“La Basilicata
è una splendida
regione. Peccato che sta al
Sud”.
Non ricordo chi disse questa sciagurata frase, ma
proprio in questi giorni
sono in giro per i paesi
arberesh
del Parco nazionale del Pollino come collaboratore di una
troupe televisiva
che
deve realizzare un
documentario sulle comunità
albanofone di tutta
l’area protetta.
“Dobbiamo incontrare
persone,
raccontare storie, riprendere
paesaggi, scorci,
chiese,
figure, situazioni.
Tutto. Di più”.
È l’imperativo categorico della regista!
Rispondo che non è mica facile
in
due giorni
fare tutto.
Mi metto in moto e sfoglio la mia agenda
telefonica, così
forse qualche nome mi suggerisce qualche storia. Alla voce “Arberia” il computer “vomita” diecine di contatti.
Testimoni di
quando ero un collaboratore di un prestigioso periodico arberesh.
Come in un nastro che scorre a ritroso, ogni nome ricorda un evento, una
richiesta
di un articolo, una informazione, un convegno fatto insieme da
qualche parte in Italia e in Europa, una petizione per ottenere l’attuazione delle norme di tutela
delle minoranze prevista dalla nostra
Costituzione.
Quasi tutti questi nomi
per
diverso motivo hanno
fatto parte di una
associazione che si batteva per
dotare
tutte le regioni
d’Italia dove sono presenti minoranze linguistiche di
norme a tutela
della
storia e tradizione
di questi popoli
che
attraverso mille vicissitudini e
tra mille difficoltà hanno conservato tradizioni,
usi, costumi e religiosità. Oltre al
fatto di battersi per
una
legge-quadro nazionale.
Tutto questo sembrava
un obiettivo lontanissimo, impossibile
da
raggiungere, ma per il
quale vale la
pena
battersi.
All’improvviso quasi
come un fulmine a ciel sereno nel dicembre del 1999 il parlamento licenziava su proposta dell’allora ministro De Mauro ( e su nostro suggerimento) la legge n. 482 contenente le norme a
sostegno delle lingue minoritarie.
Il primo obiettivo sembrava
raggiunto. Tuttavia la
legge stentava ad essere promulgata
dal
Presidente della
Repubblica Ciampi
che
non si sa per quale motivo la teneva nel cassetto. In seguito venimmo a
conoscenza
delle motivazioni: il
presidente Andreotti scrisse una lettera
a Ciampi invitandolo a
non promulgare questa legge perché avrebbe messo a rischio la coesione del paese e che l’italiano non sarebbe stato più la lingua
ufficiale e che saremmo ritornati alla situazione preunitaria almeno dal
punto di vista linguistico.
Tememmo il peggio.
Dopo oltre un mese il presidente Ciampi sciolse le riserve e il 15 dicembre 1999 vennero pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Repubblica
le
“Norme in materia di
tutela delle minoranze linguistiche storiche”.
Altri
incontri seguirono dopo questa fatidica data.
Soprattutto per fare il punto sull’attuazione di queste
norme,
sulla elaborazione dei decreti
attuativi e sulle reali possibilità di
conservazione delle minoranze.
A proposito … questa associazione si chiamava CONFEMILI ed era
un
acronimo che racchiudeva una
confederazione di tutte le minoranze linguistiche italiane.
Quante storie dietro quest’indirizzario.
Non è facile tirare fuori tre o quattro indirizzi. Tutti sono carissimi
amici ed ottime persone. Mi pare fare un
torto ad escluderne qualcuno a
favore di
altri.
Molti
sono in avanzata età.
A differenza dei
paesi arberesh della Calabria dove pare che le nuove generazioni siano poco o a
dir nulla interessate a queste tradizioni, la
Basilicata ha un forte legame con la propria storia.
Per
esempio a San Costantino albanese ci sono diverse persone giovani che studiano, ricercano, elaborano canti,
creano
associazioni
dove incontrarsi, riconoscersi
e fare musica, chiedersi come fare nel mondo globalizzato a
conservare le proprie tradizioni.
