Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Io sono sempre dello stesso parere: sino a quando non sarà rinnovata la nostra classe dirigente, sino a quando le elezioni si faranno sulla base di clientele, sino a quando i Calabresi non indicheranno con libertà e coscienza i loro rappresentanti, tutto andrà come prima, peggio di prima.
Umberto Caldora (lettera a Gaetano Greco Naccarato, 1963)

sabato 30 dicembre 2023

Una fortezza in cima al monte Manfriana

 Ancora oggi è oggetto di studi l’area apicale della cima del monte Manfriana.

Per tutta la superficie si trovano sparsi sedici blocchi di roccia squadrati di varie dimensioni, pronti per essere usati per innalzare una costruzione, ma chi sia stato a scolpirli non si sa. 

Così come non si conoscono i motivi che spinsero un popolo a raggiungere la sommità di questa cima, crearvi un insediamento, seppur temporaneo, per aprirvi una cava, estrarre e lavorare quei grossi blocchi di roccia e lasciarli sulla cima in attesa di essere collocati in ordine da qualche parte. 


Dalle ricerche effettuate agli inizi degli anni Novanta è emerso che la lavorazione dei blocchi risale al periodo greco tra il VI e il IV secolo a.C. 


Il monte Manfriana si trova a metà del lungo sinclinale riconducibile alla catena di vette Timpa del Principe – Serra Dolcedorme – Monte Pollino, disposto in senso Sud-Ovest/ Nord-Est ed è formato da due cime: una occidentale e l’altra orientale.

Che si volesse innalzare un piccolo edificio si evince dal fatto che uno dei blocchi di roccia è a forma di architrave, posto in una buca, proprio a pochi metri dalla cima. 

Gli altri sono quasi tutti a forma rettangolare, tranne uno che ha dimensioni uguali (un quadrato?). 

Tutti presentano su di un lato una profonda incisione che, a detta degli esperti, è identificabile con l’incavo dove si inserisce un cuneo affinché i blocchi non slittino una volta messi uno sull’altro. 

Proviamo a descrivere il luogo. 

In mezzo trova posto una conca, conosciuta come l’Afforcata, nei cui pressi sorgeva un insediamento pastorale (fino a non molti anni fa.) almeno fino a quando le nevicate abbondanti si trasformavano, in periodo estivo, in una piccola fontanella dalla quale si poteva attingere acqua. È curioso il fatto che questa piccola sorgente di volta in volta appariva e scompariva in diversi punti alle pendici di entrambi i versanti delle due cime.


I cambiamenti climatici hanno fatto sì che non nevichi così intensamente da alcuni anni e, quindi, la sorgente è scomparsa. Di conseguenza anche l’insediamento umano non esiste più. Il tempo ha distrutto anche i resti delle capanne di legno e lamiera che facevano da ricovero per uomini e capre. 

Per questo non è azzardata l’ipotesi che la cima orientale fungesse nei tempi antichi da posto di guardia e l’Afforcata da punto di ristoro e riposo tra un turno e l’altro.


Anche se la Manfriana è una cima di poco sotto i duemila metri di quota, la sua posizione a piramide la rende inconfondibile da qualsiasi punto la si guardi.


Inoltre, una mia ipotesi personale, tutta da verificare, consiste nel fatto che la Manfriana potesse fare da ponte per le comunicazioni tra le città magno-greche poste sulla costa ionica (da Sibari, a Policoro, Metaponto) con le altre comunità della costa tirrenica, in primis Paestum.

Ho sempre pensato a una linea immaginaria che collega la prima “stazione” di comunicazione posta sul Monte Coppolo, nel territorio di Valsinni, con la Manfriana. Entrambe le cime si “guardano” bene e sono ubicate a controllo di due delle “vie istmiche” che consentivano l’attraversamento del Massiccio del Pollino verso la Basilicata.

Una di queste sale dalla Piana di Sibari, lungo la valle del Caldanello, nel territorio di Cerchiara di Calabria, per poi proseguire, una volta oltrepassata la Valle del Torrente Maddalena, verso il Sinni e quindi le città greche lucane. 


