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Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

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venerdì 29 maggio 2020

La Valle del Lao


              Il fiume Lao nasce alle pendici del Cozzo Vocolio poco sotto l’abitato di Viggianello.
Prosegue verso il mar Tirreno, descrivendo una delle più belle valli del Meridione d’Italia, per circa 45 km. Prima di giungervi, attraversa gran parte del territorio di nove paesi, racconta di paesaggi, ambienti, popolazioni, storie, piante e uomini.

Si tratta di un bacino idrografico di circa 609 kmq, composto da due macroaree, ricadenti per 161 Kmq nella provincia di Potenza e per la restante parte in quella di Cosenza; esse interessano i comuni di Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore, Laino Borgo, Laino Castello, Mormanno, Orsomarso, Papasidero, Rotonda, Santa Domenica Talao e Viggianello.
Altri comuni hanno territori che ricadono marginalmente nel bacino del Lao. Essi sono Aieta, Lauria, Morano Calabro, Saracena, Scalea, San Nicola Arcella, Santa Maria del Cedro, Tortora e Verbicaro. 
La Valle del Lao. (Foto Pisarra)
La Valle ha un ‘trascorso’ geologico molto travagliato che si può sintetizzare in tre momenti cardine: una prima fase, da collocarsi in età Tortoriano-Pliocene Inferiore, ha prodotto una serie di pilastri tettonici e di fosse orientate in direzione NW-SE: un secondo evento mediopliocenico, di origine tettonica compressiva, ha causato la formazione di pieghe e faglie; la terza fase, ha avuto come conseguenza la creazione del bacino lacustre della Valle del Mercure, riempito in breve tempo dall’apporto di acqua e detriti provenienti dai monti circostanti ricoperti dai ghiacciai.
La presenza di tale enorme massa d’acqua ha esercitato una forte pressione che ha provocato l’apertura di una via di deflusso, lungo una linea di faglia poco dopo l’abitato di Laino Borgo, e questa ha determinato lo svuotamento del lago e la formazione di un Canyon molto stretto, profondamente incassato e con pareti molto ripide.

Il continuo apporto di acqua dai diversi affluenti provenienti da tutto il gruppo montuoso che circonda il bacino (dalla destra idrografica sono dodici, mentre da sinistra se ne contano ventiquattro), fa sì che il regime di flusso sia abbastanza costante nelle diverse stagioni. Siamo in presenza di una portata media di circa 10 mc/sec che contribuisce a dare al nostro fiume il primato della foce più grande di tutti i corsi d’acqua calabresi[2].

Strabone nella sua Geografia[3], al volume VI, cita un “Golfo del Lao”, insieme con la città omonima - da identificare probabilmente con l’attuale città di Scalea - golfo che potrebbe essere stato un porto naturale usato, come punto di partenza verso le aree interne, dai gruppi di nomadi del tardo paleolitico impegnati a seguire stagionalmente le mandrie di buoi dalle coste del Tirreno al Pollino:  prova ne sarebbero le incisioni di bovidi della Grotta del Romito, nel comune di Papasidero.

Lo stesso percorso[4], che oggi costituisce un ottimo itinerario per un trekking di più giorni,[5]  è stato camminato per molti secoli da monaci basiliani e, nel tratto terminale della fiumara nella zona in cui sorge la piccola chiesa superstite dedicata a Santa Maria, Il Cappelli ha individuato il primo insediamento basiliano che, da una parte precipita a picco sul larghissimo letto del fiume Lao, in cui si muovono lente acque,  e dall’altra sul rapido e cristallino corso dell’Argentino che proprio ai piedi di quella rupe confluisce nel fiume[6]

L’arrivo dei Normanni aveva rimesso in discussione la vita dei monaci.  I nuovi conquistatori, pur molto rispettosi del monachesimo italo-greco, favorirono quello benedettino perché utile a latinizzare il  territorio, anche se ciò nell’immediato non ebbe molta influenza sulla popolazione e il rito bizantino fu conservato per molto altro tempo.
Rimasta sostanzialmente fuori dagli interessi di Federico II, La Valle del Lao ebbe un ruolo importante sotto Angioini e con il loro arrivo, la Valle ebbe un nuovo riassetto con l’insediarsi di nuovi feudatari come, per esempio, la potente famiglia dei Sanseverino, la cui potenza sarebbe cresciuta a tal punto da farli diventare i più temuti feudatari del Regno.