Per non morire. Continua la
scrematura.
Due telefonate ed inizia l’avventura.
La prima
telefonata
è rivolta
al parroco di San Paolo albanese,
don Francesco Mele,
anzi Papàs o meglio, “Zoti Mele”.
San Paolo albanese vanta di
essere il più piccolo paese della
Basilicata,
in
bella posizione geografica, domina la
Valle del Sarmento,
ha un panorama
ad
“angolo giro” che spazia dalla Serra Dolcedorme,
al
Sirino, al Golfo di
Policoro, al
Bosco di
Farneta.
Uno splendido cartello colorato informa che San Paolo è un paese arberesh e in bilingue dà
il benvenuto.
Nulla a che fare con i
tristi cartelli
blu
dell’Anas. Anonimi
e tristi. Questi cartelli
incutono allegria, armonia e
serenità.
Sicuramente sono stati affissi
dall’amministrazione provinciale con fondi
della Legge quadro sulle minoranze linguistiche che demanda
alle provincie la “gestione” delle
realtà minoritarie. Al primo tornante
stretto spicca
la
chiesetta di San Rocco, risalente al 1614, come recita l’altro cartello turistico, “edificata su preesistenti monumenti religiosi
che recano vestigia del
mondo bizantino”.
Abbiamo appuntamento con Papàs Mele che ci
aspetta in canonica. Mi
ricordavo di
un
edificio fatiscente, freddo e triste. Invece si
tratta
di uno dei palazzi
di grande interesse acquistati dalla diocesi da
una delle famiglie
più
importanti del paese. Restaurata di
recente (ci sono voluti due
anni, ricorda Zoti) oggi è una accogliente e calda casa.
Don
Francesco ci riceve con gioia, con il
sorriso, si rammarica
che
nel pomeriggio ha un importante appuntamento ad Acquaformosa,
il suo paese natio, in provincia di
Cosenza,
tra i Monti
dell’Orsomarso
e quindi non può dedicarci molto tempo.
Ci invita
nella
sua abitazione per un caffè, “prima del lavoro è sempre
un
piacere ritemprare lo
stomaco dal
lungo viaggio”. Nel
salotto di
casa campeggia
un
bellissimo quadro
che raffigura una
persona
anziana a dorso d’asino mentre rientra
in
paese. Accortosi della nostra
attenzione, Don Francesco, racconta che quel quadro è opera della
figlia. Già Don Francesco è sposato ed ha una figlia
che
lavora a Milano come disegnatrice di moda.
“ È anche una brava
iconografa. Ha imparato
a Roma dal mio maestro Stefano Armacollas”. Alto, ben piazzato,
con la barba, ben curata, quasi
bianca e occhiali da
miope.
Dopo il
caffè di
rito, che per
gli arberesh è un segno distinto e di accoglienza
nella propria
casa, scendiamo giù nella
sala ricreazione dove i
bambini
(pochi per la verità) del
paese fanno catechismo e dove Don Francesco ha
il suo laboratorio di
iconografia. Dipinge icone per la sua
chiesa, per
altri
parroci che ne fanno richiesta.
Disegni, colori,
pennelli, progetti,
volumi con centinaia di
icone di scuola greca e una
tavolozza
con una immagine appena
abbozzata
di un viso della madonna glicofilusa.
I tecnici montano le attrezzature per
la ripresa ed invitano Don Francesco ad
iniziare il lavoro.
Subito si mette all’opera e in pochi minuti
prepara i colori da
stendere sulla tavolozza
per
dare forma al viso della Madonna.
Come per miracolo i
contorni del viso cominciano a
delinearsi e in pochi minuti appare
l’immagine … poi ci
trasferiamo in chiesa dove Don Francesco ci mostra l’iconostasi
con
le icone che lui ha
realizzato in tanti
anni e nei
momenti
liberi della
sua
attività pastorale.
Lasciamo San Paolo con una forte emozione che ci
rimane dentro.
Scendiamo a San Costantino albanese dove abbiamo appuntamento con un musicista, falegname, guida
ufficiale del Parco e costruttore di surduline.