Sembra che questa strada fu percorsa più volte anche dall’imperatore Federico II di ritorno dai suoi viaggi in Sicilia per recarsi a Melfi e, secondo alcuni storici locali, il nome “Manfriana” derivi proprio dalla storpiatura di “Manfredi”, il figlio prediletto del grande condottiero.

Un’altra via è costituita dalla Valle del Raganello.

All’altezza dell’abitato di Civita, esisteva una via che conduce lungo il crinale roccioso, sulla sponda destra orografica del torrente Raganello, fino al valico della Falconara per poi ricongiungersi con la direttrice che proviene da Cerchiara per poi scendere al Sinni.

La realtà di queste vie lo dimostrano i ritrovamenti e gli insediamenti recentemente trovati nelle due valli.

In entrambi i casi l’insediamento sulla Manfriana fungeva da punto di riferimento e controllo delle due vie.

Con questa finalità, i volontari della sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano, hanno inteso proporre il sentiero che collega la località di Colle Marcione con la Manfriana, ricalcando il possibile tracciato utilizzato da coloro che prestavano servizio di guardia in vetta.

Dopo un primo tratto immerso nella faggeta si esce sul crinale di Timpa del Principe e, da questo momento e per le due ore successive di cammino, è un continuo saliscendi con una vista dagli ampi panorami: a Ovest tiene la scena tutta la Valle del Coscile (l’antico Sybaris), chiusa dalle quinte dei monti della Catena costiera calabrese, a Est, le ultime rocce delle Timpe digradano verso la Piana di Sibari e il mare ionico; chiude l’orizzonte il crinale di monti della Sila greca.

Non è raro che nelle giornate ventate si mostrino in tutta la loro bellezza il Golfo di Sibari e le due “protuberanze terrestri” di Capo Trionto e Punta Alice.

Il numero del sentiero è il 941.

Emanuele Pisarra




PS

Questo articolo è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista "Il Calabrone" in edicola in questi giorni.

 

 

 

martedì 21 novembre 2023

Primum vivere deinde philosophari

 Le mie impressioni/considerazioni a margine della Festa dei Trent'anni del parco nazionale del Pollino

 Le mie impressioni/considerazioni

 

Una prima domanda sorge spontanea: bastano tre ore per condensare una storia di trent’anni?

Per gli organizzatori sembra di sì. 


Il confronto va, per esempio, alla festa dei trent’anni del Parco della Val Grande, che li festeggia a breve (il 23 novembre) in quanto per il loro convegno il calendario degli interventi è così fitto e serrato da impegnare una intera giornata all' interno di tre giorni di eventi.

Per il convegno sul nostro parco, delle due l’una: o si è fatto troppo poco oppure non si ha niente da “comunicare”. 

Una prima delusione è stata rappresentata dalla location. Il cineteatro di Rotonda è troppo piccolo per dare ospitalità ai tanti abitanti del Pollino. 

Se la matematica non è un’opinione, se è vero come pare che nell’area parco abitino circa 120 mila persone, anche se si fosse presentato solo l’1% (circa 1200 persone) queste non avrebbero trovato mai posto.

Invece, escludendo il personale del Soccorso Alpino, i Carabinieri forestali, una parte dei dirigenti del Parco, il servizio d’ordine coordinato dalla Protezione civile, i giornalisti e i videomaker, non c’erano più di 100 persone, di 100 "semplici" abitanti del Parco, poco meno dello 0,1% della popolazione residente nel perimetro del Parco. 

Non ho idea di quanti abbiano seguito la diretta sui social e sui vari canali televisivi privati. Mi auguro davvero tanti da raggiungere almeno quell’1% di cui sopra. 


Sull’impegno e sulla qualità del lavoro svolto dalle singole strutture del Parco non ho dubbi: in questi anni ho seguito il loro operato. 

