Il
trenta o il quaranta per cento del patrimonio culturale mondiale risiede in
Italia.
Non
so se è vero questo dato; una cosa è certa la nostra regione non sfigura in
questa classifica.
Forse
fa una brutta figura in fatto di conoscenza, pubblicità e manutenzione di
questo patrimonio.
Qualche
settimana fa ho fatto una escursione sulla Catena costiera calabrese, grazie
all’invito di una associazione di Bisignano, che propone, con cadenza quasi
settimanale, un percorso alla conoscenza di un luogo della nostra splendida
regione.
In questa circostanza mi è toccato andare a
camminare su di un antico sentiero che collegava l’interno cosentino con la
costa tirrenica.
Questa antica via chiamata dei “Mercatanti” è stata
battuta fino agli inizi degli anni sessanta, quando cadde in disuso con la
costruzione della statale 113 Cosenza – Mendicino - Cerisano– Fiumefreddo
Bruzio.
La via dei mercatanti, era usata
principalmente da mercanti di pesce, che trasportavano il pesce nelle ceste con
i muli, da antichi artigiani che facevano l’impagliatura delle sedie con
la paglia di fiume (erba lacustre che cresce nel di fiume) e costruivano ceste
e cestini, i cosiddetti “crivielli” usando le foglie e gli steli dei
“putami” (nome dialettale), un arbusto molto diffuso in quelle zone, che dà
ancora il nome ad alcune località. Questa via era usata anche dai
famosi scalpellini di Mendicino, che hanno costruito chiese e case a
Fiumefreddo, da boscaioli, pastori, carbonari e calciaioli (operai che
producevano calce nelle antiche calcare di Monte Cocuzzo e di Pietra Feruggia,
cuocendo la pietra calcarea della montagna).
Splendida escursione su di un tracciato
tra boschi, valloni sperduti, ormai sempre meno frequentati, se non da mandrie
di animali che vagano per le colline e i pianori, apparentemente senza meta.
Con la sapiente guida di Paolo Pepe della
Associazioni Amici della Montagna abbiamo raggiunto la meta senza difficoltà
alcuna.
Dimenticavo di ricordare che a questa gita
ha partecipato lo “stato maggiore” del CAI Castrovillari e in particolare
L’escursione aveva, però, come meta finale
una abbazia cistercense, confesso, a me sconosciuta.
A causa dei tempi di trasferimento si è
deciso di raggiungere la Badia cistercense di “Fonte Laurato” in auto, rispetto
a come era stato proposto in primo luogo dal programma.
La Badia di “Fonte Laurato” fu
fondata nel 1195 dall’Abate Gioacchino Da Fiore.
Questo Monastero è situato in un luogo
molto suggestivo, sotto una rupe detta “timpa della Badia“dalla quale
sgorgano diverse sorgenti e nei pressi di una di queste, l’Abate
Gioiacchino ebbe l’apparizione della Vergine, e fu proprio lì che volle fondare
il monastero, detto appunto di “Fonte Laurato”. Un’altra sorgente fu usata per
il mulino annesso alla badia. In una delle diverse grotte presenti nella rupe,
visse per più di due anni un Eremita francese. I monaci di questa Badia,
i cistercensi, coltivavano quasi 200 ettari di terreni annessi al
monastero, i cui confini arrivavano alle falde di monte Cocuzzo. Nei
pressi della badia ci sono
ancora i resti del frantoio e dell’antico mulino. Il
monastero sorge nella contrada Patia ai piedi del monte Barbaro,
contrafforte di roccia calcarea sul versante nord ovest di Monte Cocuzzo, a 200
metri di altezza, in posizione di sicura protezione dalle scorrerie
saracene. Gioacchino Da Fiore riuscì a completare la badia grazie al
benefattore Simone Da Mamistra, feudatario di casa sveva. Forse questo
monastero rappresenta un raro esempio di architettura di stile
normanno-gotico-claunicense presente in Italia, poiché l’Abate lo
aveva costruito al ritorno dal monastero di Cluny in Francia, ed aggiunse allo
stile gotico-normanno elementi appartenenti all’ordine claunicense.
Questo monastero, scrive Franco Del Buono, “nella valle delle Cento Acque, in una mirabile cornice di
verde, tra il gorgoglio delle fresche e purissime acque, leva al cielo i
suoi secolari pregi artistici”.
Interno della Badia di Fonte Laurato. (Photo di E. Pisarra) |
Veramente uno dei luoghi più belli della
nostra Calabria, ricco di un fascino misterioso.
Fin qui le dotte spiegazioni sia di Paolo
Pepe che di uno degli ultimi eredi della Dinastia dei Mazzarone, proprietari
dell’intero immobile.
Poi lo sconforto ti viene dopo, quando mi
sono reso conto della straordinaria importanza del luogo e del completo
abbandono in cui versa la Badia.
Al punto tale che siamo entrati dentro a
nostro rischio e pericolo a causa del tetto fatiscente e dell’abbandono in cui
versa l’intero edificio sacro.
Ho visto nel signor Mazzarone l’entusiasmo
di chi sa di essere di fronte ad un immenso tassello della nostra storia ma è
altrettanto consapevole che di questo bene non interessi nessuno.
Un bel posto in uno scenario fantastico,
una storia ricca di storie, un ambiente fiabesco!
Un plauso alla associazione e agli amici
del CAI Castrovillari che imperterriti continuano a “propinarci” nuovi luoghi
della nostra splendida regione Calabria.
Nessun commento:
Posta un commento