Quirino Valvano è un giovane appassionato di montagna,
rocciatore,
guida, componente della
squadra Pollino del Soccorso Alpino
e nel tempo libero
agricoltore.
Infatti,
l’appuntamento è nel suo “ranch” subito dopo il
ponte sul Sarmento.
Ha rimesso in sesto un vecchio casolare di famiglia (ricordo quando, anni fa,
passai a trovarlo e vidi che era
impegnato con pala e pico a
scavare il
pavimento nell’ovile
perché aveva intenzione di
farne un laboratorio per
la costruzione delle
zampogne) circondato da querce,
nel silenzio
assoluto della campagna: unico suono assordante, monotono è il rumore del Sarmento che sta
per ingrossarsi
a causa
dell’aumento di temperatura che ormai annuncia l’arrivo della primavera.
Infatti,
l’acqua è già color
cenere, tipica della presenza di acqua di
provenienza
dallo scioglimento delle nevi
che, per la verità, ancora ricoprono le alte quote del Pollino lucano.
La giornata
primaverile consente a Quirino
di lavorare all’aperto. Cappello di lana multicolore che nasconde
una folte capigliatura, occhi azzurri,
maglione di
lana pesante muove le mani con grande sicurezza
nell’assemblare i vari pezzi della surdulina: si vede come ha una
manualità
sicura,
tipica di chi ha
fatto quelle manovre centinaia di
volte.
Innesta le ance e inizia a gonfiare la
sacca
e poi da fiato alle canne e intona
una bellissima
pastorale per la gioia
degli
operatori televisivi.
La regista è molto soddisfatta
delle riprese. I tecnici smontano le attrezzature, si incamminano verso l’auto ed io mi
fermo ancora qualche minuto con Quirino. Siamo amici da tantissimi anni. Gli chiedo come va. “Non si batte chiodo,
mi dice.
Aspettiamo
che arrivi la primavera per fare qualche
escursione guidata con le
scuole, se verranno,
visto
i tagli
alla scuola, che
inevitabilmente
penalizzano
le gite scolastiche”.
“Nel frattempo
sto lavorando
alla costruzione di
una
culla di legno
per
il bimbo di un mio
carissimo amico che dovrebbe
nascere tra qualche mese”.
Raggiungo
la troupe e ci avviamo verso San Costantino dove ci aspettano tre splendide donne che sono le
vocalist del gruppo
“Vuxha Arbereshvet” (la voce degli albanesi).
Con loro vogliamo registrare dei
canti da utilizzare,
probabilmente,
come colonna sonora
del documentario.
San Costantino albanese è un paesino posto nella
Valle
Sarmento, a 700 metri di quota,
poco meno di mille abitanti, tra
due valloni, esposto ad oriente,
con le case ben restaurate intorno ad un nucleo originario che
conserva ancora l’antica
struttura
a pietra a “faccia
vista” tipica delle comunità molto povere che usavano
materiali
primitivi per
costruire le loro abitazioni.
La statale finisce in Piazza Skanderberg, il
salotto del paese.
Noi però abbiamo
appuntamento davanti al santuario della
Madonna
della
Stella, protettrice del paese.
Uno splendido
posto con ampia vista
su
tutta la Valle e i monti circostanti.
Ideale per
cantare senza
rumori di
sottofondo.
In
breve ci raggiungono le tre signore. Lo sfondo dei monti
innevati,
sembra essere circondato dal nastro d’argento del
Sarmento che, data l’ora, luccica e brilla
in
lontananza.
I cantori cantano a
cappella
tre
brani della tradizione arbereshe, oggetto di un nuovo cd musicale arrangiato da
Nicola
Scaldaferri e Alexandra Nikolskaya in omaggio all’arte
poetica di
Enza Scutari. Si vede subito che cantano con passione, sono intonate, hanno delle splendide voci dai
toni alti che fanno saltare il livello dei decibel.
In pochi minuti si
registrano i brani
necessari per il
lavoro.