Carta del Bacino del Fiume Lao. (Disegno di Emanuele Pisarra)
Questi territori poi passarono di mano in mano a feudatari che risiedevano lontano  registrando un lungo e inesorabile spopolamento del territorio e un progressivo abbandono di terreni e boschi. Come se non bastasse, la Calabria agli inizi del 1500, cadde in mano agli Spagnoli che aggravarono ulteriormente le già tristi condizioni sociali ed economiche delle popolazioni.
Un ruolo molto importante in tutto l’ampio periodo storico fu a lungo ricoperto da Laino con il suo castello che è da annoverarsi come la  a roccaforte più imponente tra Calabria e Basilicata.

Questo territorio fu colpito anche da una impressionante serie di terremoti, carestie e pestilenze, che accrebbero nelle popolazioni il desiderio di libertà e autonomia  dai soprusi  dei tanto criticati baroni.[7]

Il secolo XVIII è più ricco di mutamenti: finisce la dominazione spagnola, il Viceregno di Napoli dagli Austriaci passa ai Borboni e con loro si hanno i primi tentativi di riforme: vengono aboliti i privilegi nobiliari, inizia il potere della borghesia.
Molti abitanti della Valle del Lao della nobiltà e della borghesia seguono a Napoli regolari corsi di studi,  per lo più ecclesiastici, addottorandosi e ottenendo brillanti affermazioni nelle principali città d’Europa.

Del secolo successivo, la Valle può raccontare la partecipazione alla spedizione dei Mille dei molti suoi abitanti attratti dallo spirito garibaldino,  ma le cui aspettative andarono in gran parte deluse, e il brigantaggio che ebbe un ruolo molto importante e ne tenne l’intera popolazione in scacco per lungo tempo.

Oggi tutte le speranze di riscatto sociale ed economico della sua popolazione residente, che è di 28882 abitanti[8], sono riposte nella valorizzazione del territorio attraverso un uso corretto delle risorse che in gran parte ricadono nel perimetro del Parco nazionale del Pollino.
La Valle del Lao-Mercure oltre che per i segni lasciati dalla storia, merita una visita ‘anche’ per il suo immenso patrimonio naturalistico.

NOTA

Questo articolo è stato pubblicato sul periodico CALABRONE - Anno XIII - aprile 2020



[2] E. Pisarra, Parco nazionale del Pollino/ in cammino nella Valle del Lao, Edizioni Prometeo, Castrovillari, 2015,  p. 12.
[3] Lucio Strabone, Geografia d’Italia, libri V-VI, a cura di F. Trotta,  BUR, Milano, 19964.
[4] Cfr. E. Pisarra,  Nuova Carta Escursionistica del Parco Nazionale del Pollino, Edizioni Prometeo, Castrovillari, 2018.
[5] Cfr. E. Pisarra,  Nuova Carta Escursionistica del Parco Nazionale del Pollino, Edizioni Prometeo, Castrovillari, 2018.
[6] M. Cappelli, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, ed. F.lli Fiorentino, Napoli, 1963, p. 99
[7] G. Galasso, Economia e Società nella Calabria del Cinquecento, Guida Editori, Napoli, 1992, p. 19.
[8] Dati Istat al 31 dicembre 2018.