Ho, invece, molte perplessità sulla ricaduta delle presentate ricerche nella comunità del Parco. 

Credo che la scoperta della presenza del gatto selvatico non sia in cima ai pensieri dei cittadini del Parco. 

Primum vivere deinde philosophari” avrebbero detto i latini.

Ho più volte scritto (come altri commentatori) che la superficie del nostro parco è di 171.132 Ha e non di 194.000 o 200.000 come e più volte è stato detto nel corso della serata. Quindi, secondo l’elenco[1] ufficiale del ministero dell’Ambiente, non solo il nostro non è il Parco più esteso d’Italia ma, siamo secondi, dopo il Parco del Cilento.

Questo perché all’interno del perimetro del Parco nazionale del Pollino vi sono le quattro Riserve naturali protette che sono gestite da altri enti. 

Queste riserve[2], sarà bene ricordarlo, sono: 

La Riserva Naturale Orientata Gole del Raganello, istituita con D.M. Ambiente il 27.07.1987 n. 424 con una superficie di 1660 ha, interamente ricadente nel comune di San Lorenzo Bellizzi e la cui gestione attualmente è affidata al Reparto Carabinieri Biodiversità di Cosenza;


la Riserva Naturale Orientata Valle del fiume Lao, istituita con D.M. Ambiente il 21.07.1987 n. 426.  Con superficie di   5200 ha, interamente ricadente nel comune di Papasidero e gestita a tutt'oggi dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Cosenza;

La terza è la Riserva Naturale Orientata Valle del fiume Argentino, istituita con D.M. Ambiente il 21.07.1987 n. 425. con Superficie di 3.980 ha, interamente ricadente nel comune di Orsomarso e affidata al Reparto Carabinieri Biodiversità di Cosenza; ultima la quarta, la Riserva Naturale Rubbio, con superficie di 280 Ha, istituita con DDM 29.03.72/02.03.77, interamente ricadente nel comune di Francavilla in Sinni e gestita dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Potenza.

Ora, la superficie totale di queste riserve ammonta a 11.060 ha che, sommata alla superficie del Parco, giunge al totale di 182.192 ettari. (E con questo numero, sì che saremmo più estesi del parco del Cilento...).

Come più volte ho scritto, l’Ente Parco del Pollino può chiedere l’affidamento di queste 4 riserve, attraverso una propria deliberazione in accordo con il Ministero dell’Ambiente, ai rispettivi enti proprietari (che per tutte e 4 risulta essere il ministero delle politiche agricole e forestali). Per questo affidamento è necessario un DPCM e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma questo iter non è mai stato avviato. 

Mentre, anche se poco importa, l'effettiva superficie del Parco, secondo una mia elaborazione GIS su dati del Ministero dell’Ambiente, ammonta a 172.748 ettari. Numero che resta ben lontano da quelli più volte citati durante la serata.

 L’assenza alla manifestazione degli altri presidenti e direttori, che si sono succeduti nel tempo alla guida della Comunità del Parco, come pure i rappresentanti delle Guide ufficiali ha destato più di qualche perplessità. 

Non si è parlato di sentieristica, né di accordi di programma o protocolli di intesa con enti e associazioni. 

Il presidente ultimo Pappaterra ha ricordato solo tre amministratori locali che, a suo dire, hanno contribuito a far conoscere il Parco. 

Ha dimenticato, forse preso dalla fretta, Claudio Rende, Francesco Franco, Mario Tommaselli, Franco Tassi, Vincenzo Perrone, Mimmo Pace e tanti altri che, per i ruoli svolti, hanno determinato le sorti del Pollino.

Così come si sono (volutamente?) dimenticati molti comandanti-stazione dell’ex Corpo Forestale dello Stato…

Una cosa che mi ha molto infastidito è la posizione della FederParchi che si auto attribuisce il ruolo di consulente del Ministero ed esprime giudizi sulla gestione e modalità di governance di una area protetta. 

