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Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

lunedì 2 ottobre 2017

Dove cojo cojo



Si sono appena concluse, a Civita, le riprese cinematografiche per una serie televisiva americana.
Per diversi giorni il paese è stato un brulichio di tecnici, cameramen, automezzi, attori e tantissime comparse.
Quando una troupe televisiva giunge in un luogo dà adito ad almeno tre questioni sulle quali voglio riflettere facendo anche un po’ il punto della situazione civitese.

La prima. 

Dal momento in cui centinaia di persone all’improvviso “invadono” un paese piccolo come il nostro, con gli spazi limitati che tutti ben conosciamo, è ovvio che si acuiscano tutta una serie di disagi che sono anche conseguenza di una scarsa, per non dire nulla, organizzazione.
E fin qui, nulla di nuovo.
Ormai da anni siamo abituati alle file di autobus che quotidianamente costeggiano la strada dalla piazza fino a San Leonardo, ma nessuno si dà pensiero del fatto che bisogna trovare spazi opportuni da adibire a parcheggio.
Si parla da anni dell’abbattimento di quelle catapecchie all’ingresso del paese, salvo poi autorizzare il loro restauro. Eppure questi sono gli spazi comuni che abbiamo, senza interventi massicci di sbancamento per crearne dei nuovi.
Nessun sindaco, fra quelli succedutesi negli ultimi vent’anni, ha avuto il coraggio di agire in questa direzione.
Una immagine del Parcheggio di Belluno con il fiume Piave. 


Quale potrebbe essere una soluzione? 
Visto che a calcio non si gioca più da anni (per mancanza di calciatori, naturalmente!) perché non realizzare un parcheggio là dove c’è il campo di calcio e collegarlo con il paese per esempio, con una scala mobile?
In tantissime città turistiche italiane il problema “parcheggio” è stato appianato con soluzioni drastiche: basta andare a Loreto oppure a Belluno, dove è stato perfino deviato il fiume Piave per ricavarne il mega parcheggio di di Lambioi con migliaia di posti collegati con una scala mobile che sbuca nell’androne di uno dei più importanti palazzi della città.
Così come bisogna assolutamente regolamentare l’accesso alle Gole del Raganello, con spogliatoi e la creazione di aree di sosta pubblica per tutti coloro che vogliono recarsi al Ponte del Diavolo, senza interferire con la vita dei civitesi.
La seconda questione

Da anni si assiste al continuo “via vai” di giovani (e meno giovani) che girano per la piazza in costume da bagno, si cambiano dietro una macchina parcheggiata in modo sbilenco, con la conseguenza che invece di riparare dagli sguardi “lo spogliarello”, si rende ancora più visibile la scena.
La mancanza di una Guardia municipale che tenga a bada il traffico nelle ore di punta, in estate, di sabato e di domenica è avvertita da tutti. E non perché il Comandante Tursi non faccia bene il suo lavoro! Ha pur diritto a turni di riposo e alle sue ferie. Ma nei tempi di questa “vacatio” non c’è nessuno che lo possa sostituire, si creano così in quei momenti le situazioni di maggior caos. Anche perché, essendoci due ristoranti che si affacciano sulla piazza, per alcuni clienti è normale giungere in macchina fin nei pressi delle soglie per accedere alle sale da pranzo.
Basterebbe destinare ad area parcheggio il bordo lungo il vialone d’ingresso del paese per evitare che, nelle serate di un qualsiasi fine settimana e nelle giornate dei tempi di vacanza, la piazza sia gremita dalle tante auto parcheggiate a casaccio.
In tanti posti d’Italia nei luoghi dove sorgono strutture recettive in cui si mangia, si trova la disponibilità di parcheggi a qualche centinaio di metri.
Per noi, no: dobbiamo parcheggiare quanto più possibile vicino alla porta del ristorante.
Civita con i suoi spazi non permette ciò. Ed è sicuramente un bene, poiché i lauti pranzi che i nostri bravi ristoratori sanno imbandire, “necessitano” di una sana passeggiata post prandium.
Un semplice cartello di avviso (foto di E. Pisarra)
Con l’istituzione della navetta che porta al Ponte del Diavolo, è stato fornito sì un servizio per tutti coloro che non possano, o non vogliano, recarsi a piedi fin lì. Tuttavia, coloro che invece hanno il desiderio di fare una passeggiata per raggiungerlo, spesso sono superati in salita o in discesa dal “Camion di Gheddafi” che “sgasa” a più non posso per arrancare su quella stradina che si è rivelata inadeguata e questo tipo di trasporto; con la conseguenza che il selciato è pieno di buche, non c’è un parapetto a protezione in caso di necessità, con seri pericoli per chi usufruisce di questo servizio. Se a questo poi aggiungiamo che quel percorso è aperto a tutti, lascio immaginare al lettore il “traffico” per nulla piacevole che un qualsiasi visitatore si trova di fronte. Il tratto che porta al Ponte del Diavolo è un bellissimo percorso: forse un po’ faticoso, soprattutto d’estate; ma rimane comunque una passeggiata ricca di emozioni intense che si ricorderanno per tutta la vita.
Eppure anche in questo caso, non c’è alcuna regolamentazione all’accesso al Ponte del Diavolo con le auto. Chiunque si può improvvisare accompagnatore e portare con la propria auto amici, parenti e ospiti fino alla piazzetta antistante il Ponte.
Altra questione. Le capannine di legno, i cestini posizionati in vari punti, che non vengono con frequenza svuotati, traboccano di immondizie varie (non ci sono indicazioni per la raccolta differenziata) sono la gioia di cani, gatti e altri animali randagi che approfittano dei resti di cibo per spargere tutto quel che non è commestibile per la valle. 

