Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

venerdì 24 ottobre 2025

Sui sentieri del Pollino: manutenzione, memoria e libertà di camminare

 Fino a non molto tempo fa gran parte della comunità che abita il Pollino si spostava su antiche vie interne, spesso a piedi, di rado con la cavalcatura.

Oggi questo sistema viario è stato, in parte, trasformato in strade rotabili, per cui è venuta meno la necessità di muoversi a piedi.


Resta però il bisogno dell’uomo moderno di camminare per diletto, per sport, per piacere, nel silenzio di boschi, cime, creste e crinali. «Camminare non è semplicemente terapeutico per l’individuo, ma è un’attività poetica che può guarire il mondo dei suoi mali», ricordava Bruce Chatwin in uno dei suoi racconti di viaggio.

Camminare è una pratica di benessere psicofisico ma anche uno strumento per riconnettersi con sé stessi e con ciò che ci circonda. Adattando un vecchio adagio calabrese: «basta la salute e un buon paio di scarpe per partire alla scoperta del mondo».

Non è vero che non c’è tempo per camminare. Come se non ne buttassimo via, di tempo, davanti al computer, a guardare viaggi virtuali o chattando. «Non esiste nulla nella vita che non possa essere rimandato. Ma voi ancora non lo sapete, perché non avete conquistato la saggezza del camminatore», scrive Paolo Rumiz.

Il camminare è diventato un’impresa rivoluzionaria. Non serve essere atleti esperti, aver scalato il Monte Bianco o raggiunto il Polo Nord. Basta decidere di rinunciare a qualche comodità e muoversi a piedi ogni volta che è possibile. Liberarsi della “dittatura” della velocità significa ampliare la meraviglia di ogni istante e restituire intensità alla vita. Chi cammina gode di migliore salute, ha una memoria più efficiente, è più creativo. Chi cammina sa far tesoro del silenzio e trasformare la più semplice esperienza in un’avventura bellissima.


Sulla scia di questi pensieri e nel rispetto di uno dei principi cardine del nostro Sodalizio, abbiamo fatto manutenzione a diversi sentieri ricadenti nel nostro Parco che fanno parte della REI (Rete Escursionistica Italiana) per la Calabria.

In primo luogo abbiamo messo mano alla segnaletica di alcune tappe del Sentiero Italia, il nostro “pezzo forte” della parte della sentieristica REI che ricade nel Parco. Da Piano di Lanzo a San Sosti: una tappa bella, faticosa, lunga, dai paesaggi vari e unici, in uno scenario in continuo cambiamento. Foreste di faggio sempre più fitte si alternano a balconate dagli ampi orizzonti come la Valle del Fiume Rosa, uno “spaccato” tra cime dai nomi evocativi (Pietra dell’Angioletto, Due Dita, Artemisia) e antiche vie commerciali tra la Pianura di Sibari e la costa tirrenica.

Ampi pianori dai nomi che ricordano eventi o passaggi di eserciti — Campo di Annibale, Piano di Casiglia, Piano Pulledro — sono raggiungibili percorrendo il Vallone della Zoppatura e Sferracavallo. Luoghi faticosi per le cavalcature e per le caviglie. Abbeverandosi all’Acqua di FridaAcqua del ManganoAcqua Marchesano o Acqua della Tardea, si attraversa un paesaggio in cui ogni fonte racconta una storia.

Nel camminare, spesso il pensiero va alle tante persone che hanno abitato, portato gli armenti al pascolo e lavorato su questi fazzoletti di terra strappati alla vegetazione. Generazioni che hanno fatto tanta fatica per un tozzo di pane.


Su questa tappa del Sentiero Italia non manca un affaccio su un luogo ameno e ricco di religiosità come il Santuario della Madonna del Pettoruto. Immerso in una foresta di lecci, posto su una superficie terrazzata a strapiombo sul fiume Rosa, appare come un’isola di colore a contrasto, una macchia nel verde intenso della lecceta e del faggeto. Nel silenzio più assoluto e riparato dai venti freddi e umidi del Tirreno, in lontananza si intravedono le prime case di San Sosti. Una vera e grande illusione ottica: per raggiungerle occorre percorrere ancora un lungo tratto a zigzag della mulattiera, passare per i ruderi del Castello della Rocca e confluire infine sulla statale che porta in Piazza Mercato.

Un altro intervento di “rinfresco” della segnaletica l’abbiamo fatto sul sentiero che porta al Passo del Principe sulla Manfriana. Un crinale spettacolare, a cavallo di due mondi in apparenza lontani. Da una parte l’alta Valle del Raganello, la Timpa di San Lorenzo e la Fagosa; dall’altra la Valle del Coscile, intensamente abitata.