A mio avviso, la Legge quadro 394/91 va riscritta nella parte gestionale delle aree protette e, in primo luogo, sulla figura del Direttore che deve essere assunto tramite concorso per titoli ed esami. 

Mi duole dirlo ma questa volta concordo con l’onorevole Graziano quando afferma che il Parco "non ha bisogno di nuove infrastrutture, ma di manutenzione delle stesse". 



Ricordo che il territorio del nostro parco ha il maggior numero di chilometri di strade per unità di superficie: un ente che si rispetti qualche strada forestale la chiude al traffico automobilistico e le altre le regolamenta. Per esempio, bisognerebbe vietare l’attraversamento del Pollino ai pullman di grandi dimensioni che si recano al Santuario di Madonna del Pollino: questi usino le normali statali e non la stradina interna che passa da Colle Impiso. 

Infine, l’aver smantellato la rete di Lavoratori Socialmente Utili, selezionati e faticosamente formati per trasferirli ai comuni, è stato un vero disastro perché potevano essere impiegati per piccoli lavori di manutenzione del territorio, come la pulizia delle cunette, manutenzione della sentieristica, sistemazione di piccole aree da adibire a parcheggio, senza così  dover ricorrere alla formula dell’appalto, sia per i costi che essa comporta sia per il tempo necessario per l’espletamento delle procedure.  

Non posso parlare del fotolibro che come dicevo non ho ricevuto e non ho avuto neanche modo di sfogliare. 

Altra nota dolente è l’approvazione del Piano del parco che è stato licenziato dalla Regione Calabria ed è in discussione alla Regione Basilicata da molto tempo quando un articolo della famosa e più volte citata legge quadro dice che esso deve essere redatto entro *sei mesi* dalla istituzione dell’Ente Parco. 

In dirittura d’arrivo l'ottima conduttrice del talk ha fatto la domanda sibillina all’assessore regionale Latronico: "a quando la nomina del nuovo Presidente dell’Ente Parco nazionale del Pollino?" 

“Conosco Viola Valentino da tanti anni …”!

Al buffet, data l’ora, provo ad assaggiare qualche pasticcino al cioccolato e, dato il caldo della sala, bevo qualche bicchiere di succo di ananas. Nel frattempo mi lamento con un funzionario del Parco perché non mi vuole dare una copia del fotolibro e apprendo che la manifestazione è costata trentamila euro, 10.000 euro a decennio....

Volevo restare per ascoltare il concerto ma mi era passata la voglia.

Mi auguro e suggerisco per il prossimo anniversario, il 14 febbraio 2024, quello dell’entrata in vigore dell’Ente Parco, una diversa e migliore organizzazione...

 



[1] Gazzetta Ufficiale - Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Decreto 27 aprile 2010. Approvazione dello schema aggiornato relativo al VI Elenco ufficiale delle aree protette, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1994, n. 394 e dell’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, 281. Pagina 3

[2] Idem, pp 9-10

 



Festa dei trent’anni dell’istituzione del Parco nazionale del Pollino

Vado o non vado? Non ho motivo per andarci, così come non ho motivo per non andarci. 
Nel dubbio vado! 
La manifestazione si svolge a Rotonda presso il cinema comunale e a condurla è la giornalista Margherita Sarli di Trm Network. Dalla scarna locandina di invito non si capisce bene come si svolgerà la serata: non ci sono relatori ufficiali, non risultano invitati i vecchi direttori, presidenti, guide, giornalisti e attivisti vari che in diverso modo hanno contribuito a salvaguardare e a far conoscere il Pollino. Chiedo a vari funzionari che conosco e saluto chi abbia organizzato l’incontro, m nessuno sa niente! La risposta di tutti è: “siamo qui per caso”. Una “bella soddisfazione”, direbbe un noto comico. Come in ogni appuntamento che si rispetti è inopportuno dare avvio ai lavori in orario. Cosa si aspetti non è dato sapersi ma con mezz’ora di ritardo si apre il sipario. 

Viene proiettato un video: Il Parco da amare! 

