberg….
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