Premetto
che in genere non scrivo la recensione di un libro appena letto.
Mi
piace leggere e molto…la mia curiosità spazia dalla saggistica alle spy story,
dalla letteratura contemporanea a biografie di uomini (e donne) del nostro
tempo.
Da
Montanelli a Travaglio; da Colvin a Ciconte, a Carrère, a Covacich …
Ovviamente, buona parte è dedicata a tanta letteratura di montagna: da Buzzati a Mario Rigoni Stern; da Cognetti a Corona, a Mancuso, alla Simard e tanti altri.
Ma
un testo che in questi giorni mi ha veramente colpito, per la perfezione
assoluta della padronanza della lingua, per la descrizione in dettaglio della
flora e del paesaggio, di uomini e storie, e perché mi sono ritrovato nella
comunanza dei luoghi e della passione botanica è il volume di Luigi Troccoli, Lettere dalla montagna in fiore, edizioni
Prometeo, Castrovillari, pagine 180, edito a febbraio di quest’anno.
Semplicemente
fantastico.
Un
esploratore (Giorgio), la fidanzata (Scilla), l’automobile (la Dyane) e il
Pollino.
Nel
mezzo il racconto di tanti personaggi, avvenimenti, situazione e descrizioni
geopolitiche di oltre mezzo secolo di storia.
Tutti
i racconti si aprono con un disegno di una pianta, realizzato da
Saverio Santandrea e una citazione colta.
Il
racconto parte dall’incontro felice di Giorgio con un anziano raccoglitore di
genziana alla fine di novembre, a Piano Ruggio. Mirabile descrizione del luogo
e della giornata (“lo sguardo non aveva via d’uscita se non verso l’alto, dove,
quel giorno, il cielo di un azzurro cobalto copriva quello scrigno di quiete,
di verde, di immota natura senza tempo, senza età per essere lapidariamente
immune da segni o impronte che ne suggerissero una storia, ricordassero un
evento, rivelassero la mano fattrice dell’uomo”). “Raccolgo l’Egiziana per fare
soldi”. “E come li fate i soldi con l’Egiziana?”. “Vendendola alle farmacie”. Finalmente capii
che l’Egiziana non era altro che la Gentiana
lutea.
Altro
capitolo, che si apre anch’esso con un rimando colto:
“Pietro
Andrea Mattioli, senese, nel 1568 si chiedeva se esistessero due sabine, poiché
gli antichi riferivano che ce ne era una con le bacche e un’altra senza e le
disegnò entrambe nella sua opera “I
discorsi nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo”.
Finalmente
si è scoperto che la sabina non è altro che lo Juniperus sabina, rara in Italia, ma forse, presente sui monti del
Sud.
I
due protagonisti (Giorgio e Scilla) sempre a bordo della mitica Dyane, non
avevano in mente di cercarla, ma avevano voglia di montagna, salire una cima e
affacciarsi dalla sua sommità … “la vetta della timpa non aveva l’acutezza
gotica delle guglie dolomitiche… era una linea di vetta lunga, distesa, senza
aggetti verso l’alto, ma delimitata, da una parte, dal dorso di una montagna
che si innalza da cumuli di argilla e campi stretti e sassosi; dall’altra,
ingoiata dal vuoto. Un taglio immenso, netto, verticale, un baratro diritto,
senza appigli, levigato dal demonio, un filo a piombo di geometrica precisione
inabissava testa, ventre, piedi di quella maestosa timpa, direttamente dal
cielo, terso, quel giorno, imbacuccato da cirri e nuvole, altri giorni, nella
pancia molle del turbolento e capriccioso, incostante e traditore torrente, che
gli strisciava sotto, torbido e violento come gli autunni di quelle montagne”.
Seguono:
La corazza che accomuna (Fagus
sylvatica), l’amazzone di fuoco (Pinus
Leucodermis), il pastorello immolato
(Diantus ferrugineus)…
ognuno
è davvero un tuffo in una prosa fresca e poetica che regala un po’ di felicità!
Da
leggere, assolutamente! anche sotto l’ombrellone.
Luigi Troccoli
Lettere dalla montagna in fiore
Edizioni Prometeo, Castrovillari (CS), 2024, pag. 180
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