Non c’è bisogno di ripeterli
più
volte perché sono ben eseguiti. Raccontano della diaspora, ricordano il turco, si rifanno all’espansionismo ottomano che fu la causa principale dell’emigrazione degli albanesi
verso le coste italiane nel XV secolo.
Prossima tappa: la casa del Parco. L’Ente Parco nazionale del Pollino ha riadattato una struttura comunale a
Centro visita
ed accoglienza
con
le peculiarità
tipiche della
Valle. Una splendida mostra delle varie fasi della costruzione della surdulina,
curata da Quirino Valvano, sfoggia tutta
l’arte e la sapienza di
un
“artigiano del suono” che costruisce da se gli
strumenti.
Un diorama mostra un ambiente-tipo dei Boschi di
San Costantino albanese.
In un’altra
sala fanno mostra di
se
i pupazzi di cartapesta
(nuzasit) raffiguranti
una
coppia
in
costume albanese ,
due
fabbri e il diavolo, visto secondo la tradizione di San Costantino, ossia
con
due facce, quattro corna e i
piedi
a forma di zoccolo di cavallo, la forca e la catena del paiolo.
Nei giorni
festa i cinque pupazzi sono montati in piazza
e messi in movimento da alcune ruote piene di petardi. I
fabbri picchiano sul’incudine, gli
altri
girano su se stessi e alla
fine scoppiano tutti.
Le forze del
bene hanno sconfitto il male.
Ma la cosa che colpisce di più è una foto che raffigura
una grande frana che nell’aprile del 1973 si abbatté sul
paese,
distruggendolo in gran
parte: una sorta
di
Sarno ante litteram. Lorenzo sostiene che questo è
stato l’inizio della
fine. La comunità non ha più voluto costruire nuove case.
La giornata
è finita. Ci
attende il rientro ma
prima è necessaria
una “pausa caffè” prima di
rimetterci in
macchina.
In quale bar si
ha il miglior caffè?
Naturalmente a casa
di
Pina. Il
caffè con la moca è il migliore in assoluto.
Accoglienza e ospitalità sono un vanto per la comunità arbereshe.
A casa di Pina c’è il marito Lorenzo anche lui componente del gruppo e maestro di
musica
nelle
scuole medie.
Suonatore di molti strumenti, voce timbrica forte, anche lui fa
parte del gruppo che porta
in
giro la musica
arberesh.
Mi racconta del
grande successo ottenuto a Matera a fine anno per la
presentazione dell’ultimo cd musicale che ricorda la “Maestra” Scutari, poetessa, scrittrice, insegnante di tante generazioni
di giovani
sancostantinesi,
fondatrice e anima
del
circolo culturale “Vllamija” (fratellanza) che tanto ha
dato per
la comunità.
Altra
tappa (l’ultima) è da Enzo “il
falegname della Chiesa”.
Passiamo dal suo laboratorio,
all’ingresso del
paese.
Sta costruendo una
sorta di “vara” per
il procuratore della chiesa di Farneta. Lavoro di cesello per
sgrossare il
legno che da
lì
a poco prenderà
le
sembianze di un
angelo, di un giglio
e di rami di
alloro.
Enzo,
sposato con una maestra di
sci, sogna di
costruire una
sorta di
Arca
di Noè nella
Valle del Sarmento, al
posto di tutte queste opere di Arte Pollino che i
più
non capiscono e spesso costano svariate centinaia
di migliaia di
euro.
Gli brillano
gli occhi “sai che attrazione turistica avrebbe creato
una
gigantesca Arca in un isolotto in mezzo
al Sarmento?”.
Andiamo via con una certa tristezza
nell’animo, ma con tanta gioia per
aver incontrato tante persone
splendide che ancora sorridono alla vita nonostante le difficoltà
quotidiane, di
isolamento geografico e
solitudine di tutti
i tipi.
Mentre percorriamo a ritroso la
fondovalle del
Sarmento i monti
si
colorano di
rosso. Un tramonto che fa ben
sperare!
Emanuele Pisarra
il quotidiano della Basilicata, pag. 26-27 domenica 20 marzo 2011
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