Questa lunga cresta, posizionata in senso nord-sud sull’Appennino calabro-lucano, funge anche da spartiacque climatico: ai suoi piedi, ad oriente, termina la corrente calda originata dal Golfo di Sibari, che procura una piacevole brezza nella calura estiva.

A volte sembra di sentire le voci di uomini, donne e ragazzi che hanno percorso l’alta Valle del Raganello, attraversato la Fagosa per recarsi ai pascoli alti o in pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Pollino. E prima di loro, immagino i soldati lucani che presidiavano la Manfriana per lanciare l’allarme se i Bruzi o i Bretti salivano dalla pianura.

Dall’altro versante, invece, si rivedono le legioni romane che percorrevano la via Popilia o i viaggiatori del Gran Tour alla scoperta della Calabria.


La giornata dedicata al controllo della segnaletica sul sentiero che da Piano di Lanzo porta in cima al Cozzo Pellegrino è stata uno spettacolo di luci e colori verso il Tirreno. Il tracciato utilizza, per un primo tratto, la stradella di esbosco che collega il Piano con la Carpinosa, poi porta alla cresta passando per la Calvia e raggiunge il Cozzo Pellegrino.

Un itinerario breve ma intenso e aereo, con affacci suggestivi sulla Valle dell’Abatemarco. Non è un percorso adatto a chi soffre di vertigini, ma la vista dalla cima del Cozzo Pellegrino ripaga ogni sforzo: spazia dal Mare Ionio fino alla costa siciliana, mentre a ovest domina l’intero Golfo di Policastro con le cime del Cilento.

Da vecchio cartografo, mi diletto a leggere e rileggere i toponimi che circondano la cima: Valle Lupa, Piano di Rose, Serra La Vespa, Schiena dei Lacchicielli, Cozzo dell’Orso, Cozzo dell’Uomo Morto… ma l’oronimo che più mi incuriosisce è Mondo Nuovo. Chissà a cosa si riferiva chi lo ha creato.

A queste vie, in cui periodicamente facciamo manutenzione, a volte ne aggiungiamo una nuova, rigorosamente scelta dal nostro Catasto Sentieri. Questa volta è toccato a una del territorio di San Lorenzo Bellizzi. Alcuni giovani soci del Paese delle Timpe hanno chiesto di ripristinare un vecchio percorso che dal centro abitato porta a Serra di Paola.


Una camminata favolosa, adatta a tutti: immersa nella prima parte in un bosco di querce, roverelle e cerri, e nella seconda attraversa un rimboschimento a pino nero. Due paesaggi in netta antitesi. Da un lato, le Timpe di San Lorenzo, Porace, Cassano, Falconara, attraversate dal Torrente Raganello; dall’altro, il Monte Sparviere che digrada verso la Piana di Sibari, con Cerchiara di Calabria in primo piano e il Monte Sellaro a protezione.

Lo spirito del Club Alpino Italiano è quello di far conoscere le montagne ai propri soci e non solo. Noi del CAI Castrovillari abbiamo come “secondo spirito” anche lo scambio di prelibatezze tra comunità diverse. Vuoi mettere un bocconotto di Mormanno preparato da Aldo, ogni volta con un ripieno diverso? Oppure la lasagna della nostra presidente, innaffiata con dell’ottimo vino del Pollino? E la soppressata?

La manutenzione dei sentieri è anche luogo di discussioni — ambientali e politiche. Queste giornate sono diari di viaggio che meritano di essere fissati su un taccuino. Perché non esiste un sentiero che non sia un piccolo viaggio. Non esiste un viaggio senza scrittura.

Sul sentiero siamo tutti scrittori. Basta lasciarsi andare. I pensieri nuovi e freschi scaturiscono all’improvviso e bisogna fermarli immediatamente prima che scompaiano.

Infine, come terzo spirito, noi del CAI Castrovillari amiamo ascoltare il silenzio, sentire la musica della natura, incontrare persone, conversare di massimi sistemi, lasciando a casa i problemi quotidiani.

Venite con noi. Buon cammino sui sentieri del Pollino!




NB

Questo articolo è stato pubblicato sulla pagine On Line dello Scarpone 

Lo Scarpone - Sui sentieri del Pollino: manutenzione, memoria e libertà di camminare



mercoledì 3 settembre 2025

PANTA REI

 È pur vero che tutto scorre, tutto passa.

Però ci sono alcuni luoghi che non “passano” mai.

Forse perché ricordano personaggi, spazi dove abbiamo trascorso momenti gioiosi, storie, incontri con uomini che, nel loro piccolo, hanno vissuto questo micro territorio.


Ne conoscono ogni centimetro e ogni pianta.