giovedì 21 agosto 2014

Rotonda e il museo naturalistico-paleontologico del Pollino

È veramente triste e sconsolante, a trent’anni di distanza dalla prima scoperta dell’elefante Antico nella Valle del Mercure, nei pressi di Rotonda vedere l’abbandono in cui si trovano i reperti così faticosamente recuperati in diversi anni di scavi.
Il Museo naturalistico del Pollino è sempre chiuso. Ogni volta bisogna fare i salti mortali per poter vedere i reperti paleontologici che stanno su di un tavolaccio così che se un visitatore non è un esperto non riesce a percepire la grandezza, le dimensioni di questo animale preistorico che ha vissuto nella Valle per diverso tempo.
Eppure come è pomposamente descritto nel cartello, in questo edificio dovevano esserci i numerosi reperti che sono stati scoperti, a partire dal 1979, allorquando il povero Mario Caldarelli, mentre stava preparando un suo appezzamento di terreno per impiantarvi un vigneto, vede apparire, portato in superficie dalle potenti “orecchie” di un aratro gigantesco, degli strani oggetti pietrificati.  
Un grande fermento fu all’origine del ritrovamento.
Furono invitati i migliori specialisti per studiare i reperti, classificarli e dare un nome all’animali preistorico appena rinvenuto.
Il primo fu il professore Ernesto Cravero, paleontologo di fama internazionale, a dare un “nome” ed un “cognome”  a questi strani “oggetti” affioranti dal profondo della terra.
Si tratta -  sentenziò Ernesto Cravero - di un “elephas antiquus italicus” ", vissuto nel Pleistocene medio-superiore (400 mila - 700 mila anni fa) , alto 4 m e lungo 6, zanne comprese; infatti, i femori misurano circa 1,20 m, altre ossa, quali gli omeri, hanno grandezze in proporzione per cui si può dedurre una tale statura. Le zanne hanno uno sviluppo di circa 2,70 m.
Da uno studio dell’apparato dentario dell’Elefante antico si pensa che si tratti di un esemplare di circa trent’anni.
Probabilmente l’animale è morto scivolando lungo una sponda molto ripida nel Lago del Mercure, rompendosi la testa, perdendo una zanna  e spezzandosi il collo. Il limo, la terra di caduta e i vari sedimenti lacustri lo hanno ricoperto e conservato fino ai nostri giorni.
Si avviò così una lunga campagna di scavi promossa dall’amministrazione comunale di Rotonda di concerto con la Soprintendenza Archeologica della Basilicata, in collaborazione con vari paleontologi.
Furono anni di intenso lavoro che hanno portato al ritrovamento di altri animali tra i quali lo scheletro di un ippopotamo e molti oggetti risalenti all’età del bronzo a testimonianza che la Valle del Mercure è stata abitata da moltissimi anni.
Furono anni anche di costruzione di un unico grande Museo Naturalistico di tutto il Pollino e non solo della Valle del Mercure.
Furono anni dove molti ragazzi e giovani di Rotonda iniziarono ad imparare come si fanno i calchi di un reperto paleontologico, di come si restaura una tibia o un femore. Come si puliscono dai detriti e come si ricostruiscono arti, zanne e teschi di animali preistorici.
Furono anni in cui l’amministrazione comunale di Rotonda era all’avanguardia nell’accoglienza del visitatore del futuro Parco nazionale del Pollino.
Furono anche anni di grande entusiasmo da parte di tutti gli operatori di vario genere che speravano in una rinascita del territorio attraverso il turismo, l’agricoltura con i suoi prodotti di nicchia e una rete di rifugi pronti ad accogliere comitive di escursionisti entusiasti di percorrere sentieri di una delle montagne più belle d’Italia.
Rotonda fu una delle prime comunità che organizzò un servizio navetta con l’alta quota per favorire l’accesso all’alta montagna con un basso impatto ambientale.
Rotonda fu anche il primo paese che meritò l’attenzione di un grande giornale come il Corriere della Sera che scrisse, nel lontano 1973, un articolo dal titolo profetico: un sindaco, una guardia forestale ed un naturalistica passeggiano per la piazza sognando un parco Nazionale. 
Rotonda fu anche il primo paese del Parco ad accogliere – attraverso i suoi alberghi – un pubblico qualificato entusiasta di visitare un lembo di terra ai più ancora sconosciuto.
Ancora. Rotonda fu il primo paese lucano del futuro Parco del Pollino ad organizzare, nel lontano 1989, un primo corso per Guide Escursionistiche capaci di accompagnare i visitatori sulle cime più difficili ed impervie dove, per recarvisi, necessita, ancora oggi, una notevole resistenza fisica, gratificata dalle meraviglie dei luoghi.