Anche in questo caso è necessaria una nuova politica: nessun cestino ma tanti cartelli che invitano i visitatori a riportare indietro i propri rifiuti: è la norma che a San Lorenzo Bellizzi fu inaugurata nel lontano 1982 e che dà ottimi risultati.
Un quesito importante: nel Raganello si può fare il bagno, lungo le sue rive si può prendere il sole, si può fare colazione tra i sassi, si può ascoltare la radio ad alto volume, si può schiamazzare?
E a chi è demandato il controllo del luogo?
Con la sciagurata riforma Madia, che ha distrutto il Corpo Forestale dello Stato, la tutela della natura a chi spetta?
La discesa delle Gole del Raganello, quest’anno – anche per le ottime condizioni metereologiche – ha richiamato migliaia di persone, forse più degli anni passati, ma la comunità quali benefici ne ha avuto? 



Il marketing turistico, insegna come, affinché una località possa godere di benefici dall’ospite che si reca in quei luoghi per visitarli, sia necessario che la permanenza non sia inferiore alle ventiquattro ore. Invece gli escursionisti, che si avventurano nelle nostre Gole, permangono a Civita – salvo piccole e lodevoli eccezioni - lo stretto necessario per effettuare la loro avventura e vanno via. Così registriamo come la piazzetta al mattino sia invasa da orde di giovanotti intabarrati in mute, in fila indiana, schiamazzanti e gioiosi, pronti a cimentarsi nella loro piccola fatica.
A questi aggiungiamo i tanti automobilisti che chiedono dove sia il Ponte del Diavolo, dato che la segnaletica turistica, fatta eccezione per le piccole insegne in legno e per lo più illeggibili, non esiste.
Per tutte costoro, perché non pensare di creare una “corsia preferenziale” di accesso al Raganello, per esempio, sistemando la pista forestale lungo il fiume?
Otterremmo due risultati: eliminare tutto questo traffico dalla piazzetta e convogliare direttamente quanti sono interessati al solo Raganello e non anche alle altre tante cose che il nostro paese e la nostra comunità offrono.
Coloro che poi desiderano o hanno in programma di pranzare in uno dei ristoranti del paese e di visitare anche l’abitato non avranno difficoltà a salire al centro storico.


Terza questione
Abbiamo smarrito l’obiettivo di sostenibilità del turismo a Civita? diamine, siamo o no all’interno di un Parco nazionale, dove la natura – dicono i pochi cartelli in giro – è protetta? 

