In tour… intorno al
Torrente Raganello
Tabellino
Tempi
di percorrenza: questo itinerario si può percorrere
facilmente a piedi in due giorni di marcia; oppure con l’uso di un fuori strada
in una giornata.
Lunghezza: circa sessanta km
Difficoltà: EE (per escursionisti
esperti ed allenati)
Rifornimento
idrico: lungo
il percorso ci sono numerose sorgenti
Dislivello: 1200 in salita e 900
in discesa
Premessa
Il
territorio del Parco nazionale del Pollino si può percorrere lungo una rete di
antichi sentieri per oltre duemila chilometri.
Mulattiere,
sentieri, viottoli, tracce di antiche vie che l’uomo locale ha camminato per
anni per lavoro, per accudire il gregge al pascolo, per spostamenti e, perfino,
per recarsi in pellegrinaggio ad uno dei numerosi santuari mariani presenti nell’area.
Dopo
una parentesi di abbandono dovuta alla grande emigrazione verso il Nord Italia,
le genti del Pollino si stanno appropriando di un patrimonio ricco
di storia, tradizioni, miti e luoghi che non hanno nulla da invidiare alle più
rinomate località turistiche del nostro Paese.
IL RAGANELLO
Uno dei
tanti percorsi del Parco - forse il più interessante – è sicuramente
legato al Torrente Raganello.
Il
Raganello ha un percorso dall’andamento abbastanza tortuoso. In parte è dovuto
alla particolare situazione geologica, in parte, invece, è causato dallo
sviluppo del cammino del corso d’acqua in un ambiente dominato dall’uomo e
dalle sue attività. Ne consegue che “girare” intorno a questo corso d’acqua
provoca delle emozioni, attraverso le testimonianze che si leggono nel
territorio, alquanto forti.
Infatti, quest’itinerario consigliato, ha come motivo
conduttore il Raganello come ambiente fluviale, come via istmica, come
testimone di tormentate epoche geologiche, come paesaggio immutato nel tempo,
come spazio severo vissuto e abitato da intere generazioni di uomini.
Civita. Il Ponte del Diavolo. (Ph di E. Pisarra) |
Si
prosegue lungo la facile stradina sulla sponda destra idrografica del
Raganello, in un paesaggio, soprattutto agli inizi di giugno, segnato da un
prolungato corridoio color fucsia, d’oleandri in contrasto con il marrone
chiaro-scuro delle rocce circostanti sedimentate in milioni di anni, testimoni
d’immani sconvolgimenti tellurici terrestri.
In
questo paesaggio non è difficile trovare emergenze botanico-forestali
d’inestimabile valore.
L’ontano
napoletano, le tamerici, insieme con gli oleandri, ben s’integrano con gli
uliveti, gli orti e i campi di grano, le opere estranee al paesaggio, ma
necessarie per la sicurezza di chi vive queste località, creati dall’uomo.
Ben
presto si arriva al primo grande sbarramento del Raganello. Costruito in tre
anni, a partire dal 1959, questa briglia aveva, nell’intenzione dei
progettisti, la funzione di rallentare la velocità dell’acqua, trattenere i
detriti fluviali ed evitare pericoli d’inondazione della sottostante pianura di
Sibari.
In
realtà ha creato un microclima particolare, dando la possibilità a numerose
specie, sia ittiche, sia forestali, di trovare il proprio habitat.
Si
passa sullo sbarramento e ci s’incammina lungo la stradina di servizio agli
uliveti e ci s’inerpica sulla sponda sinistra del fiume e, guadagnando quota,
si recupera la stradina montana che porta a San Lorenzo Bellizzi.
Lo
sguardo, pur messo a dura prova dalle fatiche della salita, non può non
soffermarsi sul panorama che si apre: l’alveo fluviale appare in tutta la sua
maestosità, gli uliveti fanno da contorno e la statale con il suo traffico
d’automobili mostra i segni del progresso.
Un
tempo regnava il silenzio interrotto solo dai rumori della natura; oggi il
silenzio della natura è spesso interrotto dai clacson delle automobili che
sfrecciano a velocità assurda, incuranti dei danni che esse provocano ad un
paesaggio di siffatta bellezza.
L’arrivo
sulla stradina asfaltata rassicura gli animi e fa dimenticare la fatica della
salita.
Si
prosegue lungo il nastro d’asfalto, immersi tra campi mietuti di fresco,
gialli, contrastati, qua e là, da macchie di colore verde frammiste a
rossiccio, di piante di pero in piena maturazione. Spesso il silenzio è
interrotto dal belare di uno sparuto gregge che cerca di strappare l’ultimo
filo d’erba fresca della stagione.
L’incontro
con i pastori è sempre una grande emozione.
