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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

martedì 14 marzo 2017

Leader, emigrazione, giovani e ambiente

Se non abbiamo a livello nazionale leader in grado di capire verso dove vada la società italiana, figurarsi se queste guide si possono trovare a livello regionale.
Riflettevo su questo semplice principio leggendo due lettere di giovani ingegneri inviate rispettivamente al Presidente della regione Basilicata e al popolo calabrese.
Forse per la Calabria è “normale” continuare a emigrare. Oserei dire che abbiamo nel nostro DNA il gene dell’emigrazione o forse della fuga dai nostri paesi e dalla nostra regione.
Priorità per i cittadini calabresi (fonte: Corriere Calabria)
Anche perché delle tante promesse, fatte dai vari governi che si sono succeduti dal Dopoguerra a oggi, molte sono state disattese e quindi hanno aperto, qualora fossero mai state chiuse, le porte alla nuova emigrazione.
Nuova perché oggi parte anche chi ha terminato gli studi e non trova nella propria regione alcuna possibilità di impiego, con la conseguenza che emigrano non solo braccia, ma anche “cervelli”.
Per la verità è già da tempo che esportiamo conoscenze e professionalità per il solo semplice fatto che se un giovane frequenta facoltà come “Ingegneria elettronica delle nanotecnologie” è gioco forza che questa persona, alla fine del percorso di studi, sia costretta a emigrare.

A questo proposito mi ha colpito la lettera, pubblicata sul Fatto Quotidiano, di un giovane ingegnere di Castrovillari, laureatosi con il massimo dei voti presso l’Università della Calabria, emigrante in Svizzera, che non manca di lodare la scuola pubblica italiana e i suoi insegnanti, ma che esorta i giovani a andare via perché il Meridione NON OFFRE, e non sarà in grado di offrire a breve e medio termine, lavoro e occupazione.
In questa lettera, il giovane racconta la relativa facilità all’assunzione che hanno molte strutture pubbliche e private all’estero rispetto al nostro paese.
Questo perché in Calabria – a parte i lavori dell’ammodernamento dell’autostrada – non ci sono in vista nuovi cantieri in grado di dare lavoro a qualche migliaio di persone.
Diversa è la situazione lucana.
Tra petrolio e acqua in Basilicata ci sarebbero i presupposti per l’attivazione di tantissime possibilità di lavoro, se non ci fosse l’incapacità governativa a trattare e ad avere un proprio forte ruolo con le multinazionali dell’oro nero.
Infatti, un altro giovane ingegnere – nella lettera indirizzata al presidente della regione Basilicata - si lamenta della realtà lavorativa in cui è collocata la forza lavoro nel contesto regionale.



Egli, porta alla luce la realtà dei colloqui di lavoro con le multinazionali del petrolio
Lavori di gabbionatura (foto Calabriaverde)
che preferiscono assumere, per i cantieri aperti in Basilicata, giovani provenienti dalla Sicilia e dall’estero invece che i giovani lucani.
Amareggiato dall’esperienza avuta, in nostro ingegnere lucano chiede maggiore determinazione a trattare con queste compagnie da parte del presidente della Regione, e lancia anche la provocazione di abolire l’università della Basilicata in quanto essa fornisce titoli a laureati che poi devono andare a lavorare all’estero
In mezzo a queste problematiche, gravita tutto un mondo che lavoricchia nei vari cantieri messi su dagli Accordi di Programma, ossia dalle vecchie comunità montane che, lungi dall’essere state cancellate, hanno cambiato solo denominazione e continuano a fare esattamente quello che facevano prima, magari utilizzando i vari fondi messi a disposizione dalle numerose “misure” europee.
Fra queste “misure” vi è una voce collegata alla sentieristica. E qui mi dolgo ancor più: oggi va molto di moda fare un sentiero da qualche parte della nostre regioni,  basato su progetti-fotocopia  ma con dai prezzi esorbitanti e poca attenzione per i materiali usati e  i luoghi in cui viene  realizzato.