Valentina Viola, presidente facente funzioni, snocciola una serie di slogan (valorizzazione dei cinquantasei borghi, patrimonio di biodiversità, i parchi rappresentano momenti importanti per comprendere l’uomo e la natura) e conclude, lapalissianamente con: "trent’anni sono tanti ma non sono abbastanza". Segue un altro stacco con un altro video. Poi salgono sul palco il vicesindaco di Rotonda, Giulia De Cristofaro che si interroga su cosa sia cambiato dalla istituzione del

Parco ad oggi; il viceprefetto di Potenza afferma che la Basilicata, con l’enorme patrimonio naturalistico, è la regione (o una delle regioni?) a più impatto verde d’Italia. Segue il comandante dei Carabinieri forestali che annuncia con orgoglio passione ed entusiasmo il ruolo di sentinella per questo scrigno che svolgono gli uomini dell’arma nel reprimere ogni reato. 

Altro video. Il Parco da vivere! (seconda parte) 

Subito dopo è la volta del Direttore facente funzione, Arturo Valicenti, incalzato dalla bravissima conduttrice Margherita Sarli su cosa bolla in pentola, sciorina tutto il “cucuzzame”: “abbiamo in cantiere tantissimi interventi di salvaguardia ambientale, gestione forestale sostenibile, efficienza energetica delle strutture e il rilancio della Catasta come contenitore per il Parco, una sorta di HUB molto importante”. Alla domanda se due sedi sono davvero un vantaggio la sua risposta è: "Certamente sì". 


Altro video. 
A seguire è chiamato sul Palco Iannibelli, presidente della Comunità del Parco, organismo che rappresenta tutte le autorità politiche presenti sul territorio (sindaci, presidenti di regione e di provincia). Il quale si lamenta dell'assenza di tanti sindaci lucani in sala. In effetti sono ben pochi: a occhio e croce meno della metà. Il che la dice lunga sulla credibilità del Parco tra i primi cittadini.

Ma cosa sostiene Iannibelli? L’ovvio! Il Parco ha bisogno dei sindaci e dei comuni, in quanto l'affluenza di tanti turisti e la tanta visibilità del Parco sono merito dei singoli comuni e si dice convinto del fatto che “esiste una maturità maggiore dei cittadini a vivere il Parco”. La noia mi assale sempre più: mi guardo in giro e noto una serie di sguardi tra il serio e il faceto e penso che in molti si chiedano cosa ci facciano qui! Nel frattempo la conduttrice chiede a Iannibelli se è vero che sono stati abbattuti 24500 cinghiali. Pare di sì e allora, forse, c’è un finanziamento per la creazione di una filiera “del cinghiale”, secondo la Conduttrice?

 Avanti con un altro video. 

Poi è la volta dei vari dirigenti di servizio del Parco. Si inizia con il duo Aldo Schettino-Giuseppe De Vivo e l’argomento è il pino loricato, sul quale entrambi sono molto ferrati e annunciano con orgoglio i vari studi condotti su questa specie “unica”, simbolo di "resistenza ecologica” e dotata di una “plasticità ecologica”.

La tenacia ha premiato: la collaborazione con l’università della Tuscia ha fatto sì che si sia arrivati alla scoperta di ITALUS, il pino loricato di 1237 anni, l’albero più vecchio d’Europa. Altro importante obiettivo raggiunto è l’iscrizione a patrimonio Unesco della Faggeta di Cozzo Ferriero: ecosistema di una complessità unica, con piante di almeno trecento anni di età. Ancora un altro record registrato porta ad affermare come sul Pollino esistano i faggi più vecchi d’Europa nel complesso forestale Pollinello -Dolcedorme dove due faggi spiccano particolarmente per la loro longevità. In memoria di due importanti personalità che, in periodi diversi, hanno visitato il Pollino, è stato imposto a un faggio di 620 anni il nome di Michele (Michele Tenore, botanico napoletano) e a un altro di 622 anni il nome di Norman (Norman Douglas, scrittore e viaggiatore inglese).