Uomo
semplice, curioso, il pastore del Pollino,ha necessità di parlare, di scambiare
informazioni, di chiedere la provenienza, le motivazioni che spingono
l’escursionista a camminare a piedi o in fuoristrada, a visitare questi luoghi.
Non
costa nulla fermarsi e, spesso, un sorriso rende questi uomini meno soli.
La
stradina dopo una serie di tornanti porta alla Fonte della Scosa, amena
località a circa ottocento metri di quota, super attrezzata con tavoli e panche
pronti ad accogliere il visitatore per un momento di sosta e di meditazione.
Tuttavia
è conveniente proseguire in moda da raggiungere il colle e prima di proseguire
verso il “paese nuovo” è d’obbligo una deviazione verso la cima della Timpa del
Demonio (855 m).
S’imbocca
la pista forestale e in pochi minuti si è sul valico della Timpa. Il panorama
non ha eguali.
Il
Canyon del Raganello appare in tutta la sua maestosità e l’abitato di Civita,
alle pendici dei monti, adagiato su uno sperone di roccia che dà verso il mare,
regna sovrano. In condizioni di vento favorevole si sentono perfettamente i
discorsi infervorati dei civitesi impegnati in estenuanti dibattiti politici a
favore e contro il solito governo di turno.
La
Timpa Sentinella (601 m) occulta il paese agli occhi degli estranei. Tant’è che
chi vuol visitare questo piccolo borgo deve, per un momento, lasciare la
statale ed inoltrarsi all’interno, altrimenti può benissimo proseguire senza
accorgersi della sua esistenza. Forse questa è stata la forza della piccola
comunità arbereshe dei civitesi che è sopravvissuta fino a nostri giorni.
Volgendo,
invece, lo sguardo verso la forra del Raganello, appare in tutta la sua forza,
una natura severa, fatta di rocce a strapiombo, intervallate da piccoli
appezzamenti adibiti, un tempo, a pascolo, ora in completo abbandono, testimoni
di un’epoca pastorale quasi scomparsa.
Da
questo osservatorio privilegiato il Raganello appare come un nastro d’argento
che avvolge le grandi pareti a picco accomunandole ad un unico destino.
Le
ultime case di Civita segnano la fine di questa natura selvaggia.
Si
ritorna sul nastro d’asfalto e si prosegue in direzione di San Lorenzo
Bellizzi. Si attraversa tutto il crinale della Timpa del Demonio, si
raggiungono le prime abitazioni rurali e ben presto appare il vecchio abitato
di San Lorenzo.
Nel
frattempo uno sguardo alla Timpa nel lato opposto attira l’attenzione una
macchia arancione, la quale, man mano che ci si avvicina, mostra la propria
identità. Si tratta della Grotta di Palma Nocera, abitata fin dal neolitico,
testimone della penetrazione dell’uomo antico lungo l’asta fluviale del Raganello.
In
questo lasso di spazio, all’occhio attento del visitatore, appaiono chiare le
diverse epoche storiche; un tempo l’uomo ha vissuto nella grotta, poi è uscito
fuori e nei suoi pressi ha costruito un villaggio, infine, da quando è
diventato pastore ed agricoltore, si è trasferito sull’altra sponda del
fiume in cerca di terreni più fertili e meno impervi, dove ha costruito il
paese.
San
Lorenzo appare adagiato su una conca del versante Ovest della Coppola di Paola,
ben riparato dai venti freddi su un balcone prospiciente il Raganello. In
ultimo chiude l’orizzonte l’imponente e omonima Timpa.
Dall’abitato
di San Lorenzo ci si dirige verso la Falconara incamminandosi sulla
stradina
asfaltata che si dipana dalla piazzetta principale.
Alba sulla Valle del Raganello (ph E. Pisarra) |
Dopo
breve tempo si raggiunge la fonte di San Pietro, dove un’acqua freschissima
attende di essere bevuta, prima di impegnarsi, dopo aver valicato il Torrente
Maddalena, nella salita verso la Falconara. Il cammino è lungo. Lo sguardo
spazia in un ambiente a dir poco contrastato: da una parte il marrone scuro di
rocce basaltiche metamorfizzate si contrappongono al grigio dei calcari
cretacei dei lisci di San Lorenzo; dall’altra parte il bianco delle casette
coloniche con l’aia, gli animali al pascolo, i rumori classici – per noi
inusuali – della civiltà contadina sopravvivono, anche se – a dir la verità –
sono interrotti dal singolare rumore – questo sì familiare – dei potenti motori
diesel dei trattori che hanno sostituito il ragliare dell’asino.
Man
mano che si sale appaiono una serie di strutture agrituristiche molto carine,
ben curate e ben inserite nel paesaggio.