Il mio “luogo del cuore” (uno dei tanti) per usare un’espressione, oggi molto di moda, è il CASINO TOSCANO.  

È stato meta di partenza e base di ricovero per i pellegrinaggi dei civitesi al Santuario di Madonna del Pollino.

È stato luogo di sosta di tanti gruppi escursionistici in cammino sul Pollino.

È stato luogo di animate discussioni in seguito all’istituzione del Parco nazionale del Pollino.

È stato luogo di assaggio di speciali mozzarelle, caciocavalli e formaggi preparati dal Massaro Peppe Russo.


Oggi, davanti alla struttura ridotta quasi in ruderi, mi vien da piangere, se avessi ancora qualche lacrima da versare!


Lasciare questa struttura alla inclemenza delle intemperie è un vero e proprio delitto. Non so se è strategia o sciatteria: in entrambi i casi rivolgo un appello agli organi decisori di intervenire, acquistare al patrimonio collettivo questa struttura, renderla fruibile come base di partenza per l’alta montagna (Serra di Crispo dista poco meno di un’ora a piedi), come laboratorio di ricerca e vigilanza.

Ci vuole molto?

lunedì 4 agosto 2025

SONO STUFO, STANCO, AVVILITO

Mi sento come Corrado Alvaro quando afferma “La disperazione più grande che possa impadronirsi di un individuo è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.”

Ecco: io mi sento completamente inutile. 

Anni di battaglie ambientali, convegni, conferenze, scritti 'ecosostenibili' e poi ti ritrovi ad essere amministrato da una banda di scappati da casa, che non hanno una visione *generale*, vivono alla giornata, in continua ricerca di prebende da un assessorato regionale o da altri, per realizzare cose che di fatto sono in contrasto tra di loro. 

Civita è un paese turistico (o presunto tale) per cui il territorio, la struttura urbanistica e il paesaggio che circonda l’abitato è il “nostro oro”. 

Eppure il fallimento, mio e di tanti altri che si sono battuti da almeno trent’anni a questa parte, sta proprio nel fatto che non siamo riusciti a veicolare il messaggio che se qualcuno viene a visitare il nostro paese, il Pollino orientale e le sue bellezze paesaggistiche vuole avere una visione unica, emozionante, ricca di storia, di giochi di luce, di luoghi che raccontano, di Case Kodra, di comignoli, di vicoli, di porte antiche, di fontane di pietra, di sentieri, di mulattiere percorse nei secoli dai nostri avi fino allo sfinimento per un tozzo di pane, di scorci vissuti, di gjitonie…

Ebbene, pare che di questo patrimonio, che gli antropologi chiamano 'immateriale', ai nostri amministratori non importi un “fico secco” (per usare un eufemismo). 

Eppure questo è il “nostro oro” e senza tutto ciò non vi sarebbe ragione per un turista passare o soggiornare a Civita.

Mi pare un pensiero talmente elementare che mi vergogno a scriverne perché 
 per “armonizzare” questo paesaggio, gli “scappati di casa” cosa fanno?


Piazzano un traliccio di servizio per le telecomunicazioni, alto 24 metri, a ridosso del centro abitato. Visibile da tutti i punti circostanti il paese e, in special modo chi sale dal mare, vede una serie di piccole case, incastonate tra le rocce, con un fallo argenteo che spunta in mezzo alla conformazione a ‘nido d’aquila’ che caratterizza la nostra Civita.

Quando ho visto questo obbrobrio luccicante, ho pensato, considerando la mia età, di avere le traveggole. 

Poi ho preso il binocolo che, inesorabilmente, mi ha confermato quello che avevo visto. 

La pressione arteriosa ha raggiunto picchi altissimi. 

Ho fatto un giro di telefonate per capire di che cosa si tratti e chi lo ha installato; la risposta è stata concorde: è un traliccio per la telefonia del 5G.

Va bene. Come sostiene un mio carissimo amico, "se vuoi fare la frittata devi rompere le uova". 

E mi rassegno!

Poi la curiosità, il mio passato di tecnico, il mio essere giornalista ambientale, mi “spingono” a prendere la macchina e andare a vedere da vicino. 

L’impianto è ancora in costruzione, non collegato a nessuna rete, eppure il mio telefono già da qualche settimana riceve e trasmette in 5G… uhm!?

 Quindi?

Che bisogno c’era allora di installare un nuovo traliccio impattante, tra gli antichi ulivi, a ridosso del paese?

Forse per fare cassa come comune?

Se è per questo, non mi adeguo!

L’installazione dell’impianto è in un terreno di proprietà di un privato. 

Allora la mia pressione ha avuto un altro sussulto. 