Invece Giuseppe de Vivo, responsabile del servizio antincendio del Parco, racconta la genesi di questa importante struttura nata nel 2008, con la collaborazione dei volontari della protezione civile, all’insegna dello slogan “meno brucia/ più guadagni”, in quanto i vari gruppi affidatari dei diversi settori del parco, vengono ricompensati con una somma inversamente proporzionale alla superficie andata a fuoco. Come afferma de Vivo: “I risultati sono sotto gli occhi di tutti: quest’anno gli incendi si sono ridotti del 90%”. Per questo il servizio ha ricevuto l’encomio del ministero dell’ambiente. Altro giro di giostra e altro video (Go Parco). Questa volta tocca al “duo” Luigi Bloise e Luigi Calabrese, gli artefici dell’inserimento del Pollino nel patrimonio mondiale dei GeoParchi. Altro cambio: è il turno del servizio Conservazione, mirabilmente diretto da Pietro Serroni. Questa volta il passaggio non è preceduto da un video ma da una serie di immagini che raffigurano le ricerche condotte dal gruppo che fa capo a Serroni. In primis la cattura di tre esemplari di gatto selvatico, che ha permesso ai ricercatori di affermare che esiste una popolazione “abbastanza numerosa” di questa specie e che non si “ibrida” con il gatto domestico. Segue lo studio della trota nei fiumi del parco dal quale si evince l'esistenza di una razza autoctona. Altro tema di studio “caldo” è il supporto e la mitigazione del conflitto con il lupo, in parte risolto con la donazione gratuita ai pastori di cani “color pecora”, ossia cani di razza abruzzesi.
 Altro video
 E poi la scena passa a Marianna Gatto- Bruno Niola dalla quale apprendiamo che i prodotti del Pollino, in questo momento, sono a una fiera a Malmö in Svezia e che precedentemente hanno partecipato a tantissime fiere in tutta Italia. 
 Dal 2011 c’è stato un aumento di centomila turisti in tutto il territorio del Parco, anche perché l’offerta è diventata più ampia. A questi risultati ha certamente contribuito il fatto che il parco è al terzo rinnovo della CETS (Carta Europea del Turismo Sostenibile); uno strumento che detta le regole per fare turismo sostenibile.  La prossima fase è: riconoscere agli operatori turistici un “bollino di qualità”. Niola, responsabile comunicazione del Parco, riconosciuto dalla presentatrice come organizzatore dell’evento, parla di come sia complesso “comunicare” in modo completo ed esaustivo il Parco: la sua grandezza amplifica i problemi. Per questo si è deciso di fare un fotolibro con solo ottanta foto, diviso in tre sezioni: 
• Patrimonio naturalistico 
• Paesaggio antropico 
• Attività del parco. 
Le immagini selezionate e raccolte nel libro saranno oggetto di una mostra itinerante che a breve si traferirà a Roma presso la Società Geografica. Le foto sono state realizzate da due stagisti, Pierluigi Rottura e Francesco Vigliotti. 
 Altro video. 
 A questo giro, la svolta. Appaiono sul Palco Domenico Pappaterra e Vincenzo Cerchiara. 
Il primo non ha bisogno di presentazioni; il secondo, ha svolto il ruolo di presidente facente funzioni, tanto tempo fa. Pappaterra parla di un parco adolescente, paragonandone l’età a quello d’Abruzzo che
ha festeggiato i suoi cent’anni. Sostiene che “questi primi trent’anni sono un bicchiere mezzo pieno” e approfitta dell’occasione per chiedere all’assessore regionale Latronico di licenziare al più presto il Piano del Parco. Infine, ricorda come durante il suo mandato di presidente abbia incontrato otto ministri dell’ambiente, diversi presidenti regionali e più di cento sindaci. Rivolge un pensiero verso gli amministratori del passato e in particolare cita Sandro Berardone, Luigi Viola e Antonio Schiavelli. Decisamente interessante è stato l’intervento del primo presidente facente funzioni. “Siamo stati artigiani, costruttori, avviatori di un lavoro immane per gettare le basi di una conversione culturale. Il Parco era visto come un ostacolo”. A questo punto della serata sembrava mancasse il dibattito, invece dopo un altro video, ecco che salgono sul palco, il presidente Viola, l’assessore regionale Latronico e il vicepresidente di FederParchi, Spadone. 
La moderatrice legge il dispaccio di circostanza del sottosegretario al Ministero dell’ambiente, on. Barbaro. 