Il
pensiero va a questi coraggiosi gestori che, nonostante tutto, osano sfidare le
leggi del mercato, ed investono i pochi risparmi di una vita, sperando che
queste nuove attività possano integrare il già misero reddito agricolo.
La
lunga salita dà una tregua. Infatti, il crinale si sviluppa per alcune
centinaia di metri in quota, consente di “dare un occhiata” all’altro versante.
Appaiono all’orizzonte una serie di case, abbarbicate alle pendici di un monte
e sopra le sponde di un altro fiume, dai colori sgargianti, messe in fila
indiana e in parallelo tra loro, a mo’ d’avamposto lungo la rotta naturale di
penetrazione alla montagna.
Un
piccolo stagno subito sotto il piano stradale attira l’attenzione del
visitatore.
La
particolare vegetazione riparia è luogo ideale di ricovero di piccole
testuggini d’acqua dolce, di biacchi e numerosi altri “esponenti” della fauna
minore.
Subito
dopo la stradina riprende a salire in direzione della Timpa Falconara (1667 m),
oltrepassa una moderna azienda agricola mostrando le numerose pieghe di
corrugamento della Timpa. Si entra nel bosco da rimboschimento misto a pino
nero e cerri (ambiente ideale del porcino “carne gialla o vavuso”) e, prima di
valicare, bisogna dare un’ultima occhiata alla valle della Granpollina, con il
minuscolo abitato di San Lorenzo, ed alle spalle, tutto il Golfo di Sibari.
Il
percorso passa alla base della parete Ovest della Falconara: una Timpa fracassata
in numerose faglie testimoni d’immani sconvolgimenti tettonici che impressiona
non poco il visitatore che lì per lì si accinge a camminarvi sotto.
Dall’altro
lato della stradina si è già raggiunto uno dei due rami sorgentizi del
Raganello. Infatti, la Sorgente Boccadoro (1315 m) dà il primo liquido al
torrente. In seguito si aggiungerà il secondo ramo proveniente poco sotto Serra
di Crispo (1885 m).
Escursionisti in cammino nel Raganello. (Ph archivio Pisarra) |
Il
paesaggio è completamente diverso: da un lato il gran bosco della Fagosa,
verde, vigoroso, in netta espansione, sormontato dall’imponente crinale
roccioso Timpa del Principe-Serra Dolcedorme; dall’altra parte la parete Ovest
a strapiombo sul Raganello della Timpa di san Lorenzo la fa da padrone.
Due
mondi naturali che si contrappongono, racchiudono in sé l’alta Valle del
Raganello. Uomini e antiche masserie testimoniano una civiltà
agro-silvo-pastorale ridotta al lumicino, un tempo fiorente, motore trainante
dell’economia non solo locale ma, perfino, regionale.
Si
prosegue sulla stradina sterrata, abbastanza sconnessa, in direzione di Colle
Marcione, avendo come punto di riferimento un edificio bianco, che ben presto
si rivelerà essere un rifugio adibito a Centro d’Educazione ambientale
ottimamente gestito dal personale della cooperativa Silva.
Prima
però, si passa dalla Masseria Francomano in tempo per assaggiare la ricotta
fresca, appena ottenuta dal latte del bestiame al pascolo, oppure, “mettere
sotto i denti” un panino fatto di spesse fette di pane intervallate da ottimo
formaggio, accompagnato da un bicchiere di vino rosso “Pollino”.
L’arrivo
a Colle Marcione, chiude l’orizzonte fatto di monti altissimi crestati da tanti
“bastoncini” dall’apparenza strana, alti, contorti, piegati, con la chioma ad
ombrello che poi ad uno sguardo più attento si riveleranno essere i Pini
Loricati di Serra delle Ciavole, testimoni d’epoche glaciali lontanissime.
Pochi
metri oltre il Colle appare in tutta la sua maestosità, la Pianura di Sibari
con il Golfo omonimo, la Sila e alcuni paesi della costa ionica. Non è raro
vedere nelle giornate fredde e terse invernali Capo Trionfo, Punta Alice e Capo
Colonna, estreme propaggini della Calabria ionica.
La
strada è ormai una rotabile “di lusso” rispetto a quella percorsa fino ad ora,
e ben presto si tuffa sull’abitato di Civita.
Lecci
antichi sostituiscono il faggio, ginestre e ginepri prendono il posto dei cerri
e delle querce, euforbie e origano sostituiscono la prateria a sesleria.
Il
nastro d’argento del Raganello riappare: questa volta più ampio e
brillante, ad avvolgere l’intero contrafforte montuoso prima del mare.
Le
case di Civita disposte ad ombrello aperto accolgono il visitatore che ha osato
tuffarsi seppur per poco tempo in uno degli ambienti più vari, più interessanti
del Parco nazionale del Pollino.
©
Emanuele Pisarra
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