Altro giro di telefonate, scambio di informazioni con amici di altri paesi che hanno subito lo stesso tipo di installazioni e presto tutti i nodi vengono al pettine.

Una società finanziata con soldi del famigerato PNRR propone ai comuni in cambio di un consistente affitto, l’installazione di queste torri, solo le torri…senza altro. in attesa che qualche gestore telefonico si faccia avanti e compri un dipolo per montare e allacciare i propri ripetitori. 

Ma com’è possibile? 

Noi abbiamo già gli impianti ubicati a San Nicola che inondano il paese di segnali 4G e 5G da parte dei maggiori gestori della telefonia mobile in Italia (TIM e Vodafone), che bisogno c’è di questo nuovo impianto? 

E perché proprio lì? 

Non si poteva, al limite, aggiungere questa torre al “parco antenne” di San Nicola?

Io non ho letto l’accordo stipulato sia con il proprietario del terreno sia con il comune che ha rilasciato la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), Una mia fonte telefonica – ripeto: non conosco il progetto proposto agli amministratori civitesi – mi comunica che la società installatrice della torre chiedeva espressamente DI DARNE COMUNICAZIONE A TUTTI I CITTADINI con ogni mezzo, giornali locali, social e attraverso appositi incontri pubblici. 

I nostri “scappati di casa” hanno PENSATO BENE di mettere la comunità tutta di fronte al fatto compiuto. 

Tanto questo è un popolo bue che non si inxxxxa neanche se qualcuno lo picchia in testa con un martello da fabbro.

A questo punto penso che la costituzione di un “COMITATO NO TORRE” sia necessaria, e che debba avere come richiesta tassativa, la rimozione dell’impianto inutile e dannoso per la nostra economia turistica oltre che per la tutela del paesaggio.

mercoledì 23 luglio 2025

VENTO, COSTANZA, PERSEVERANZA…

 Tre costanti di oggi.


Appena scesi dal “mitico” Land rosso Il vento ci accoglie e avvolge in spirali e in armonia con gli alberi che danzano seguendo un ritmo dettato dalla direzione della corrente dell’aria proveniente da Nord-Ovest.
Abbastanza fresco per il periodo.
Ci aspettano quattro ore di cammino per raggiungere la nostra meta di oggi. Il Dolcedorme.
Il Piano di Fossa, il Piano di Acquafredda, il Varco del Pollino e, infine, la salita vera e propria lungo la dorsale settentrionale del Dolcedorme. Percorriamo anche un tratto della “Via Tommaselli” , una figura chiave delle battaglie per l’istituzione del Parco nazionale del Pollino.
Un momento di pausa e di riflessione al Piano di Acquafredda.
Pausa perché la fatica e l’età si sentono tutte.
Osservare il vento che “pettina” i faggi lungo direttive misteriose è uno spettacolo unico.
Il silenzio è ancora più … rumoroso. Il pensiero va ai tanti pastori che hanno soggiornato, su questo pianoro, in accampamenti piuttosto spartani, per una intera stagione.
Inutile dire che oggi non c’è nessuno. Anche perché a causa delle scarse piogge invernali, da anni, la sorgente omonima è scomparsa.
La salita continua, ancora qualche minuto di cammino nella faggeta, in direzione del Varco e poi arriviamo sulla cresta prima della grande ascesa al Monte.

Sembra percorrere un grande corridoio tra pini loricati antichi, tra resti bruciati dai fulmini, con ampi scorci sia verso Sud e la Piana di Sibari, sia verso settentrione, i Piani del Pollino e l’intero appennino lucano.
Lo scopo di oggi è sostituire per l’ottava volta il LIBRO DI VETTA che la nostra sezione del Club Alpino Italiano cura da anni. Da quel lontano 2002 dichiarato anno internazionale della montagna.
Una costanza, premiata dai tanti pensieri di scalatori provetti, semplici escursionisti o appassionati di montagna che per un giorno sfidano il caldo, la sete, la fatica pur di giungere in cima alla montagna più alta del meridione d’Italia.
“Le mie gambe tremano, il mio cuore bestemmia ma i miei occhi ringraziano” leggo sul libro di vetta.

Oppure chi si chiede: “ma chini m’ha fatta fa”.
Perseveranza per noi che continuiamo una tradizione, per chi ancora sale su questa cime nonostante il caldo, in estate, il freddo, la neve, in inverno e, dopo la fatica e lo sforzo ha voglia di scrivere un pensierino al volo, senza filtri e remore.
Il vento forte, con raffiche notevoli da spostarmi, nonostante la mia “struttura”, di qualche centimetro dice che la montagna è fatta per tutti: per coloro che cercano nella fatica un riposo più forte.