 “È cambiata la coscienza delle aree protette”, esordisce il rappresentante di FederParchi. L’assessore Latronico, da vecchio e consumato politico, lungi dal rispondere alla conduttrice che avanza timori sulla capacità delle due regioni di affrontare una simile sfida, afferma che il parco sta nel cuore delle persone e che i sindaci hanno presentato due modelli di successo cioè Civita e Rotonda. 
Nel frattempo scopriamo che il consigliere regionale della Calabria, Giuseppe Graziano, per una sorta di “maledizione della connessione” non riesce a intervenire. Spadone, si chiede chi guiderà il Parco? E avanza l’idea che la legge quadro vada rivista. A suo avviso, il direttore deve essere nominato dal Presidente in carica. Finalmente appare in video Graziano il quale ricorda il periodo della sua presenza sul Pollino sia come comandante del CFS sia come Direttore. 
 

Concorda con Spadone sul fatto che la legge quadro 394/91 debba essere adeguatamente riaggiornata. “Ai miei tempi – ricorda Graziano – il piano di abbattimento di cinghiali e i danni da fauna occupavano gran parte del bilancio”. Alla domanda su nuove infrastrutture necessarie lanciata dall’assessore Latronico, risponde che questo parco ha bisogno di manutenzione. E di nuovo cade la linea… 
E quindi si ritorna sulle difficoltà dei parchi con poco personale… Latronico si infervora in elogi per i Parchi regionali e nazionali della Basilicata. Dal pubblico si leva un grido… “assessore dica qualcosa sulla centrale del Mercure”. Ma l'assessore non ha sentito la domanda e non risponde. Al quesito della conduttrice su quale sia il primo progetto al quale si sta lavorando, l’assessore Latronico ne elenca solo i primi tre: 
  Mobilità sostenibile 
  Focalizzarsi sulle comunità 
 Educazione ambientale. 
E cala il sipario definitivamente: Il tempo è scaduto!
Nella hall si distribuisce il fotolibro che non ho il piacere di ricevere perché è destinato agli ospiti... Il solito amico che dice di volerti bene annuncia trionfante: “fai presto perché fuori c’è il buffet”. Ma ci sono solo tre tipi di pasticcini, una vasta scelta di succhi di frutta e caffè. E anche per il buffet...che tristezza!!!

martedì 9 maggio 2023

VOX POPULI VOX DEI

 È consuetudine che il tardo pomeriggio lo trascorra in piazza tra i vari luoghi di incontro.

Torrente Raganello.
Torrente Raganello. Particolare della briglia rotta dalla piena del fiume.
In questo modo, oltre a fare e disfare il governo di turno oppure la formazione calcistica più idonea per conquistare lo scudetto o la coppa dei campioni (o Champions League, tanto per usare l’inglese), si apprendono tantissime notizie, appunto popolari, intendendo con questo termine la provenienza.

Ebbene in una di queste nostre discussioni, dato, forse, la mia sensibilità ambientale, apprendo con gran costernazione, che la nostra Regione ha deciso di spendere 40 milioni di euro per fare una nuova strada che colleghi Cassano con Castrovillari. 

Fin qui il mio primo sobbalzo.

Il mio interlocutore, molto contento ed entusiasta dell’iniziativa, si è premurato di dirmi che tutte le autorizzazioni e i permessi, compreso gli atti di esproprio, sono in fase avanzata di esecuzione. 