Noi di Civita siamo stati certamente tra i primi paesi del Parco a realizzare un sentiero attrezzato, ma oggi è in completo abbandono. Ne abbiamo fatto un secondo. E poi un terzo: stessa sorte. Tutto perché, non avendo le idee chiare su cosa si volesse raggiungere nel futuro, si è lavorato in vista dell’immediato senza una programmazione organica e lungimirante un po’ alla romanesca “dove cojo cojo” che sintetizza la mancanza, di un idea di sviluppo, con, in questo caso, una rete sentieristica organizzata e integrata (e non la realizzazione di tanti sentieri singoli a sé stanti come tanti vicoli ciechi), in modo tale che un visitatore giungendo in piazza, abbia la possibilità di acquistare una mappa del territorio e decidere cosa fare e come impiegare il proprio tempo.
Esiste un ufficio privato che espone i cartelli della “ProLoco” ma apre quando fa comodo ai proprietari, eppure espone il logo di una organizzazione che, come dice la parola stessa, lavora per il luogo, per la comunità.
Qualcuno ha chiesto ai proprietari di rimuovere questo cartello oppure di stipulare una convenzione con l’Amministrazione comunale e usare questa struttura come punto di informazione al pubblico con orari di apertura stabiliti?
Una signora venuta dal Giappone, poco dopo Pasqua, è stata per ore in attesa dell’apertura per avere informazioni sulle attività che si possono fare in paese. Per sua fortuna, e poi anche mia, è passato “zio Antonio” che si è offerto di farle fare un giro turistico, accompagnandola fino al Belvedere “Norman Douglas”.
Di fronte alla richiesta di voler vedere altro, “zio Antonio” è stato così gentile da darle il mio recapito telefonico e così sono venuto a sapere dell’accoglienza che di fatto Civita le aveva riservato.
Nonostante tutto il movimento “turistico” sviluppatosi nel corso degli anni a Civita, a nessuno è venuto in mente di frequentare un corso per accompagnatori turistici, guide e simili figure.
Perché la tipologia dei turisti è molto variegata: associazioni di volontariato, delle Pro Loco, delle gite scolastiche, della “terza età” e altre.
Nessuno di Civita ha superato la selezione all’ultimo bando emanato dall’Ente Parco del Pollino per partecipare al corso di Guida Ufficiale con il risultato che gli accompagnatori sul nostro territorio o vengono da altri paesi o si trovano tra le fila del Soccorso Alpino. [Ma questi, se sono soccorritori perché fanno gli accompagnatori?] Quando i ruoli si confondono spesso si creano incidenti di percorso, in molti casi gravi, da indurre le autorità a prendere severi provvedimenti che sicuramente non saranno indolori per la comunità.
Da anni sostengo che abbiamo la necessità di trovare alcuni giovani valenti che frequentino un corso di guida alpina (di quelli che vengono realizzati sulle Alpi ma anche sul Gran Sasso) perché la normativa dice che solo queste figure possono accompagnare i visitatori senza difficoltà e in qualsiasi luogo.
Si potrebbe lanciare una “manifestazione di interesse” presso il nostro ente Parco, chiedendo anche di poter usufruire di agevolazioni per sostenere i costi della formazione fuori regione.
A questa formazione, alta e specifica per quanto riguarda l’escursionismo “spinto” riservato ad una tipologia di utenti particolari, avevamo pensato, agli albori del turismo civitese, quando realizzammo nel 1990 la prima conferenza stampa con giornalisti di testate specialistiche anche straniere, registrando notevole interesse e grandi risultati: se oggi molti indirizzi civitesi appaiono su guide tedesche, cataloghi di agenzie turistiche, siti olandesi e inglesi, in gran parte è dovuto a questo lavoro silenzioso e, spesso deriso, di quei pochi pionieri che, a partire da quella conferenza, si sono impegnati  per anni in questa direzione.
Da questo movimento sono nati musei, ecomusei, belvederi, punti panoramici, percorsi turistici, strutture ricettive, ristoranti, negozi di prodotti tipici, negozi di souvenir e pubblicazioni sul territorio.
Questo è stato l’inizio!
Oggi di fronte a un nome da spendere, un progetto da vendere, un idea di sviluppo da perseguire, sembra proprio che abbiamo smarrito la via.

In nome di cosa? Di un turismo “mordi e fuggi” di entrate effimere, della serie “pochi e subito”, senza renderci conto che così azzeriamo tutto quello che è stato fatto fino ad ora.
Se fino a qualche anno fa eravamo abbastanza i soli ad offrire ai turisti le nostre ricchezze, oggi si registra una buona concorrenza dai paesi del circondario: in molti si stanno attrezzando nell’offrire qualcosa e, potenzialmente, sono tutti nostri concorrenti.
Perciò è necessario caratterizzare la nostra offerta per mantenere quel quid di unicità e specificità.
Il rischio che corriamo è di entrare in un tunnel che ha sicuramente un ingresso, non ha una uscita certa e non si sa a quale distanza e in quanto tempo, se ne potrà venir fuori.
Proprio perché profondamente convinto di questo, mi sono permesso di sollevare dubbi per l’aver dato il permesso di girare in paese alcune scene di un film che non daranno lustro alla comunità. Civita come set cinematografico non ne ha ricavato ricchezza per la collettività, se si fa eccezione per coloro che hanno prestato la propria disponibilità professionale.
Ribadisco che la comunità ne ha avuto solo fastidi. In cambio di cosa? Per essere citata nei titoli di coda del film?
Ecco chi persegue un obiettivo, ha un idea, un progetto, una visione lungimirante deve avere il coraggio di dire “no grazie: questa cosa non interessa la mia comunità e addirittura lede i nostri obiettivi”.
Alla luce di tutto ciò propongo alle autorità che governano il paese e il territorio, di indire un “tavolo di confronto” per capire quali progettualità abbiamo e, magari, istituire una apposita indagine socio-economica su come si sia trasformato il turismo a Civita.
Siamo un piccolo paese, una comunità fatta per lo più di anziani; la fuga di giovani è quasi giornaliera; il territorio è piccolo in termini di superficie, ed è impensabile di poter accogliere migliaia di persone con pressapochismo e superficialità, senza prima o poi pagarne il dazio.

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