Rotonda è anche un antico borgo dai bei palazzi, ricchi di storia, con un centro antico degno di nota, dai portali magnifici, dai vicoli selciati da brave maestranze riconosciute a livello nazionale.
Rotonda è anche il paese delle numerose fontane scolpite in pietra dal bravo scalpellino rotondese Giuseppe De Consoli.
Rotonda è un laborioso paese, capoluogo della valle del Mercure posto come “statio” sulla antica Via Popilia  che collegava Reggio Calabria con Santa Maria Capua Vetere.
Rotonda si vanta di essere sede dell’Ente parco nazionale del Pollino.
All’improvviso questa progettualità, questa lungimiranza sembra svanita nel nulla.
Il Museo naturalistico del Pollino è sempre chiuso ed ogni volta bisogna patire per poterlo visitare.
Dove è finita tutta quella professionalità creata in tanti anni di progetti con giovani volenterosi e desiderosi di rimanere in casa, avere un lavoro degno di tale significato in una nuova professione quale è la paleontologia. Ricordo con nostalgia un giovane disegnatore, autore di numerosi disegni dell’elefante antico sparsi per tutte le strade di Rotonda, che ho incontrato qualche anno fa, ormai trasferitosi a Maratea, a “vendere souvenir ai turisti stranieri”  perché non trovava più nessun sbocco lavorativo nel suo paese. Eppure aveva acquisito una ottima conoscenza su come si rilevano e si disegnano – prima dell’arrivo di fotocamere digitali e di photoshop – reperti geologici e paleontologici.
All’improvviso tutto questo patrimonio di saperi è finito alle ortiche. Il ruolo di polo museale geo-paleontologico della Valle del Mercure e del Pollino è abortito prima della sua nascita. Eppure potrebbe essere un ottima “scusa” per ottenere i classici due piccioni con una fava: occupazione e professionalità.
Occupazione, perché la struttura necessita di personale qualificato che Rotonda e la Valle ne ha in qualità industriale, per poter portare avanti le ricerche, tenere aperto la struttura e offrire assistenza turistica ai numerosi visitatori del parco che soggiornano a Rotonda e nell’intero territorio.
 Professionalità perché non tutti sono in grado di maneggiare con cura un reperto paleontologico, restaurarlo o addirittura farne il calco.
La tristezza che si avverte e si tocca con mano quando si entra nel Museo e in una delle aule ci sono i tavoli con ancora i vecchi reperti classificati e da classificare abbandonati alla mercede di tutti, senza un controllo e senza la possibilità di poterne tutelare la loro incolumità da furti e da “mano leste”.
Mentre nell’altra sala giacciono in completo abbandono tutti i macchinari per la pulitura e controllo dei reperti.
Eppure la struttura è un edificio scolastico con tantissime aule vuote che si potrebbero benissimo utilizzare come laboratori di scienze geologiche per conoscere meglio la valle del Mercure e l’intero territorio del Parco nazionale del Pollino; anche perché Rotonda ne è la sede legale dell’Ente di gestione dell’area protetta più estesa d’Italia.
Non si capisce come non ci sia una “comunità di intenti” tra i due enti per far diventare questo luogo una eccellenza nelle scienze geologiche di tutto il Paese. Anche perché il Pollino è studiato ed è oggetto di tesi di laurea di numerosi studenti di queste discipline provenienti da tutto il mondo.
La struttura potrebbe contenere anche una biblioteca specialistica di queste discipline, magari con l’aiuto delle due università più vicine che hanno la facoltà di Scienze geologiche e di difesa del suolo.   
Così come potrebbe ospitare un Centro Studi sulle Acque, come disciplina annessa alle scienze geologiche, visto che questa comunità ne ha fatto una bandiera di legalità e come bene pubblico, dato anche che la regione Basilicata fornisce questo prezioso “liquido” a molte regioni limitrofe.

Sicuramente il problema sta nella mancanza di fondi in cui versano i comuni. Anche perché l’amministrazione comunale di Rotonda è guidata da uno dei più bravi primi cittadini che ha sempre guardato lontano e molto prima degli altri. Infine, la regione Basilicata non potrebbe stornare un po’ di fondi di provenienza, per esempio, dall’Acquedotto Lucano oppure dai proventi derivanti dal petrolio?  E proprio per questo la mia rabbia è sconfinata …