Come, per esempio, l’uso di sostanze dannose sia per gli operai impiegati nella esecuzione dei lavori che per l’ambiente stesso in cui queste opere vengono create.
Emblematico il caso del sentiero sul Monte Coppolo del quale ho scritto qualche giorno fa su questo blog. Ritorno  sull’argomento perché urge precisare alcune informazioni che ho dato: le traversine dismesse dalle Ferrovie, in quanto trattate con  olio di creosoto sono da considerarsi rifiuti speciali e quindi la loro movimentazione va fatta con tutte le precauzioni necessarie e idonee.
Pur nel rispetto del lavoro, è necessario e improcrastinabile il rispetto del luogo e della salute delle maestranze.
Di conseguenza, visto che il nostro ordinamento giuridico è fatto di “pesi e contrappesi”, è necessario che agli organismi propositivi si contrappongano organismi vigilanti.
Uno di questi “organismi” è l’Ente Parco.
Ricordo che un Ente Parco è lo strumento per la gestione delle aree protette “ … al fine di garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese”.
E il legale rappresentante ha “ … l’obbligo di intervenire qualora venga esercitata un’attività in difformità dal piano, dal regolamento o dal nulla osta,[e] dispone l’immediata sospensione dell’attività medesima ed ordina in ogni caso il ripristino … (art. 29).

Per fare questo urge che il nostro parco si doti di un apposito settore che si occupi solo ed esclusivamente di sentieristica.
Perché la sentieristica, l’uso corretto del territorio, può essere sicuramente un lavoro vero e proficuo per tutti gli operai forestali che ancora sopravvivono nei nostri paesi. 
Favorire la creazione di cooperative per la gestione del territorio (manutenzione delle migliaia di chilometri di strade sterrate, sentieri, rete delle tantissime sorgenti e fontane, gestione dei rifugi) può diventare, se non un’occasione di arresto, sicuramente di diminuzione della fuga dai paesi.

Non serve partecipare a eventi esterni inutili e spendaccioni. Qualche giorno fa, trovandomi in Lombardia, sono passato davanti ai cancelli dell’Expo di Milano e mi sono chiesto che ricaduta abbiano portato sui nostri territori i milioni di euro spesi per dare un po’ di visibilità alla soppressata, alla melanzana rossa e ai fagioli di Rotonda se poi diventa un’impresa poterli acquistare sullo stesso territorio calabro e lucano.
Se non si incentivano i produttori locali, se non si lavora per una cultura del cibo a chilometro zero, se non si gettano le basi per fermare l’emorragia di uomini dai nostri paesi, continueremo a registrare i dati di quella che si concretizza sempre più come una fuga biblica. Basta essere presenti una sera qualsiasi alla partenza dei tanti autobus all’autostazione di Castrovillari, di Lauria, di Senise, di Sibari o di Trebisacce, per assistere all’esodo apocalittico, forse inferiore solo ai viaggi dal porto di Napoli per le Americhe, agli inizi del Novecento.

Donne, uomini, lavoratori, studenti: tutti accomunati dalla necessità di andarsene per “risolvere” il problema del “mezzogiorno”. Impiegati a salari talmente bassi che necessitano delle rimesse dei genitori per sopravvivere nelle grandi città del Nord. Genitori che, come dice una mia amica, prima li hanno mantenuti agli studi e ora li mantengono al lavoro: comprano loro la macchina, si accollano mutui costosissimi per un piccolo appartamento di uno due vani alla periferia delle città. Quando, invece, i nostri paesi hanno case dotate ormai di tutti i confort, spaziose e luminose, con costi di gestione di gran lunga inferiori. Ovviamente al Sud non è solo un problema di case, ma di lavoro. Non basta rifare le abitazioni, come per esempio a Guardia Perticara, con le royalties del petrolio, perché se non c’è alla base un piano occupazionale, quelle case rimarranno vuote per gran parte dell’anno in attesa di ripopolarsi per qualche settimana di vacanza ad agosto.
lavori di regimentazione di pendio. (foto Calabriaverde)
Ho sempre pensato che l’abolizione dell’AFOR (Azienda per la Forestazione Regionale) in Calabria sia stata una iattura sia in termini occupazionali che di governo del territorio. E pensare che queste stesse figure di lavoratori a Cortina falciano l’erba per mantenere il paesaggio, tenere a bada il bosco, dare un certo piacere per la vista e per il godimento dello spirito. Due pesi e due misure: a Cortina la comunità locale esegue lavori che non hanno una pratica utilità immediata; servono, tuttavia, a dare un appagamento alla vista, al paesaggio, ma in qualche modo comportano anche una rendita economica sul territorio.
Ora ben vengano progetti di sentieristica e cose simili nei nostri territori, con un’unica clausola: senza cestini e aree picnic, con un piano pubblicitario contenuto nei costi delle opere, una visione e un coinvolgimento delle popolazioni locali.

Progetti che devono avere nel piano di intervento una maggiore partecipazione delle autorità locali e delle popolazioni affinché queste decisioni non rimangano meri auspici di uno sviluppo socio-economico che non si realizzerà mai proprio perché sono venuti a mancare questi presupposti.



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