Chiedo lumi e conferme sul tracciato, giacché sappiamo che un percorso già esiste e coincide con il tracciato ferroviario che da Cassano giunge alla ex stazione di Civita, prosegue per quella di Frascineto e arriva in località Pieta di Castrovillari.

Troppo facile.

Ovviamente non è questo il tracciato “giusto” perché non passa da Frascineto che ne resterebbe tagliata fuori.

Chiedo al mio interlocutore di illustrarmi il nuovo percorso. Apprendo così, e sempre con maggior sconforto, che la nuova strada si svilupperà seguendo il tracciato ferroviario fino alle “murarotte” e poi sale verso la vecchia statale 105 che intersecherà all’altezza della Masseria Parapugna.

Fin qui la prima parte. Sempre il mio interlocutore, prosegue quindi illustrandomi la “seconda parte”, per me ancora più sconvolgente.

Infatti, il tracciato, subito dopo lo svincolo autostradale, proseguirà in direzione della ex stazione della Pietà di Castrovillari su un … viadotto!

Sono rimasto di sasso: per un attimo ho pensato ad uno scherzo ben congegnato per testare il mio sbigottimento.

Guardando ancora con meraviglia il mio interlocutore, mi sono convinto che non si trattava di una canzonatura.

Fin qui la cronaca popolare dalla quale passo a tre, brevi, considerazioni.

La prima: il metodo.

È mai possibile che tutte le autorità interessate diano per scontato che le comunità coinvolte siano d’accordo?

Non si preoccupino del continuo consumo di suolo, nonostante e più volte, sia il Parlamento che la Presidenza della Repubblica abbiano “consigliato” di non occupare nuovo suolo pubblico?

Seconda considerazione.

Un tracciato così “cervellotico” non l’avevo mai visto.

La mania di fare presto, tagliare curve, per poi giungere dove? Alla periferia di Castrovillari che non brilla certo per una perfetta progettazione urbanistica? Anzi, direi proprio il contrario. E allora che bisogno c’è di fare un altro scempio ambientale senza che il gioco vali la candela? Resta un mistero.

Terza considerazione: pratica.

Premesso che abbiamo una rete stradale antica, abbandonata da oltre un ventennio, anche grazie alla sciagurata riforma Del Rio, mi chiedo perché non spendere questi denari, pianificando la sistemazione completa di questa viabilità, magari anche tagliando qualche curva e raddrizzando i tratti più pericolosi?

E da qui la mia riflessione si allarga:

Non parliamo poi della viabilità montana.

Da quando è stata abolita l’AFOR (Agenzia per la Forestazione Regionale) non vi si è più messa mano. Eppure il Pollino tra strade asfaltate, bianche e carrarecce, ha il più alto tasso di chilometri di vie di comunicazione d’Italia e, forse, d’Europa.

Ovviamente è pura utopia pensare minimamente di poter arginare il dissesto idrogeologico! Fiumi e torrenti colmi di detriti, argini sfondati, alvei tortuosi, radenti a pareti di arenaria, che a ogni primavera danno adito a crolli immani e aperture di voragini gigantesche.

Evidentemente sarebbe troppo complicato e poco appariscente in termini elettorali!

E allora continuiamo a distruggere il territorio …  

Come cittadino del Parco e del mondo quale mi sento, esprimo tutto il mio sdegno per come si spenda il denaro pubblico, per come sono trattate le comunità locali, estromesse da qualsiasi decisione che riguardi la loro vita.

A questo aggiungo una considerazione di tipo più antropologico.

Le nostre comunità si stanno sempre di più svuotando: nei nostri paesi ogni cinque abitazioni, tre sono chiuse e le altre due sono formate da nuclei monofamiliari, e quando questi vengono meno alta è la percentuale che anche queste case siano e restino chiuse.

So che questo libero sfogo non servirà a nulla perché nelle alte sfere è stato già tutto deciso, ma la mia coscienza di uomo libero mi impone di esprimere il mio pensiero. Mi auguro che questa riflessione funga da sprone per aprire una pacata e libera discussione.

A futura memoria.